x

x

Una categoria atipica: l'indulto

serratura
serratura

Una categoria atipica: l'indulto


Sommario:

1. I termini del problema; 2. Opinioni correnti e impieghi del termine sotto il vigore del CIC 1917; 3. L'impiego del termine nel CIC 1983

 

 

1. I termini del problema

La trattazione dei provvedimenti amministrativi singolari non sarebbe completa se non dedicassimo almeno qualche cenno ad una figura dai contorni molto discussi, l'indulto.

Al lettore è ormai nota la grande fluidità terminologica del diritto canonico e, in più, a questo punto della trattazione dovrebbe essergli chiaro che il CIC 1983 tipizza i provvedimenti amministrativi secondo un sistema logicamente completo, che può prescindere dal nome concretamente impiegato per il singolo provvedimento anche perché è sempre in grado di qualificarlo in maniera appropriata. Dunque, perché mai il nomen atipico di indulto dà luogo a particolari discussioni?

Il fons mali va ravvisato nel can. 4 CIC 1917, secondo cui, se non espressamente revocati dal Codice stesso, restavano salvi i diritti acquisiti, i privilegi e, appunto, gli indulti;[1] di qui l'ovvia importanza di capire di cosa si trattasse. Si può subito aggiungere che il can. 4 attuale di indulti non parla più... ma per capire se e fino a che punto ciò alteri il sistema delle fonti, bisogna ancor oggi comprendere cosa significasse il termine sotto l'impero del Codice abrogato. E al tempo, data l'importanza notevole del problema, i commentatori non hanno lesinato l'impegno nel tentativo di distinguere iura aliis quaesita, privilegia e indulta; visto però che sul privilegio non si è raggiunta unanimità di vedute, anche il concetto di indulto ne ha risento ed è rimasto incerto.[2] Di conseguenza, si rende necessario anzitutto passare in rassegna le diverse opinioni, poi appurare se e in che misura l'impiego del termine da parte del CIC 1983 possa sottintendere il recepimento di una di esse (e, nel caso, con quali conseguenze per la qualificazione giuridica).

 

2. Opinioni correnti e impieghi del termine sotto il vigore del CIC 1917

Tra i commentatori si è tosto formato un consenso quanto all'oggetto materiale del can. 4: “Con il nome di i. vengono designate generalmente le concessioni che i Romani Pontefici hanno fatto, anche senza limiti di tempo, a re, vescovi, parlamenti, università, ecc., in materia di benefici, feste di precetto, astinenza e digiuno, anche in deroga alle leggi ecclesiastiche. ”.[3] Un esempio molto noto sono le “bolle della Crociata”, rimaste in uso in Spagna fin oltre la metà del Ventesimo secolo, nate in origine appunto con lo scopo di finanziare la Crociata, o altre esigenze di difesa contro gli infedeli, in cambio di un'ampia esenzione dagli obblighi quaresimali di astinenza e digiuno.[4] Ma circa la differentia specifica dell'indulto, come categoria giuridica, rispetto agli altri provvedimenti gli autori non concordavano affatto: fermo che, stante l'ovvia derivazione da indulgo, doveva trattarsi di un provvedimento di favore, si confrontavano almeno tre opinioni.

  1. Qualunque benevola concessione che esimesse i destinatari dall'obbligo di osservare una legge (Roberti-Palazzini, ad voc.).
  2. Un quasi-privilegio, ossia qualunque concessione praeter o contra ius, purché temporanea (Wernz-Vidal).[5]
  3. Categoria de residuo: concessioni graziose non qualificabili come privilegi.[6]

Certo non aiutava a comporre le divergenze il fatto che l'impiego del termine, non raro nel Codice abrogato,[7] abbracciasse una varietà notevole di disposizioni di favore, senz'altro eterogenee: dal punto di vista della materia, si può dire che di indulti si parlava soprattutto in ambito liturgico (ove anzi ve n'erano anche di extracodiciali, ad es. il permesso di celebrare la S. Messa senza serviente) o nella vita dei religiosi; ma se esaminiamo il contenuto dei singoli provvedimenti contemplati dal CIC 17, la classificazione che si viene a tratteggiare è abbastanza complessa, perché

