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Il Registro della bigenitorialità: garanzia o rischio?

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Il Registro della bigenitorialità: garanzia o rischio?

 

Quos amor verus tenuit, tenebit

(Lucio Anneo Seneca)

 

Premessa

Il fenomeno della dissoluzione del nucleo familiare è ormai in costante crescita, data la tendenza delle coppie a privilegiare i bisogni personali a detrimento delle esigenze collettive[1]. Agli inizi del XXI secolo, il legislatore nazionale, preso atto della prevalenza delle necessità dei coniugi sugli interessi dei figli all’atto della separazione, ha attuato una rivoluzione culturale nel quadro dell’affidamento dei minori. In presenza di un assetto legislativo scarsamente attento all’interesse del minore, il giudice individuava tra le parti il genitore affidatario, determinando di fatto un notevole divario relazionale tra i figli ed il genitore non collocatario, accrescendo così il tasso di conflittualità: alla luce di ciò, si riconosce il diritto del minore, anche nell’ipotesi di separazione dei genitori, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi e di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi. Il caposaldo della riforma, dunque, risiede nell’espresso riconoscimento del diritto della prole alla bigenitorialità, qualunque sia la fonte originaria del rapporto tra i genitori e qualunque sia il risultato tra i medesimi. Tuttavia, la bigenitorialità assume maggiore spessore nel contesto della crisi di coppia, in quanto garantisce ai figli la presenza di entrambe le parti: ciò comporta il riconoscimento da parte di ciascun genitore della genitorialità dell’altro come valore permanente che non si limita al periodo positivo della coppia ma permane anche dopo la scissione della comunità familiare[2].

Negli ultimi anni, la maggior parte dei Comuni ha adottato il c.d. “Registro della bigenitorialità”, con l’intento di dare attuazione pratica a tale principio: si tratta di uno strumento che permette ad ambedue i genitori di essere destinatari delle medesime comunicazioni senza alcuno sbilanciamento dell’uno rispetto all’altro. L’istituzione del Registro, però, sembra dividere la classe politica: mentre taluni intravedono nello stesso uno strumento che sancisce la centralità del minore, altri invece sollevano perplessità in termini di funzionalità pratica.

Il presente operato intende accertare l’effettiva efficacia di tale strumento, nonché stabilire se esso risponda alle esigenze dei minori, soffermandosi altresì sul ruolo assolto dalle amministrazioni comunali.


Verso l’inasprimento del conflitto familiare?

È incontestabile che l’istituzione del Registro della bigenitorialità costituisca una pronta risposta alle domande di aiuto dei genitori separati, aventi nette difficoltà nell’ottenere informazioni sui figli in ragione dell’omesso coordinamento con il genitore collocatario. Al contempo, appare doveroso sottolineare che il principio di bigenitorialità promuove il dialogo tra le parti, al fine di consentire alle stesse di adottare congiuntamente le decisioni in nome del miglior interesse dei minori. Pertanto, la presentazione di istanza da parte del singolo si pone in contrasto con l’essenza della bigenitorialità, ponendo un problema di coerenza: uno strumento che persegue l’obiettivo di favorire la bigenitorialità dovrebbe stimolare l’intesa tra le parti e non prescindere dall’attiva collaborazione tra esse[3]. In tale senso, la bigenitorialità rischia di tradursi in un concetto sterile, dal momento che la prima forma di cooperazione tra i genitori consiste propria nella reciproca trasmissione di informazioni e comunicazioni inerenti la prole[4].

Sul piano legislativo, il suddetto strumento non trova terreno fertile in materia di separazione e di divorzio: la decisione arbitraria del singolo potrebbe essere letta in senso avversativo. Oltre a tale rilevante criticità, la controparte potrebbe anche sollevare questioni in termini di tutela della privacy del minore: l’inserimento dei dati personali della prole nel Registro, infatti, potrebbe essere ritenuto contrario all’interesse dello stesso, in ragione della comunicazione dei dati ad ulteriori Enti, Istituzioni ed Ordini Professionali. Sotto tale profilo, i sostenitori dell’istituzione del Registro omettono di specificare le comunicazioni che lo strumento in esame garantirebbe anche al genitore non collocatario: in caso di affidamento condiviso, le decisioni di maggiore interesse per i figli, tra cui quelle riguardanti la salute e l’istruzione, devono essere comunque adottate di comune accordo dai genitori[5].

L’implementazione disomogenea dell’istituto sul territorio nazionale, imputabile all’assenza di una cornice giuridica unitaria che lo inquadri e ne definisca finalità e limiti, ne riduce progressivamente le potenzialità, rendendolo fruibile soltanto in contesti specifici e geograficamente circoscritti[6]. Come emerso in precedenza, la previsione di rigorosi strumenti amministrativi non sembra conformarsi alla peculiarità delle singole situazioni.

