Scisma: un approfondimento sulla prassi

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Scisma: un approfondimento sulla prassi

 

Anticipando rispetto al momento naturale la trattazione del delitto di scisma, non ho mancato di osservare che il provvedimento da cui traevo spunto – una delle pochissime decisioni romane note a questo riguardo, il decreto pronunciato nei confronti di Mons. Viganò – dava l'impressione di applicare questa fattispecie di reato anche a condotte che si dovrebbero considerare ad esso estranee, tra cui innanzitutto il contestare “la legittimità e l'autorità magisteriale del Concilio Vaticano II”, dato che l'ingiustificato dissenso da atti magisteriali costituisce reato autonomo. Ho lasciato per certi versi aperto il problema, limitandomi a dire che “Di fronte a forme di dissenso pubbliche e veementi, come quelle di cui si tratta nel caso Viganò, può sorgere il dubbio che in concreto gli altri delitti siano, per così dire, figure sintomatiche dello scisma, il che giustifica l'apertura di un'indagine anche per tale capo di accusa; bisogna però guardarsi da equivalenze semplicistiche, prive di fondamento normativo, tenere in debito conto che il dissidente può essere trascinato dalla sua stessa foga e retorica fino a dire più di quel che intende... e, nel dubbio, escludere lo scisma, condannando semmai per i delitti meno gravi.”. Senonché, nel frattempo ho acquistato un recente volume di studi[1] che mi ha offerto, in maniera del tutto inattesa, nuove informazioni sulla prassi del Dicastero in proposito; mi è dunque parso il caso di riaprire l'argomento.

Leggo dunque, nel saggio dedicato ai delitti contra fidem: “Negli anni 1937-2023 (nel 1937 per la prima volta è stato segnalato il delitto contra fidem) sono stati segnalati al DDF, in toto, 894 casi di delitti contro la fede (eresia, apostasia, scisma), tra cui:

  1. delitto di eresia: 19 casi segnalati negli anni 1984-2023;
  2. delitto di apostasia: 22 casi segnalati negli anni 1961-2023;
  3. delitto di scisma: 853 casi segnalati negli anni 1937-2023.”.[2]

L'autore, che è Officiale del Dicastero per la Dottrina della Fede, prosegue osservando che i casi non pervengono quasi mai per appello degli interessati e che le segnalazioni includono anche le richieste di dispensa da irregolarità contratte da chi ha commesso il delitto, ma vorrebbe tornare (o cominciare) ad esercitar lecitamente gli Ordini sacri. Certo si desidererebbe qualche informazione in più, ad es. da che anno parta la rilevazione statistica cui egli attinge; nessun dubbio può tuttavia sussistere rispetto alla schiacciante prevalenza dello scisma sulle altre due fattispecie cui lo accosta il can. 751. Certo egli precisa che, “dato che gli Ordinari non sono obbligati dalle norme del diritto a segnalare i casi dei delitti contro la fede al DDF (cf. art. 2 §§ 2-3 SST), si evidenzia che il Dicastero non è in possesso dei dati concernenti il numero delle denunce o dei processi penali (giudiziali o extragiudiziali) svolti nelle Chiese particolari”;[3] a onor del vero l'assenza di un obbligo di segnalazione appare alquanto discutibile, mentre è certo che esso esisteva almeno fino al 2010, quindi – preso atto della carenza di informazioni aggiornate su cosa accada nelle varie parti del mondo – è chiaro che questa serie storica attesta anzitutto una vastissima “cifra oscura” del crimine, perlomeno dal punto di vista romano, e una gestione dello stesso che non si è curata troppo dei requisiti di validità procedurale. Proprio per questo, però, l'elevatissimo ricorso allo scisma, in quei casi che hanno la ventura di approdare a Palazzo del Sant'Uffizio, colpisce ancor di più ed esige una spiegazione.

Il saggio in parola ce la offre, almeno in parte, nel momento in cui cita – in forma anonima – e commenta cinque casi, ciascuno dei casi riguardava questa fattispecie delittuosa, vuoi da sola vuoi in concorso con altre:[4] in tutti, lo scisma consisteva nel passaggio a “chiese nazionali”, altre confessioni cristiane o gruppi scismatici non meglio precisati, dunque in una rottura esterna e visiile dei legami di appartenenza sociale, per così dire, con la Chiesa Cattolica. Va notato che, a rigore, almeno il passaggio ad altra confessione dovrebbe comportare concorso formale (o materiale, secondo l'atteggiarsi concreto delle azioni) tra lo scisma, che indubbiamente sussiste, e il più grave delitto di eresia; dimostrare il primo, però, è molto più semplice perché non richiede che si disponga di dettagli e prove circa eventuali dichiarazioni rese dal reo. Suppongo, pertanto, che l'ipertrofia statistica (almeno relativa) dei casi segnalati per scisma si debba in buona misura ad esigenze di semplificazione probatoria...[5] anche se non posso fare a meno di notare che, vigente il vecchio Codice, in teoria tale funzione era assolta dalla presunzione legale del sospetto di eresia, della cui effettività, a questo punto, sembra lecito dubitare.