  • alcuni indulti erano senza dubbio dispense, p.es. quello apostolico affinché i Sacerdoti potessero esercitare taluni mestieri vietati (can. 139 §2), le deroghe all'obbligo dei religiosi di spogliarsi di tutti i beni (can. 581) o alla loro incapacità di acquistarne per sé in futuro (can. 582), la possibilità per la monaca di clausura di uscire dal monastero per un tempo anche brevissimo e per un motivo diverso dal pericolo di morte imminente o di altro gravissimo male (can. 601); i permessi per dedicare una chiesa o un altare ad un Beato, o per eleggerlo come Patrono, o per esporne le reliquie in una chiesa o portarle in processione (cann. 1168, 1201, 1278, 1287); nonché il permesso di leggere i libri all'Indice (can. 1403);[8]
  • forse si potevano annoverare in questa categoria anche gli indulti necessari affinché un Vescovo appartenente ad un dato rito ordinasse lecitamente chi apparteneva ad un altro, trattandosi pur sempre di rimuovere l'ostacolo normativo per cui, in linea generale, i chierici amministrano i Sacramenti (e i fedeli orientali li ricevono) solo secondo il loro rispettivo rito proprio (cann. 955 e 1006 §5);[9]
  • altri erano deleghe della potestà di Ordine,[10] previste in via generale dal can. 210;[11]  
  • vi era almeno un caso in cui si disponeva per indulto la delega di giurisdizione, per dispensare cioè dagli impedimenti matrimoniali (cann. 1040 e 1057);[12]
  • alcune ipotesi sembrano assimilabili, piuttosto, ad autorizzazioni a compiere atti pubblicistici di straordinaria amministrazione, che differiscono dal regime ordinario;[13]
  • vi era almeno una licenza, ossia l'ulteriore e speciale provvedimento della Sede Apostolica affinché il religioso passato al clero secolare potesse conseguire taluni uffici, benefici e dignità (can. 642), il quale era funzionale contemporaneamente all'interesse pubblico e a quello privato, ma con ovvia preminenza del primo;
  • si davano, poi, indulti di valore autorizzativo “privatistico”, cioè dipendenti dalla riconosciuta prevalenza di un interesse specifico del destinatario, che derogano alle regole ordinarie, in maniera che sarei tentato di accostare ai provvedimenti del giudice nell'ambito della volontaria giurisdizione;[14] un caso paradigmatico mi sembra l'indulto volto a ridurre gli oneri di Messe fondate o delle pie fondazioni in genere (can. 1551);
  • vi erano senza dubbio concessioni di privilegi,[15] come anche della loro estensione o “comunicazione” ad altri soggetti (can. 680);
  • alcuni indulti riguardavano, tuttavia, mutamenti di status personale, con effetti sia di ampliamento sia di restrizione della sfera giuridica, ed erano soprattutto quelli previsti per i religiosi.[16] Di questi, almeno uno era perpetuo, l'indulto di secolarizzazione; e si può ben considerar tale anche quello di passaggio ad altra religione.

Di fronte a cotanta varietà, sembra impossibile non concordare con la dottrina che negava la possibilità di ravvisare nell'indulto una fisionomia unitaria e riteneva pertanto necessario ricostruire, volta per volta, la natura sostanziale del provvedimento in esame, dimodoché “Per l'interpretazione, la durata e la cessazione degli i., valgono le norme stabilite per i rescritti, i privilegi, le dispense”,[17] ovviamente secondo i rispettivi casi.

Resta da vedere se, e in che misura, tale conclusione resti valida anche oggi.

 

3. L'impiego del termine nel CIC 1983

Il nuovo Codice impiega molto meno del precedente il termine “indulto”[18] e ci sono pochi dubbi sull'intenzionalità di questa restrizione. Sono dunque rimasti:

  • per i religiosi,
    • menzionato solo in obliquo (can. 320 §2), l'indulto apostolico per erigere associazioni di fedeli, con il consenso del Vescovo diocesano,
    • gli indulti di secolarizzazione e di esclaustrazione (cann. 686-92),
    • nonché quelli per lasciare un Istituto secolare (cann. 726-8) o una Società di Vita Apostolica (cann. 743, 745);
  • per le autorità inferiori alla Sede Apostolica, l'indulto accordato da Essa affinché possano committere (delegare?) ad altri la propria potestà di concedere indulgenze (can. 995 §2);
  • infine, l'indulto apostolico necessario per le ordinazioni quando il Vescovo ordinante appartenga ad un rito diverso dall'ordinando (cann. 1015 e 1021).

Tentare una visione di insieme è senz'altro molto più semplice e si può concordare con chi scrive che in view of its limited use in the revised law, 'indultum' appears to have the meaning of an authorization to act in some way which the law either forbids without authorization or permits provided that a permission is obtained from the competent authority”.[19] Questo, però, lascia intatto il problema se si tratti di licenze, dispense o privilegi.

