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Diritto e prassi nell’attualismo giuridico

Prescrizione
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Indice

1. Prescrizioni normative e azione umana

2. Il neo-idealismo italiano

3. Diverse etimologie

4. Le relazioni fra vita e norma giuridica

5. Antitesi ideologica

 

1. Prescrizioni normative e azione umana

Sorge spontaneo, sovente, l’interrogativo attinente ai rapporti intercorrenti fra ciò che le prescrizioni legali statuiscono e la struttura fenomenologica dell’azione umana. La matrice direttiva della realtà giuridica implica una conformità degli atti ad uno schema normativo ed una conseguente e reciproca relazione tra volontà e azione. La storia della filosofia del diritto ci fornisce molteplici risposte a queste forme di connessione, suscitando ulteriori quesiti. È necessario domandarsi, pertanto, entro quali limiti la libertà dell’atto si confronti con il contenuto e la struttura delle prescrizioni giuridiche.

 

2. Il neo-idealismo italiano

 La  nostra vita risulta continuamente sottoposta a forme di invasione “normativa” - non solo di carattere giuridico, ma altresì morale ed etico-sociale.

Rendere conto di tale relazione e, quindi, delle modalità di affrontare queste rappresentazioni è stato uno dei più importanti tentativi del movimento attualistico. È merito di Giovanni Gentile (padre fondatore, assieme a Benedetto Croce, della corrente del c.d. neoidealismo italiano) l’aver consentito uno sviluppo a quegli studi dottrinali che hanno indagato le tematiche giuridiche secondo un indirizzo di radice attualistica [Pinazzi, 2015; Frosini, 1978].

Quando si prende in esame la questione dei rapporti fra diritto e prassi di vita, quindi, è necessario chiarire sulla base di quali presupposti, tali concetti vengono affrontati.

Su questa scia è doveroso osservare come il diritto è, per Gentile, una posizione astratta della coscienza – una dimensione logica ed ontologica conformata nella sua antecedenza rispetto al momento etico.

In tale prospettiva, pertanto, l’atto morale, volontà che si realizza, si oppone al diritto, volontà già realizzata, venendo a riprodurre l’aspetto vitale e quindi intimamente reale degli atti esistenziali.

Il mondo dell’azione, che non esiste se non nella sua necessità – vera sintesi tra libertà e dovere rappresenta ciò che l’individuo sente di dover compiere, valicando, all’occorrenza, ciò che le prescrizioni giuridiche dispongono.

In tale ottica l’idea gentiliana sembra trovare una corrispondenza con l’approccio crociano laddove questi solleva la questione dell’impossibilità strutturale di un “adempimento” nel senso lato del termine: tra la prescrizione linguistica e l’atto umano non si può mai stabilire una vera relazione di ottemperanza/violazione giacché ogni atto, di per sé, costituisce una novità, un elemento di originalità [Croce, 1909].

Questo sembra addirittura richiamare, seppur in una diversa prospettiva, la visione kelseniana della delegazione dei poteri e della necessaria carica innovativa che innerva ogni atto che fa seguito, normativamente, a quello antecedente, con ciò suggerendo una dimensione creativa dell’operare giurisdizionale (e di quello amministrativo, afferendo, per Kelsen, entrambi alla sfera esecutiva opposta a quella della "produzione giuridica") [Kelsen, 1963].

 

3. Diverse etimologie

Ma è possibile parlare di esecuzione, da parte del soggetto, della prescrizione giuridica? O è forse meglio parlare di “attuazione”?

Il verbo “attuare”, dal latino medievale actuare, allude, sulla scia dei postulati della filosofia cristiana, all’operazione del “portare dalla potenza all’atto”; in questo senso, la prescrizione giuridica verrebbe ad assumere dei connotati di incompletezza e l’atto che sopraggiunge si qualificherebbe come la vera e compiuta realizzazione della sfera della giuridicità.  

Il passaggio dalla potenza all’atto denoterebbe e confermerebbe, quindi, una preminenza dell’azione sulla sfera normativa, assecondando, nuovamente, la scissione tra i due ambiti di operatività. Se, ancora, osserviamo un altro uso linguistico ricorrente nel gergo normativo - esecuzione - gli elementi essenziali non cambiano: il termine risulta ricorrente già nel lessico giuridico del diritto romano e poteva alludere, indifferentemente sia al compimento di un atto giuridico nonché alla gestione ed amministrazione di una provincia.

