Stato, società, costituzione: immagini e paradigmi

Tiedosto, Paul Gaugin, 1898, National Gallery of Scotland
Tiedosto, Paul Gaugin, 1898, National Gallery of Scotland

Abstract

A partire dall’Ottocento, in Europa, si sono diffusi diversi paradigmi del fenomeno statuale, in stretta dialettica con molteplici rappresentazioni della realtà sociale e costituzionale le quali, retroagendo sui modelli originari, ne hanno determinato la necessità di una continua rivisitazione teorica.

 

Indice:

1. Lo Stato-persona e l’orizzonte giuridico

2. Stato e società

3. Stato, legge, costituzione

4. Lo Stato ‘costituzionale’

 

1. Lo Stato-persona e l’orizzonte giuridico

Il problema dello Stato assume diverse configurazioni a seconda dello sguardo prospettico attraverso il quale lo si osserva, vivendo di una ambiguità che oscilla tra la sua rappresentazione e l’oggetto a cui lo stesso modello teorico si riferisce: tra il nome e la cosa.

Nel pensiero giuridico occidentale si sono susseguite diverse concettualizzazioni del fenomeno “Stato” che hanno partorito una pluralità di figure, immagini, paradigmi [Costa, 1986].

A livello istituzionale le vicende del cosiddetto ‘Stato moderno’ [Matteucci, 1993] si inseriscono in un processo di lungo corso che trova il suo primo germe di sviluppo a partire dal declino della societas medioevale e che, passando per l’affermazione degli Stati assoluti [Amato-Clementi, 2006; Volpi, 2018] porta alla grande stagione delle rivoluzioni di fine Settecento, le quali daranno impulso, nel secolo decimonono, all’affermarsi, nelle principali realtà europee, di  costituzioni vòlte a regolamentare le prerogative regie, la struttura della forma di governo e i diritti soggettivi dei cittadini (nella forma, limitata, dei diritti negativi di libertà).

La costruzione di una teoria dello Stato orientata al metodo giuridico si fa strada nella cultura tedesca a partire dall’Ottocento attraverso la elaborazione tecnica del diritto pubblico influenzando, poi, le altre nazioni europee, fra cui l’Italia [Fioravanti, 2001].

Ciò che rendeva inquieti giuristi come Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952), tra i principali fautori, all’interno della penisola, del processo di diffusione di una nuova dottrina ‘giuridica’ dello Stato, erano due ordini di “abusi”: per un verso, la degenerazione della trattazione di natura esegetica, frutto dell’estremizzazione di un approccio meramente pratico del diritto, per altro verso, la degradazione dell’elemento teorico che si riversava in una prospettiva di natura filosofica.

Era necessario, invece, ricercare un metodo propriamente giuridico che consentisse di inquadrare scientificamente i problemi dello Stato. Non si poteva non guardare, al fine di identificare un criterio valido per questa rinnovata impresa scientifica, all’altro grande ramo del diritto che, a differenza di quello pubblicistico, godeva di una storia millenaria: il diritto privato.

Ai giusprivatisti, infatti, Orlando invidiava un tipo di metodologia consolidata, che portasse a discettare con certezza delle categorie e dei problemi classici della disciplina, senza il rischio di commistione con elementi estranei. Era indispensabile riuscire a discutere con padronanza scientifica di concetti quali ‘Stato’, ‘sovranità’, ‘governo’. Al fine di evitare le degenerazioni di cui sopra, era d’uopo, pertanto, considerare il diritto come complesso di principî giuridici sistematicamente coordinati. Questa aderenza ai principî consentiva, ad Orlando, di oltrepassare l’ancoraggio al semplice dato normativo, richiamandosi ad una sistematica ordinante di più ampio spettro, nonché di aggirare i discorsi di natura meramente “filosofica”.