Nel caso della materia del biritualismo, deve rilevarsi – per ragioni di cui non posso dar conto in questa sede – un superamento del “tradizionale concetto di rito, quale circostanza incidente sulla capacità giuridica canonica della persona”:[20] oggi, lo stesso passaggio da un rito all'altro richiede una semplice licentia (can. 112), sicché a fortiori si deve ritenere che gli indulti previsti per l'uso di riti liturgici diversi costituiscano a loro volta licenze.

Lo stesso mi sembra che si debba dire per gli indulti che consentono di lasciare un Istituto o una Società: di per sé, essi fanno venire meno soltanto il vincolo associativo contratto e gli obblighi che derivano dall'appartenenza all'organizzazione in parola, non i voti, quindi si possono qualificare come autorizzazioni all'esercizio del diritto di associazione nella sua forma negativa, la libertas contrarietatis (e la necessità di un permesso si spiega con la funzionalità di tale diritto soggettivo all'esercizio in comune di opere di apostolato, che non deve quindi risentirne pregiudizio).

Invece, gli indulti di esclaustrazione o per vivere temporaneamente fuori della Società di Vita Apostolica, andando contro un obbligo positivo, debbono a mio parere qualificarsi come dispense; e il nomen iuris sta forse a suggerire la loro particolare delicatezza, l'eccezionalità delle cause che li giustificano e la prudenza con cui debbono essere concessi.

Infine, i casi previsti dai cann. 320 §2 e 995 §2, consistendo in concessioni di potestà e quindi in chiari ampliamenti della sfera giuridica, non possono dirsi né autorizzazioni né dispense; o si ritiene che la titolarità di un pubblico potere non si conceda mai come grazia (né per i titolari né per i destinatari), ma semmai per delega o legge speciale, oppure bisogna concludere che si tratta di privilegi.

 

Note:

[1]     “Iura aliis quaesita, itemque privilegia atque indulta quae, ab Apostolica Sede ad haec usque tempora personis sive physicis sive moralibus concessa, in usu adhuc sunt nec revocata, integra manent, nisi huius Codicis canonibus expresse revocentur.”. Ex can. 64 §2 erano, invece, abrogati tutti i privilegi o indulti concessi da autorità inferiori alla Sede Apostolica. Una distinzione tra privilegio e indulto sembrava sottesa anche al can. 964, nn. 1° e 4°.

[2]     Non è peraltro mancato chi ha visto nell'indulto un modo di concessione del privilegio, il provvedimento ad hoc, accanto a legge, consuetudine e prescrizione. Cfr., anche per ulteriori riferimenti, G. Michiels, Normae generales Juris Canonici. Commentarius Libri I Codici Juris Canonici, vol. I, Parigi-Tournai-Roma 1949, pag. 94, nt. 6.

[3]     D. Staffa, s.v. Indulto, in Enciclopedia Cattolica vol. VI, Roma 1951, coll. 1910-1, qui 1910.

[4]       Cfr. C. Testori, s.v. Crociata, Bolla della, in Enciclopedia Cattolica vol. IV, Roma 1950, coll. 981-2, che per la configurazione (quantomeno allora) più recente della bolla rimanda ad una Lettera Apostolica di Pio XI datata 15 agosto 1928, in AAS 21 (1929) 12-21; è la Providentia Opportuna, effettivamente dedicata agli “Indulta Pontifcia Hispanicae Nationi concessa”. Le concessioni erano pubblicate ogni anno, con un tariffario delle elemosine aggiornato (se necessario) e approvato dalla S. Sede (cfr. il Bollettino della Diocesi di Córdoba per il 1949, di San Sebastián per il 1952 e di Salamanca per il 1965, gli esempi più recenti che mi sia riuscito di trovare); un Commissario Apostolico sovrintendeva all'esecuzione; qui un esemplare degli attestati che venivano rilasciati ai singoli beneficiari finali. A. Garrido Ibarrondo, La Bula de la Santa Cruzada, in Cofradía de Nuestra Señora de las Angustias y Soledad, Semana Santa León / España 2016 (s.l.), pagg. 15-9, la dà per abrogata nel 1966, nell'ambito dell'abrogazione generale dei privilegi disposta da Paolo VI, e afferma che da quel momento cessarono le pubblicazioni annuali; ma il m.p. “Ecclesiae Sanctae”, n. 18, non ha abrogato che i privilegi relativi al conferimento degli uffici ecclesiastici. Si è trattato, in realtà, di una delibera adottata dall'Episcopato spagnolo, nell'esercizio delle facoltà attribuitegli, in quello stesso anno, dalla Cost. Ap. “Paenitemini” di riforma della disciplina penitenziale (molto alleggerita): ne dà notizia il quotidiano ABC del 4 dicembre 1966. Pare però che viga tuttora, e sia anzi divenuta proverbiale, una bolla di Innocenzo VIII che ha esonerato il paesino di Meco, nei èressi di Madrid, dall'obbligo di non mangiar carne il Venerdì Santo. Non ho, invece, notizie circa il momento di cessazione della vigenza della Bolla della Crociata in Portogallo (né in altri Paesi di antica dominazione spagnola).

