Il privilegio. Inquadramento storico e teorico
Il privilegio. Inquadramento storico e teorico
Sommario
1. Premessa generale. Il portato del diritto romano; 2. Elaborazione ed esperienza nella Chiesa latina; 2.1 La critica del Labandeira alla tradizione canonica; 2.2 Graziano e la legittimità del privilegium nella Chiesa
1. Premessa generale. Il portato del diritto romano
L'argomento cui ora ci accostiamo è uno dei più ricchi e complessi di tutto il diritto canonico, anche se brevità e concisione della disciplina codicistica – racchiusa in otto canoni appena - indurrebbero a pensare il contrario. Mai come in questo caso, forse, il Codice non dice tutto; o meglio, “parlano” solo a chi abbia presente quel paio di millenni di esperienza giuridica che li ha preceduti, anche solo per capire le ragioni per cui, su punti importanti, il legislatore ha scelto di discostarsene..
Come per molti altri istituti, occorre prendere le mosse dal diritto romano; diversamente dal solito, però, già in quest'ambito si è registrato un vero ribaltamento semantico del termine, che merita di essere segnalato sia in sé e per sé, sia per quel che suggerisce su una possibile ambiguità intrinseca della realtà soggiacente. Infatti, “Per privilegium si intendeva, anticamente, una norma eccezionale emanata a sfavore di una persona singola, come si evince dalla formulazione contenuta in una delle XII Tavole: privilegia ne inroganto (9, 1 = Cic., Leg. 3, 11). Cicerone commenta questo provvedimento, ritenendo iniqua ogni legge ad personam: in privatos homines leges ferri noluerunt; id est enim privilegium; quo quid est iniustius? Cum legis haec vis sit: scitum et iussum in omnis (Leg. 3, 44); vetant leges sacratae, vetant XII tabulae leges privatis hominibus inrogari. Id est enim privilegium. Nemo umquam tulit. Nihil est crudelius, nihil perniciosus, nihil, quod minus haec civitas ferre possit (De dom. 43); cum et sacratis legibus et duodecim tabulis sanctum esset ut ne cui privilegium inrogari liceret (Pro Sest. 65); anche in vari altri luoghi Cicerone definisce il privilegium in toni negativi, ad esempio licuit tibi ferre non legem, sed nefarium privilegium (De Dom. 26); vim et crudelitatem privilegii auctoritate honestissimorum hominum et publicis litteris consignarit (Post red. in senat. 29).”1 Non vi è dubbio che, sulle labbra del grande oratore, la ripulsa del privilegium facesse tutt'uno con l'aspirazione alla concordia ordinum, alla coesione intorno alla difesa dei valori repubblicani, e anche con la memoria ancor scottante delle liste di proscrizione al tempo di Silla; resta invece controversa l'autenticità del frammento delle Dodici Tavole, per non parlare poi di quali vicende storiche precise potrebbero aver portato all'affermazione di un simile principio.2 Ma, quali che ne fossero antichità e preciso retroterra, esso non poteva certo sopravvivere all'instaurazione del principato: Gellio ci ha conservato memoria dell'analisi di Ateio Capitone, il caposcuola dei Sabiniani, che forse non a caso passa per uno dei giuristi più propensi a sostenere la politica di Augusto; egli afferma il carattere generale della lex, mentre privilegium sarebbe l'atto legislativo (rogatio) riguardante direttamente singole persone, in senso favorevole o sfavorevole.3 Di fatto, sia la concessione di misure di favore sia le misure punitive di carattere personale sono state da subito – e non sarebbe potuto essere altrimenti – uno degli strumenti più importanti nelle mani del princeps, almeno inizialmente in concomitanza con il Senato,4 ed è senz'altro significativo che Gellio, pur conoscendo assai bene l'opera di Cicerone, non menzioni affatto la diversità di significato. Insomma, verrebbe da dire che la storia giuridica romana ci mostra, fin dai primi periodi documentati, quei tratti del privilegium che restano poi caratteristici nelle epoche successive: una regola generale presupposta; una deroga ad essa che riguarda soltanto alcuni dei potenziali destinatari; l'utilità come strumento politico; l'ambivalenza dell'atteggiamento verso di esso. Quanto al contenuto, in Gellio è ancora incluso il provvedimento sfavorevole (nell'età del Principato, per esprimere la diversa qualità dell'oggetto si parla spesso di beneficia e munera); nelle fonti postclassiche e giustinianee, invece di specializzarsi, il significato di privilegium si allarga ancora e arriva ad indicare vuoi la situazione attiva di un rapporto giuridico qualsiasi5 (subendo qui, però, la concorrenza di praerogativa),6 vuoi addirittura gli elementi costitutivi di un rapporto o istituto. In perfetta coerenza, del resto, con una vita sociale articolata sempre più rigidamente in ceti, tanto che si poteva ben dire che liberi, schiavi e coloni, honestiores e humiliores, civili e militari, laici ed ecclesiastici - per non citare che gli status più importanti – soggiacciono ciascuno ad un diritto proprio, ben più e prima che tutti ad un diritto comune.