Ma è sufficiente questo ragionamento a spiegare un simile divario di cifre?

A mio avviso, no. Mi pare più probabile, purtroppo, che lo scisma sia stato utilizzato anche per colpire forme di dissenso dottrinale o di disobbedienza che poco hanno a che fare con esso; e ciò nonostante qualche pronunciamento di segno contrario da parte del Dicastero, come ad es. nel singolare caso di Honolulu. Sei fedeli di quella Diocesi erano accusati – ma i fatti erano sostanzialmente pacifici e si discuteva in diritto – di avere, a cavalo degli anni in cui maturava la rottura definitiva tra Roma e Mons. Léfebvre, definita espressamente scisma nel m.p. “Ecclesia Dei adflicta” del 2 luglio 1988, messo in piedi una cappella per conto proprio, organizzato un programma radiofonico in cui davano voce alle tesi della “Fraternità Sacerdotale S. Pio X”, fatto venire a cresimare alcuni ragazzi uno dei quattro Vescovi consacrati da Léfebvre senza mandato pontificio e tenuto in non cale gli appelli del loro Ordinario affinché desistessero da tale condotta: verrebbe da chiedersi cosa si debba fare di più, per aderire allo scisma lefebvriano! E tuttavia, su ricorso di una degli interessati, la Congregazione ha ritenuto e deciso che tali attività, “though blameworthy on various accounts, are ot sufficient to constitute the crime of schism.”. Forse si deve ravvisare in ciò un'eco della disputa dottrinale sulla possibilità di configurare lo scisma quando ci si sottragga alla sottomissione (non al Papa, bensì) all'Ordinario locale;[6] forse la decisione, non ulteriormente motivata, rispecchia in realtà la convinzione dell'allora Card. Ratzinger che, nel caso di Léfebvre, fosse improprio parlare di scisma. Di sicuro, però, per quel che è dato sapere questa pronuncia è rimasta un unicum non solo per l'asticella piuttosto alta che sembra imporre affinché si integrino gli estremi del delitto, ma per lo stesso esito assolutorio;[7] e se veramente esso è da ricondursi al dubbio giuridico riguardante l'Ordinario, non può che colpire in negativo il fatto che, negli anni più recenti, siano stati scomunicati senza remore per scisma soggetti che sostenevano che Jorge Mario Bergoglio non è mai divenuto Papa legittimo, quando esiste tutta una corrente dottrinale secondo cui tali posizioni non costituiscono affatto scisma.

Purtroppo, almeno finché non andranno in porto i tentativi del Dicastero di rendere accessibile la propria giurisprudenza, è impossibile procedere oltre o verificare le ipotesi di lavoro.Queste, però, mi sono comunque parse meritevoli dell'attenzione dei lettori.

 

[1]    Arcisodalizio della Curia Romana (cur.), Diritto penale canonico. Dottrina, prassi e giurisprudenza della Curia Romana, Città del Vaticano 2023.

[2]    K. Cisek, Delicta contra fidem: profili teorici e casi pratici, in Arcisodalizio della Curia Romana (cur.), op.cit., pagg. 471-89, qui 481.

[3]    Ibid., pag. 482.

[4]    Cfr. Ibid., pagg. 482-9.

[5]    Funge un po' da controprova, benché una rondine non faccia primavera, l'unico caso recente noto in cui si contestino entrambi i delitti riguarda il noto Sacerdote palermitano (poi ridotto allo stato laicale) Alessandro Minutella, che si era espresso in modo pubblico e notorio non solo contro la legittimità dell'elezione del Card. Bergoglio a Romano Pontefice, ma anche contro la stessa validità dei Sacramenti celebrati in comunione con lui.

[6]    In particolare, il fatto stesso che la ricorrente adisse la S. Sede contro il decreto di scomunica tendeva ad scludere, almeno prima facie, che i suoi diverbi con l'Ordinario del luogo, di qualunque natura giuridica fossero precisamente, potessero considerarsi segno di un rifiuto di sottomissione al Romano Pontefice.

[7]    Non è dato sapere se il Vescovo lo abbia esteso, mediante revoca, anche ai cnque che non avevano presentato ricorso.