[5]     F.X. Wernz – P. Vidal, Ius Canonicum ad normam Codicis exactum, vol. I, Roma 1928, pag. 131, nt. 23: “Indulta sunt quasi-privilegia, a quibus inde discrepant quod per se perpetua non sunt, facultates potius sunt et gratiae ad tempus concessae praeter vel contra ius ex indulgentia legislatoris”. Del tutto analogo il trattamento delle facoltà apostoliche, cfr. ivi, pagg. 456-62. Su una linea intermedia tra le due fin qui citate nel testo sembrano invece collocarsi E. Eichmann – K. Mörsdorf, Lehrbuch des Kirchenrechts auf Grund des Codex Iuris Canonici, Bd. 1 - Einleitung, Allgemeiner Teil und Personenrecht, München - Paderborn - Wien 1953 (7ma ed.), pagg., 156-170, secondo cui l'indulto è identico al privilegio e se ne differenzia solo per la tendenza a consistere nella liberazione da un obbligo e ad avere carattere temporaneo.

[6]     A. Blat, Commentarius Textus Codicis Iuris Canonici, vol. I, Roma 1921, pag. 63. D. Staffa, op.loc.cit., notata l'opinione che ritiene che l'indulto debba aver carattere temporaneo, non prende posizione, ma osserva: “Il Concilio di Trento, a proposito della legge della residenza, parla tuttavia anche di privilegi o i. perpetui contro tale obbligo, e|li sopprime (sess. VI, can. 2, de ref.; nello stesso senso anche sess. XXIV, can. 18, de ref.).”.

[7]     Si computano 50 occorrenze di indulto, 24 di indultum, 4 a testa per indulti e indultis, 1 per indultarius.

[8]     Oppure l'esenzione dall'obbligo del coro, da concedersi una volta all'anno soltanto, per i chierici che attendono a pii esercizi (can. 420), il condono totale o parziale della dote prescritta per l'ingresso in un monastero di diritto pontificio (can. 547) o lo scioglimento dai voti perpetui del religioso dimesso dalla religione (can. 669), nonché i permessi della S. Sede per celebrare più di una S. Messa al giorno (can. 806) o per iniziare a mezzanotte una Messa di Natale non conventuale né parrocchiale (can. 821). Infine, a questa categoria andava verosimilmente ascritto anche l'indulto speciale che permetteva al Metropolita di compiere, prima dell'imposizione del pallio, di compiere un atto di giurisdizione metropolitana o uno di quelli della potestà di Ordine che richiedono l'uso di tale insegna (can. 276).

[9]     Questo vale se l'indulto era accordato ad casum, mentre davanti ad una concessione perpetua potrebbe parlarsi di privilegio personale o di esonero di una certa comunità dalla legge, secondo le cause addotte in concreto. Extra Codicem, per impellenti necessità pastorali connesse al fenomeno migratorio, si è sviluppata la prassi dei cc.dd. indulti di biritualismo, che consentono cioè ad un Sacerdote, in genere di rito latino, di celebrare anche in un rito diverso dal proprio: la causa finale è sempre stata la cura animarum di comunità orientali la cui Chiesa rituale non abbia clero in loco, ma, soprattutto in passato, quest'indulto aveva carattere perpetuo, non faceva riferimento alcuno a tale necessità pastorale e si configurava, perciò, come un privilegio personale.

[10]   Oppure, vista l'esistenza di un dibattito dottrinale circa la possibilità stessa di una tale delega, autorizzazione a fare compiere ad altri, che fossero almeno Sacerdoti, atti di questa potestà che non competevano a loro... ma la differenza sembra più nominale che reale (il testo del can. 210 permetteva entrambe le interpretazioni).