Anche al di là della ripartizione cetuale della società, però, la realtà giuridica che il diritto canonico avrebbe finito per recepire era oltremodo variegata: “Si ebbero concessioni a singoli, o a titolo personale o in relazione a un ufficio (per la sua durata o in permanenza), a intere categorie di soggetti, come componenti di una comunità o in quanto esercenti particolari professioni o mestieri, agli abitanti di una regione, a collegi, a templi e persino a divinità.”. Meritano distinta menzione quei privilegi che hanno dato vita all'accezione moderna del termine in diritto privato: la concessione di essere anteposti ad altri creditori, quando il patrimonio del creditore non era del tutto capiente. Anzi, la teorizzazione del fiscus come una sorta di persona giuridica, distinta da quella fisica del princeps, prese le mosse proprio dal corpo di leggi di favore via via emanato in pro' dell'esazione fiscale. Tuttavia, i destinatari, fossero singoli o collettività, dovevano restare individuati nominatim, era esclusa l'estensione analogica in favore di altri soggetti. E siccome, da concessioni temporanee di carattere personale, che decadevano alla morte del princeps salvo il caso di conferma da parte del successore, i privilegi assunsero via via carattere permanente (secondo un processo portato a termine da Nerva), “il principe poteva incidere, nel modo che riteneva più adeguato, sulla complessa realtà dell'Impero e dare risposte più aderenti alle diverse situazioni, che non potevano essere risolte con criteri univoci.”.7 A Modestino, se il passo non è frutto di interpolazione, risale la distinzione tra privilegia personae, che si estinguono con la morte del beneficiario, e privilegia causae, che si trasmettono agli eredi:8 ultimo, ma significativo tassello di un percorso che ha condotto il privilegium a divenire un istituto dotato di stabilità intrinseca, non più semplicemente un favore personale del principe.
Molto discussi tra gli storici sono i rapporti tra privilegium e ius singulare, nonché l'esatto significato di quest'ultima espressione (problema forse insolubile, date le poche attestazioni di essa nelle fonti); le opinioni sono divise tra quella tradizionale, che li considera sinonimi, chi fa del ius singulare un genere di cui il privilegium sarebbe specie e chi, invece, sostiene che si distinguesse dal privilegium perché possedeva la nota della generalità e poteva emanare anche da fonti diverse dal princeps.9 Posto che così fosse, però, la distinzione deve essere via via sfumata, stante quel che si è detto sull'evoluzione semantica di privilegium; e invero l'unica definizione pervenutaci di ius singulare (che risale a Paolo, se non è interpolata) sembra pensata apposta per includerlo, poiché comprende tutto “ciò che è stato introdotto per autorità dei costituenti, contro la ratio [iuris], in virtù di una qualche utilità”.10 L'Alto Medioevo, comunque, mostra di non conoscere affatto l'espressione ius singulare, che riaffiora soltanto agli albori del rinascimento giuridico bolognese; e sarà allora tanto più naturale intenderla come sinonimo di privilegium, termine rimasto invece nell'uso e di cui Isidoro ha tramandato un etimo dal chiaro sapore gelliano: “I privilegi sono le leggi dei privati, quasi leggi private. Infatti il privilegio si chiama così perché viene adottato nei confronti di un privato.”.11 Se una differenza vi era, stava semmai nel fatto che, “Durante tutto il Medioevo, il termine privilegium servì ad indicare lo strumento, il documento nel quale era contenuta la disposizione di diritto singolare”.12
2. Elaborazione ed esperienza nella Chiesa latina
2.1 La critica del Labandeira alla tradizione canonica