Tale linea teorica si radica nella dottrina dello Stato tedesca dell’Ottocento, e ne sono espressione giuristi come Carl Friedrich von Gerber (1823-1891), Paul Laband (1838-1918), Georg Jellinek (1851-1911). La costruzione di un metodo ‘giuridico’ nella analisi dello Stato si basava sulla fondazione di una tattica di “contenimento della decisione politica”, a cui si giungeva attraverso la costruzione dello Stato ‘giuridico’, nel quale si riassumeva l’organica totalità del popolo [Fioravanti, 1979].

L’esito di queste riflessioni è la definizione dello Stato come persona giuridica [Balladore Pallieri, 1964]. Lo Stato diveniva il centro di gravitazione attorno al quale ruotava l’intero asse del ‘politico’, filtrato attraverso forme giuridiche in grado di conferirgli stabilità, durata, certezza, prevedibilità. La sovranità politica veniva pertanto ridotta alla manifestazione di volontà dello Stato, in un tentativo di bilanciamento tra principio monarchico e parlamentarizzazione del sistema. La volontà statale si esprimeva nella forma della legge, fonte di garanzia dei diritti individuali.

La nota teoria dei diritti pubblici soggettivi di Jellinek, la quale fondava il riconoscimento dei diritti dei cittadini in un atto autolimitativo dello Stato, presupponeva la fiducia nella legge quale strumento in sé necessariamente coerente. Tale coerenza era rafforzata da una concezione del popolo come entità organicamente compatta, espressiva di una realtà unitaria.

La concezione dello Stato-persona assumeva, come dato incontestabile, la tendenziale omogeneità della società. Con il Novecento e la presa di consapevolezza della ineludibile conflittualità del momento sociale e dell’esigenza di una sua regolamentazione, si faranno alte nuove voci, tra le quali quella di Hans Kelsen (1881-1973).

Egli arriverà a concepire lo Stato non solo come esattamente simmetrico e sovrapponibile all’ordinamento giuridico – nello specifico, ad un ordinamento accentrato, originario, dotato di una sfera territoriale di efficacia ed effettivo – ma anche come il prodotto della conflittualità sociale che, in un dato momento di equilibrio, si incorpora in una struttura politico-giuridica. La concrezione di una parte degli interessi sociali si fanno statali, ma ciò non costituisce un esisto ineluttabile, giacché altri interessi potrebbero trovare la propria forma di realizzazione e stabilizzazione in altre entità associative o corporative. Rispetto alla tradizione dello Stato-persona e alla ipostatizzazione della forma-Stato Kelsen si presenta come un radicale critico.

 

2. Stato e società

Negli stessi anni prendono piede, tuttavia, anche altre forme di pensabilità dello realtà statuale. Uno dei primi tentativi di costruzione teorica dello Stato di stampo sociocentrico si avrà a circa metà Ottocento con Lorenz von Stein (1815-1890). Esemplificativo, ad ogni modo, è il caso dello stesso Jellinek il quale prospetta una lettura sociologicamente orientata quando, nella sua Allgemeine Staatslehre parla di “dottrina sociale” dello Stato opposta alla “dottrina giuridica”.

Per il giurista tedesco la dottrina sociale «ha per contenuto la esistenza obiettiva, storica o naturale dello Stato», mentre la dottrina giuridica si occupa delle «norme giuridiche che in quella esistenza reale debbano manifestarsi» [Jellinek, 1910].

Max Weber (1864-1920), prendendo spunto dalla dottrina di Jellinek, affermava che «quando si parla di diritto, ordinamento giuridico, norma giuridica, è necessario un particolare rigore nel differenziare il punto di vista giuridico da quello sociologico» [Weber, 1908-20]. Egli riconduceva tale distinzione a due diversi criteri: rispettivamente, validità ideale e validità empirica delle norme [Bobbio, 1985]. Lo Stato diviene, così, una parte della teoria dei gruppi sociali. Tra questi vi rientrano anche i gruppi politici i quali, a loro volta, divengono Stati nel momento in cui si verifica un fenomeno di monopolizzazione della forza su un dato territorio, attraverso l’opera stabilizzante di una struttura burocratico-amministrativa.