Ancora più curioso se volgiamo il nostro sguardo alle origini etimologiche del verbo “applicare”, dal latino applĭco che indica, distintamente, l’“apporre”, il “congiungere”, “inire” o, ancora, “adattare”, dove il riferimento alla duplice dimensione del rapporto fra fattispecie legale-astratta e fattispecie concreta e la necessità della loro correlazione, ai fini dell’inclusione della seconda nella prima, appare più coerente alle su esposte radici etimologiche. L’attualismo cerca di sondare questo sostrato lessicale per ridefinirlo secondo ulteriori paradigmi filosofici.

 

4. Le relazioni fra vita e norma giuridica

Tali elementi ci consentono di sottolineare come, nel mondo del diritto, conviva una sorta di “presunzione”, e cioè che vi sia, da una parte, la sfera normativa-astratta che assume contorni precari e pertanto mal definiti, sempre in attesa di subire mutazioni o forme di modificazione giacché non strutturata in una coerente relazione con la vita “effettiva”; dall’altra, le “cose della vita”, l’esperire quotidiano degli accadimenti.

Tale consapevolezza la si rintraccia già negli insegnamenti degli antichi, scriveva  Aristotele: «Quando dunque, la legge parla in universale, ed in seguito avviene qualcosa che non rientra nella norma universale, allora è legittimo, laddove il legislatore ha trascurato qualcosa e non ha colto nel segno, per aver parlato in generale, correggere l’omissione e considerare prescritto ciò che il legislatore stesso direbbe se fosse presente, e che avrebbe incluso nella legge se avesse potuto conoscere il caso in questione» [Aristotele, 2003].

Tale citata “presunzione” e l’abbattimento della stessa è uno dei principali obbiettivi della scuola teorica attualistica, che cerca di fare della intima correlazione fra diritto e prassi uno degli elementi portanti della sua ricerca filosofico-giuridica.

Il flusso della vita giuridica non è sezionabile in diversi frammenti di sviluppo, ma il momento esecutivo (o attuativo, che dir si voglia) rappresenta la fase di incremento strutturale della normatività. Nel momento in cui la forza della legge si rende viva ed operosa nell’impegno dell’individuo, si concretizza anche la possibilità di una sua reale efficacia.

Un’arbitraria dilatazione delle due fasi costituisce un errore per un’adeguata comprensione della loro unitaria logica di sviluppo. La scissione tra questi è paragonabile, nella medesima guisa, alla frattura tra diritto e morale. Non vi è una incerta astrattezza a cui far fronte mediante la successiva attività applicativa.

Il diritto costituisce la fase “prodromica” dell’intero processo di affermazione del “giuridico” che è al contempo etico-morale. La distinzione, originata dalle costruzioni teoriche gentiliane, fra volere-voluto e volere volente-in-atto, allude proprio a questa strutturale uniformità del processo di affermazione del diritto.

Il diritto origina dall’etica e ritorna ad essa, ma il suo inveramento nel momento etico e quindi la sua reale attuazione nell’esistente, non rappresenta una semplice promanazione più specifica di ciò che a livello generale era stato già previamente delineato: è proprio il momento etico che rende il diritto efficacemente operativo nella prassi [Gentile, 2003].

In questo senso la distinzione tra il momento produttivo della norma e lo stadio esecutivo della stessa viene superato a favore di un processo organico che smobiliti, dal punto di vista filosofico-trascendentale, la distinzione tradizionale tra ruolo legislativo e compito giudiziario.

È forse questo uno dei maggiori paradossi in cui cade l’attualismo giuridico italiano: non essere stato capace di portare una radicale e, per certi versi, originale impostazione teoretica sul campo dell’empiria la quale, troppo spesso rigettata, non è mai stata totalmente accolta neanche dagli stessi adepti che si sono ispirati agli insegnamenti del filosofo siciliano.