Venendo ora alla storia del privilegium in diritto canonico, non posso che prendere le mosse dalla lucida, ma quasi sconfortante analisi del Labandeira: “La storia del privilegio è segnata dalla confusione che ha comportato il tentativo di conciliare diverse realtà giuridiche a riguardo di due questioni fondamentali: da una parte, non si distingue il privilegio dall'atto per mezzo del quale lo si concede; dall'altra, buona parte della dottrina, per mancanza di una chiara terminologia, non distingue tra i favori concessi per mezzo di norme generali e quelli concessi per mezzo di un peculiare atto dell'autorità. In tale contesto, si comprende come non sia stato facile risolvere le questioni inerenti l'essenza e la natura giuridica del privilegio. Fino a poco tempo fa, gli studiosi non si sono occupati dell'ultima questione, limitandosi a ripetere la definizione etimologica del privilegio – lex privata – evidenziata da Sant'Isidoro da Siviglia, e certamente tutt'altro che chiara.”.13 La critica dell'insigne Maestro, a mio avviso, è anche troppo severa, ma merita di essere menzionata in esordio di trattazione, perché spiega bene come mai, proprio rispetto ai due punti da lui evidenziati, il CIC 1983 abbia optato per una riforma radicale dell'istituto, evento assai insolito in ambito canonico.
Il Labandeira, nondimeno, erra se pensa che la diversità dei fenomeni sottesi al termine privilegium non sia mai stata colta, o che nessun inquadramento teorico abbia cercato di darne conto.14 Di fatto, egli finisce per misurare secondo una concezione moderna della legge, ma direi anche della soggettività giuridica, un istituto che, invece, possiede linearità e coerenza se valutato iuxta propria principia.
2.2 Graziano e la legittimità del privilegium nella Chiesa
Va innanzitutto rammentato che, molto prima che nascesse una scienza giuridica canonica, il privilegio era una realtà praticata: nel mondo altomedioevale, caratterizzato dal predominio del dato di fatto, della consuetudine, delle peculiarità dei singoli luoghi e situazioni, il primo ostacolo alla concettualizzazione del fenomeno era semmai la latitanza di un diritto generale, non certo una qualche critica del particolarismo giuridico, che si farebbe fatta attendere ancora per secoli. Nella Chiesa, però, un corpus di regole generali esisteva, non era mai caduto nell'oblio e godeva di un'auctoritas straordinaria: le decisioni disciplinari promulgate dai Concili ecumenici, dette decreta o statuta, compaiono in tutte le collezioni da Dionigi il Piccolo in avanti. Da ciò deriva un ovvio problema di legittimità rispetto a tutte le norme particolari difformi, derivino esse da consuetudine o da privilegio; ora, l'epoca della riforma gregoriana è una reazione contro il predominio della consuetudine (in alcuni settori ben precisi, sebbene di notevole importanza) e una lotta per il ritorno ad un diritto generale, legittimato mediante il richiamo all'antichità, ma ristabilito da un potere legislativo molto concreto e attuale, quello del Papa... e il Papa sa molto bene quanto sia importante la concessione di privilegi come strumento di governo. Quindi, pur con tutte le cautele del caso, si può dire che, mentre si profila un atteggiamento restrittivo verso la consuetudine, riguardo al privilegium si è tendenzialmente più favorevoli.
Al riguardo, però, già l'incunabolo della scienza canonica deve tirare le fila di un discorso piuttosto complesso: Graziano infatti, che recepisce tutta la trattazione di Isidoro sulle fonti del diritto e vi aggiunge in un proprio dictum l'elenco di quelle canoniche,15 afferma che la Sede Romana non è vincolata dalle leggi, anche conciliari, perché esse ripetono da lei la loro validità, ma che è comunque opportuno che i Papi diano il buon esempio e ad esse si conformino, quando non si renda opportuno agire altrimenti; pertanto, egli considera perfettamente legittima la concessione di privilegi in ambito ecclesiastico, purché però sia sempre rispettata l'aequitas;16 e con ciò intende in particolare l'eguaglianza economica, che sarebbe pregiudicata se un'esenzione fiscale eccessiva a beneficio di un singolo lo rendesse troppo ricco, riducendo invece in miseria altri. Dal ciò si desume facilmente che il privilegio tipico, in età medioevale ma non solo, è la libertà da almeno alcuni oneri fiscali.