D’altra parte, tra la fine dell’Ottocento e primi decenni del Novecento emergeranno quelle correnti cosiddette ‘antiformalistiche’ che, cercando il perno della propria elaborazione concettuale nella struttura della società, assumeranno quest’ultima come dato incontestabile ai fini di una fondazione del ‘giuridico’ e, quindi, anche della stessa statualità: il diritto non è riducibile alla forma della legge statale, nella sua dimensione volontaristica e coattiva, ma ritrova nel momento delle relazioni sociali il primo dato di genesi e di formazione. Lo Stato, pertanto, rappresenta una forma di organizzazione sociale che non può pretendere di assorbire l’intero ambito della ‘giuridicità’, dovendo confrontarsi con l’insieme più ampio di quello che, negli anni successivi, verrà definito come ‘sistema sociale’.

Nel Novecento le teorie ‘sociologiche’ dello Stato si svilupperanno in molteplici direzioni. Saranno accomunate, tuttavia, dall’idea che l’entità statale costituisce una variabile (dipendente oppure indipendente) rispetto alle altre parti del corpo sociale, e che la sua natura, forma e contenuto si modificano in base al mutare delle altre componenti. Questo condiviso angolo visuale si svilupperà in diversificate costruzioni teoriche del fenomeno statale le quali, a livello connotativo, porranno l’accento talvolta sugli elementi funzionali rispetto agli scopi che lo Stato persegue talora, invece, in base alle strutture sociali in cui si realizza [Gallino, 1978].

 

3. Stato, legge, costituzione

Se il rapporto tra Stato e società presenta dei profili di continua problematicità e di costante interrogazione teorica e metodologica, altrettanto complessa si configura la relazione tra lo Stato e l’insieme delle norme apicali che si situano al vertice della sua struttura gerarchica.

Il legame fra Stato e costituzione, infatti, ha assunto contorni non pienamente definiti fino all’avvento delle costituzioni del secondo dopo guerra. La concezione di ‘costituzione’ quale vero e proprio documento sovra ordinato rispetto ai poteri dello Stato, e quindi incidente su questi ultimi sia sul piano formale-procedimentale sia su quello materiale e contenutistico, fu elaborata solo successivamente.

La giuspubblicistica tedesca dell’Ottocento rimarrà infatti ancorata, in modo più o meno diretto, agli insegnamenti di Friedrich Karl von Savigny (1779-1861) il quale, pur avendo agito sul terreno privatistico, eserciterà una forte incidenza anche sull’evoluzione del diritto pubblico tedesco ed europeo [Fioravanti, 1979]. Da Savigny la scienza del diritto pubblico mutuerà una visione di costituzione in senso ‘organico’, intesa come insieme di rapporti strutturati fondati sulla cogenza della storia e della tradizione.

In questo modo, la costituzione verrà concepita sempre in via subordinata rispetto alla realtà statuale. Lo Stato rimarrà l’elemento primigenio e la sua espressione di volontà, la legge, un atto di natura formale espressivo del suo potere di imperium. La costituzione non trascende l’insieme dei rapporti concreti. Significativa, in tal senso, la definizione che, nel 1900, fornisce Georg Jellinek: «La costituzione dello Stato comprende i principî giuridici che designano gli organi supremi dello Stato e stabiliscono il modo della loro creazione, i loro reciproci rapporti, la loro sfera di azione, ed inoltre la posizione fondamentale dell’individuo di fronte al potere statale» [Jellinek, 1900].

Fino alle costituzioni del secondo dopoguerra il concetto stesso di ‘costituzione’, quindi, non trovava piena collocazione nella dottrina giuspubblicistica, tendendo a corrispondere con l’insieme dei rapporti strutturati fra gli organi dello Stato: ciò sia che si assuma, sul piano dei modelli teorici interpretativi, una prospettiva di lettura ‘sociocentrica’ o ‘statocentrica’ [Costa, 1986].