[11]   Amministrazione della Cresima da parte del prete di rito latino (cann. 781 §1 e 782 §4); trasferimento ad altri soggetti dell'obbligo di celebrare SS. Messe per una data intenzione (can. 826); possibilità di consacrare i luoghi sacri da parte di chi non si fregia del carattere episcopale (can. 1147).

[12]   Ma cfr. anche la facoltà per i religiosi di erigere associazioni di fedeli (cann. 696 e 699). Assimilabile ad una delega di potestà (sebbene non di imperio) era altresì la concessione della facoltà di autenticare reliquie a un ecclesiastico che non fosse né Cardinale né Ordinario di un luogo (can. 1283).

[13]     Indulto apostolico per la costituzione di parrocchie familiari, personali o, nello stesso territorio, distinte per lingua o nazionalità dei fedeli (can. 216), anche se quello per le Parrocchie familiari può essere un privilegio; indulto speciale della Sede Apostolica affinché Parroco di una Parrocchia sia una persona giuridica (can. 452) o per erigere, per causa grave, più case di noviziato in una stessa provincia (can. 554). Sembra difficile parlare di una dispensa, quando la possibilità è prevista in via generale dalla legge; siamo semmai nell'ambito di quelli che la dottrina amministrativistica secolare chiamerebbe “controlli preventivi di legittimità e di merito”. Più vistosa la deroga e più incisivo il controllo nel caso del permesso speciale della Sede Apostolica affinché una religione maschile potesse avere religiose come proprie suddite o anche come oggetto di particolare cura o direzione (can. 500); direi però che la categoria giusta rimane questa.

[14]   Ad es. il permesso di avere un oratorio domestico (can. 1195); a mio parere, anche quello di celebrare sugli altari papali (can. 823), perché, sebbene si possa parlare di dispensa, in quanto vi era un divieto generale di celebrarvi per chiunque non fosse il Papa (o il Cardinale Arciprete di ciascuna Basilica), se la ratio legis consisteva in una forma di salvaguardia dell'autorità papale, direi che veniva meno di per sé nel caso dei destinatari tipici, i pellegrini e i Sacerdoti che li accompagnavano. Sono incerto circa il permesso della S. Sede affinché il religioso professo (can. 544) o la religiosa professa (can. 551) passasse ad altra religione: si potrebbe vederlo come dispensa dal divieto, che sorge per effetto del voto di obbedienza a certi determinati Superiori, ma anche come autorizzazione perché l'oggetto della vita religiosa è la professione dei consigli evangelici, abbracciata la quale vi è nel fedele una libertà originaria nella scelta della forma concreta di vita; la seconda lettura è più vicina alla visione post-conciliare, però, e nell'ottica del CIC 1917 dovrebbe forse privilegiarsi la prima.

[15]   Tale, per espressa qualificazione normativa, l'indulto dell'altare portatile (can. 822); ma difficilmente poteva qualificarsi in altro modo quello di concessione di un abito corale (can. 409), o la conservazione dei voti solenni in chi, uscito dalla religione precedente, ne assume di semplici in una congregazione religiosa (can. 636), e verosimilmente l'indulto apostolico di presentare un candidato per una chiesa o un beneficio vacanti, senza che ne nascesse un giuspatronato (can. 1471). Nel caso del can. 1253, che faceva salvi gli “indulti particolari” in materia di digiuno, il senso era probabilmente lo stesso del can. 4, data anche l'affinità tematica.

[16]   Ossia esclaustrazione (temporanea) e secolarizzazione (definitiva) del religioso (cann. 638-9); sembra altresì il caso della possibilità per un Terz'Ordine di aggregare membri che restassero comunque membri anche di un altro Terz'Ordine (can. 705), o per un'associazione di aggregarsene validamente altre (can. 721);

[17]   D. Staffa, op.cit., col. 1911. Nello stesso senso A. van Hove, De privilegiis et indultis, ad can. 4 Cod. J.C., in Jus Pontificium 9 (1929) pagg. 290-5, qui 290: “Ut videtur, vox non habet sensum iuridicum determinatum de beneficio, gratia, favore, rescripto etc.”.

[18]   Si contano 16 occorrenze di indultum e 5 di indulto.

[19]   A. McCormack, The Term “privilege”. A Textual Study of Its Meaning and Use in the 1983 Code of Canon Law, Roma 1997, pag. 234.

[20]   A. de Fuenmayor, ad can. 112, in Pontificia Università della S. Croce (cur.), Codice di Diritto Canonico e Leggi complementari commentato, Roma 2020, pag. 128.