Altro punto che merita rilievo, è implicito nel dictum che l'ambiguità del diritto romano si è risolta definitivamente, adesso il privilegium ha sempre contenuto favorevole. Nello stesso senso depongono anche le Decretali, perché X.40.25, sancendo la regola secondo cui di esso si deve sempre preferire l'interpretazione che lo porta a produrre un qualche effetto utile, afferma che altrimenti se ne negherebbe il carattere stesso di lex privata.17 Il titolo De privilegiis (X.5.33), peraltro, ne contiene o presuppone anche di generali, p.es. il privilegium fori spettante a tutti i chierici (cfr. cc. 2 e 27).18 L'ambiguità denunziata dal Labandeira sembrerebbe, dunque, già riscontrabile.
Ma a mio parere, se è indubbiamente vero che privilegium può designare qualunque cosa dallo status personale di un'intera categoria (o di un particolare ufficio) fino alla grazia individuale, questa nozione appare incoerente solo ad occhi moderni, mentre acquista un senso ben preciso se si tiene conto che, in tutti questi casi, si tratta sempre di aliquid specialiter indulgere, di attribuire ad alcuni qualcosa in più, o in meglio, di quanto previsto dal diritto universale, quello cioè ce si applica indistintamente a tutti quanti e secondo cui vige una perfetta eguaglianza tra i fedeli, di qualsiasi condizione. Più precisamente: il privilegium deve sempre giustificarsi secondo il criterio dell'utilitas perché, nella coscienza dei secoli cristiani, è sempre rimasta vivissima la certezza che tutti gli uomini hanno bisogno di essere salvati, che ogni onore è un onere e un pericolo, che esiste e deve esistere un complesso di leggi comune a tutti, giustificato proprio dall'universale esigenza di salvezza eterna e composto non solo di leggi divine, ma anche umane (si pensi al precetto pasquale). Sicché. attribuire un quid pluris ad alcuni – singoli, gruppi o intere categorie che siano - comporta sempre per loro una maggiore responsabilità e si giustifica solo sul presupposto di un maggior contributo, almeno indiretto, probabile e relativo, al fine ultimo della Chiesa, che resta sempre la salus animarum. Senza dubbio, in concreto la concessione di privilegi era anche, o forse soprattutto, uno strumento politico con cui i Papi cercavano di destreggiarsi nel gioco mutevole delle alleanze, così importanti nel mantenerli al potere in un'epoca in cui aggressioni militari, cospirazioni aristocratiche e rivolte di popolo li cacciavano spesso da Roma; e la corsa ad ottenerli sa più di ambizione che di spiurito di servizio. Le due facce della medaglia non sono, però, così facili a distinguersi: era senza dubbio necessario all'ordinato funzionamento della Chiesa, dopotutto, e quindi per certi versi alla stessa salus animarum, che il Papa potesse esercitare liberamente le proprie funzioni; e quel mondo così avido di onori era anche, nello stesso tempo, pervaso di uno spurito aristocratico che spingeva, o almeno si poteva sperare che spingesse, a mostrarsene degni. Bisognerebbe poi aprire un capitolo a parte – per non dire un libro – sul tema dei privilegi concessi agli Ordini Mendicanti, che scatenarono reazioni fortissime in chi se ne vedeva pregiudicato, si trattasse dei Vescovi, del clero secolare o dei maestri dell'Università di Parigi; qui basti dire che, rispetto ad un regime ordinario e universale che affidava tutti i fedeli alla cura di un parroco in modo sostanzialmente esclusivo, soltanto la prova tangibile di una straordinaria utilitas Ecclesiae,19 intesa proprio nel senso di vantaggi spirituali per i fedeli, ha consentito deroghe di portata veramente eccezionale, che consentivano ai frati di muoversi liberamente, predicare e confessare nel territorio di chicchessia, e solo il successo costante di quest'apostolato ha fatto sì che simili concessioni – aggiustamenti di dettaglio a parte – durassero nei secoli.