L’idea di ‘costituzione’ come “risultante” dell’insieme dei rapporti tra organi apicali è, del resto, uno dei possibili significati che si suole attribuire, ancor oggi, al termine-concetto ‘costituzione’ e che presenta dei nessi semantici con il concetto di ‘costituzione materiale’ [Mortati, 1940], con ciò intendendosi una certa situazione fattuale della distribuzione del potere e, quindi, le regolarità rintracciabili nella formazione e nel funzionamento dei supremi poteri politici [Barberis, 2006].

Nella cultura occidentale ha assunto rilievo anche un altro concetto di costituzione – definibile come ‘documentale’ [Barberis, 2006] – che ha finito per essere quello predominante a livello assiologico e che è riconducibile all’art. 16 della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789, laddove si dichiara: “Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione”. In tal caso la necessità della costituzione formale (e scritta) si coniuga con l’esigenza della separazione dei poteri attraverso la ripartizione di diverse funzioni ad organi distinti, nonché con l’attribuzione ai cittadini di specifici diritti che la costituzione ha lo scopo di garantire e tutelare [Ripepe, 2014].

D’altro canto, il riconoscimento di questi principî non si combina, necessariamente, con la componente scritta, giacché vi sono paesi, come il Regno Unito, che, pur non possedendo una costituzione scritta, risultano dotati, ciò nonostante, di un insieme di consuetudini produttrici, a tutti gli effetti, di vere e proprie regole suscettibili di formulazione normativa [Barberis, 2006].

Le costituzioni dell’Ottocento liberale, ad ogni modo, recepiranno, a livello contenutistico, questi principî, pur con le varianti determinate dalle singole realtà nazionali, dovendo convivere, tuttavia, con un altro portato ideologico della rivoluzione: la centralità della legge. Anzi, dovremmo dire che ciò che maggiormente caratterizza gli Stati liberali di diritto della seconda metà dell’Ottocento è, principalmente, il ruolo capitale attribuito alla legge quale strumento di ordine della realtà sociale.

Il periodo dello Stato liberale di diritto, prodotto (in)diretto di una sempre instabile mediazione tra diverse istanze – quella della sovranità popolare restia ad imbrigliarsi all’interno di forme limitative del suo esplicarsi e quella della garanzia dei diritti, che trovava, invece, nel limite al potere il suo elemento pregnante e caratteristico – figlie della rivoluzione francese andrà incontro ad una crisi a cui le diverse specificità nazionali risponderanno in modo variegato.

La stessa esperienza dello Stato fascista genererà prospettive dottrinali che, pur all’interno di una linea comune condivisa, tenderanno in modo anche contrastante ad accettare, da una parte, i paradigmi della tradizione giuspubblicistica, adeguandoli alla nuova realtà politica, dall’altra a cercare di legittimare una radicale novità istituzionale che si potesse presentare in netta discontinuità rispetto all’epoca liberale [Costa, 1986].

Ad ogni modo, la centralità della legge, prodotto dello Stato-persona, frutto della potestà statuale nel suo libero dispiegarsi, sarà destinata negli anni a venire a subire un processo di rielaborazione teorica che condurrà a dover concepire una sfera sovra-legislativa, quella costituzionale, che si porrà ad un grado superiore rispetto alla legge stessa, con l’obiettivo di una più salda garanzia dei diritti della persona e della partecipazione dei cittadini ai processi decisionali.

 

4. Lo Stato ‘costituzionale’

Solo con le “costituzioni democratiche del Novecento” [Fioravanti, 2001], quindi, nell’Europa continentale, si arriverà a concepire la possibilità di sottoporre la legge a vincoli superiori, sia di natura formale che sostanziale.