 

5. Antitesi ideologica

La dialettica fra struttura fenomenologica dell’accadere giuridico e meta-indagine teoretica sullo stesso, conduce pertanto ad una deflazione euristica di comprensione finale del momento costitutivo della giuridicità.

L’attualismo, nell’ottica di un monismo radicale, cerca di leggere i dati della realtà secondo una prospettiva trascendentale che nega ogni possibilità di dualismo. Come risolvere, tuttavia, l’impasse determinato proprio dal connotato caratteristico e, in una prospettiva pratica, evidente, quale quello della dualità persistente in ogni fenomeno che attribuiamo, secondo le nostre categorie, al mondo del diritto?

Come conciliare una filosofia spiccatamente monistica e unitaria con una realtà giuridica intrinsecamente connotata da tendenze dualistiche?

È proprio questo interrogativo che innesta una tensione contraddittoria e cioè se la lettura speculativa del padre dell’attualismo debba ritenersi una visione prospettica sul reale o, invece, un esercizio di natura interpretativa diretto ad una attuazione pratica. Risultano fungibili le categorie proprie dell’attualismo giuridico laddove si tenti di “applicarle” al contesto socio-giuridico di riferimento?

Il problema uscito dalla porta rientra dalla finestra: ancora una volta presupponiamo una dualità ontologica che l’idealismo rigetta e, così, di conseguenza, si palesa un’incoerenza tra la visione gnoseologica dell’idealismo attualistico e l’ideologia implicita e presupposta degli ordinamenti giuridici occidentali: incoerenza che appare incomunicabilità.

Cercare di rendere minimo il grado delle suddette contraddizioni, cercando una sinergia fra la teoria e prassi - ad ogni livello di lettura del reale - rappresenta uno dei maggiori obbiettivi dell’idealismo giuridico.

Non è un caso, infatti, che diversi esponenti dell’attualismo, i quali hanno cercato di dar seguito agli insegnamenti gentiliani, abbiano tentato non solo di affrontare il problema speculativo della “giuridicità” secondo un indirizzo teorico, ma abbiano altresì proposto concrete prospettive di riforma per un ripensamento totale del sistema giuridico nel suo complesso.[Spirito, 1974].

Aristotele, Etica Nicomachea, V, Bompiani, Milano 2003.

Croce, Benedetto, Filosofia della pratica. Economica ed Etica, Laterza, Bari 1909.

Frosini, Vittorio, L’idealismo giuridico italiano, Giuffrè, Milano 1978.

Gentile, Giovanni, Genesi e struttura della società, Le Lettere, Firenze 2003.

Gentile, Giovanni, I fondamenti della filosofia del diritto,  Le Lettere, Firenze 2003.

Kelsen, Hans, Teoria generale del diritto e dello Stato, Edizioni Comunità, Ivrea, 1963.

Lalatta Costerbosa, Marina, Diritto e filosofia del diritto in Croce e Gentile, in “Croce e Gentile, Enciclopedia Treccani 2016

Maggiore, Giuseppe, Il problema del diritto nel pensiero di Gentile, in “Giovanni Gentile. La vita e il pensiero” (a cura delle Fondazione Gentile per gli studi filosofici), vol. I, Sansoni Editore, Firenze 1948.

Marini, Giuliano, “Aspetti sistematici della “Filosofia del diritto” di Gentile, in “Giornale critico della filosofia italiana”, LXXIII, 1994, pp. 462-483

Pinazzi, Andrea, Attualismo e problema giuridico. La filosofia del diritto alla scuola di Giovanni Gentile, Aracne editrice, Roma 2015.

Punzo, Luigi, Formalismo, attualismo e scienza del diritto, in “Bollettinobibliografico per le scienze morali e sociali”, nn. 33-34, 1976.

Spirito, Ugo, Storia del diritto penale italiano. Da Cesare Beccaria ai nostri giorni, Sansoni, Firenze 1974.

Troncarelli Barbara, Complessità dilemmatica. Logica, scienza e società in Giovanni Gentile, Mimesis, Milano-Udine 2012.

Troncarelli, Barbara, Diritto e filosofia della pratica in Benedetto Croce, 1900-1952, Giuffrè, Milano 1995.