Tali ‘tipi storici’ di costituzione, oltre a prevedere dei procedimenti formali per una corretta emanazione delle norme legislative sanciranno, altresì, dei vincoli sostanziali che imporranno, a livello contenutistico, la necessità di adeguarsi, da parte del legislatore e del governo, non solo ai principî giuridici attributivi di diritti ma anche alle direttive di senso unitario che costituiranno il complessivo indirizzo politico della nazione [Mortati, 1940]. A ciò si aggiungerà l’inclusione, all’interno della carta costituzionale, di una serie di principî inviolabili che non risulteranno suscettibili di alcun atto di disposizione da parte delle maggioranze politiche.

Con le costituzioni del secondo dopo guerra, la struttura sociale, che nell’Ottocento liberale veniva formulata e rappresentata come una realtà omogenea tendenzialmente armonica e fondata sulla dinamica stabile dei rapporti di diritto privato, viene assunta nella sua poderosa conflittualità la cui gestione è ora rimessa alle istanze emergenti all’interno della società civile, attraverso l’opera non esclusiva, ma sicuramente cruciale, dei partiti politici [Fioravanti, 2001; Palombella, 1992].

A questi caratteri fondamentali si assoceranno, altresì, il controllo di costituzionalità delle leggi che, pur diversamente declinato nelle singole esperienze istituzionali, assicurerà la conformità delle norme legislative rispetto ai principî e alle regole costituzionali, nonché il cosiddetto ‘principio di rigidità’ che detterà procedure aggravate nel caso di volontà di revisione della costituzione da parte dell’organo parlamentare.

Lo Stato costituzionale, in questo senso, rappresenta quella specifica forma istituzionale, affermatasi storicamente con l’avvento delle ‘costituzioni democratiche’ del Novecento, e che trova il suo epicentro ed elemento caratteristico nella precedenza e vincolatività della costituzione rispetto alla realtà statuale. Allo stesso tempo, il vincolo di imposizione non si arresta, come nel tradizionale ‘Stato di diritto’, al mero legame di natura formale, ma impone altresì l’ottemperanza rispetto a precisi contenuti materiali e sostanziali, espressione di valori custoditi nel seno della comunità [Ferrajoli, 2016].

Indicazioni bibliografiche

Amato, G., Clementi F., Forme di Stato e forme di governo, Il Mulino, Bologna, 2006.

Balladore Pallieri, G., Dottrina dello Stato, Cedam, Padova, 1964.

Barberis, M., Etica per giuristi, Laterza, Roma-Bari, 2006.

Bobbio, N., Stato, governo, società. Frammenti di un dizionario politico, Einaudi, Torino, 1985.

Costa, P., Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi nella cultura giuridica italiana tra Otto e Novecento, Giuffrè, Milano, 1986.

Ferrajoli, L., La democrazia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 2016.

Fioravanti, M., Giuristi e costituzione politica nell’Ottocento tedesco, Giuffrè, Milano 1979.

Fioravanti, M., La scienza del diritto pubblico. Dottrine dello Stato e della Costituzione tra Otto e Novecento, 2 voll., Giuffrè, Milano 2001.

Gallino, L., “Stato, sociologia dello” (voce), Dizionario di sociologia, Utet, Torino, 1978.

Jellinek, G., Allgemeine Staatslehre, Häring, Berlin (1910), trad. it. Società editrice libraria, Milano, 1921.

Jellinek, G., Dottrina generale del diritto dello Stato (1900), trad. it., Giuffrè, Milano, 1949.

Matteucci, N., Lo Stato moderno. Lessico e percorsi, Il Mulino, Bologna, 1993.

Mortati, C., La costituzione in senso materiale (1940), Giuffrè, Milano, 1998.

Palombella, G., Stato dei partiti e complessità sociale, Guida Editori, Napoli, 1992.

Ripepe, E., Sulla dignità umana e su alcune altre cose, Giappicchelli, Torino, 2014.

Volpi, M., Autorità e libertà. La classificazione delle forme di Stato e della forme di governo, Giappicchelli , Torino, 2018 (settima edizione).

Weber, M., Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriss der verstehenden Soziologie, trad.it. Edizioni di Comunità, Milano, 1968.