In conclusione, il dibattito è destinato a rimanere in stand-by, in ragione del vuoto normativo: “la legge non è uno strumento opzionale per colpire o favorire, ma il mezzo per attuare i principi della Costituzione: di libertà, di tutela e di garanzia, di uguaglianza e di giustizia del cittadino, quando questi vive le difficoltà della vita”[7]. Alla luce di ciò, la creazione di un nuovo strumento amministrativo potrebbe non solo accrescere le tensioni tra le parti, ma avere ricadute negative sull’equilibrio del minore.


La critica posizione dei Comuni: tra desiderio di “riscatto” e nodi burocratici

In ultima analisi, il Registro della bigenitorialità – nell’ottica degli oppositori – rischierebbe di sovraccaricare il quadro dal punto di vista burocratico. Al fine di offrire una valida risposta alla querelle, appare opportuno verificare se tale rischio sussista già o si tratti invece di un’accusa volta a impedire la piena adozione dello strumento sull’intero territorio nazionale. Occorre partire dal presupposto che la collaborazione con la famiglia implica non solo la capacità di poter riconoscere i differenti modelli familiari ma anche di saper integrare conoscenze finalizzate ad instaurare relazioni di sostegno e strategie di intervento in un contesto soggetto continuamente a mutamenti sociali[8]. In realtà, simili perplessità erano state già sollevate in occasione dell’avvento degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie coniugali[9], aventi un incidenza decisiva in termini di deflazione del contezioso giudiziario[10]. Senza entrare nel merito, si segnalano le varie incertezze manifestate in ordine alla trasmissione della convenzione da parte dell’avvocato all’Ufficiale di Stato Civile[11], nonché l’ambiguità circa gli opportuni adempimenti nell’ipotesi di accordo di separazione e divorzio di fronte a quest’ultima figura[12]. Per attestare l’effettiva efficacia dello strumento in oggetto, si dovrebbe fare leva – ad avviso di chi scrive – sugli eventuali benefici apportati da esso anche ad una sola coppia. In tale senso, si ritiene che la conoscenza del servizio possa giocare un ruolo-chiave: la sua scarsa fruibilità dipende dall’estraneità della cittadinanza;  su ciascuna amministrazione comunale, dunque, grava il compito di intensificare il raggio di comunicazione sul territorio.

L’istituzione del Registro della bigenitorialità – a giudizio di chi scrive – potrebbe rappresentare un’importante occasione di “riscatto” per gli Enti locali[13]. In talune realtà, la gestione di tale strumento è stata affidata in via temporanea al servizio sociale comunale: è necessario non trascurare che quest’ultimo assolve un ruolo considerevole nella promozione del benessere, nella riduzione del bisogno, delle condizioni di svantaggio e di difficoltà di minori e famiglie, un ruolo che assolve in collaborazione con altre istituzioni[14]. Tuttavia, sarebbe opportuno che ciascuna amministrazione mantenesse una propria autonomia regolamentare nella tenuta del Registro.


Conclusioni

Giunti a tale punto, appare opportuno compiere brevi considerazioni in relazione all’oggetto di tale lavoro. In passato, le perplessità sull’efficacia del Registro della bigenitorialità si sono spinte sino a spostare l’attenzione sulla cogenitorialità; tale variazione trovava giustificazione nel dovere dei genitori di allacciare le relazioni nel quadro della separazione; quest’ultima implica un esercizio di responsabilità da condividere nell’interesse del minore[15]. A tale proposito, appare ragionevole ricordare che talvolta le parti, pur desiderose di occuparsi della prole, si ritrovano in una condizione di radicale difficoltà. È da tempo assodato che il principio della bigenitorialità non sottende la necessità di una proporzione aritmetica in termini di parità di frequentazione del genitore, ma sostiene e attua il diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio, e quello paritario del minore a mantenere vivi i rapporti con entrambe le parti[16].

Il punto critico non risiede nel concetto di bigenitorialità, bensì nella sua mancata attuazione, ossia nelle diverse cause che ostacolano il dialogo e la collaborazione tra i genitori. Pertanto, sarebbe doveroso predisporre un complesso di misure di promozione e tutela della famiglia e dei suoi membri.

È indiscutibile che l’istituzione del Registro della bigenitorialità prenda le mosse dalla necessità di garantire il superiore interesse del minore; la sua utilità emerge soprattutto nelle situazioni in cui uno scambio di informazione non possa essere lasciato ai genitori in acceso conflitto. Tuttavia, il vuoto normativo e l’incertezza in ordine modalità di funzionamento dello strumento non consentono di offrire una risposta positiva in termini di effettiva tutela dei minori.

Di recente, si è affermata l’idea che l’unica scopo perseguito dal Registro consista nell’avvallare il pregiudizio che il genitore collocatario (solitamente coincidente con la figura materna) ponga in essere atteggiamenti avversivi nei confronti del genitore non collocatario, che appare ingiustamente privato del proprio diritto di esercitare la responsabilità genitoriale. Un intervento immediato e scrupoloso del legislatore nazionale andrebbe a smentire tale considerazione.

 

Note:

[1] In particolare, M. Pedrazza Gorlero, L. Franco, La deriva concettuale della famiglia e del matrimonio. Note costituzionali, in Diritto pubblico, 2010, 270, affermano che “la deriva concettuale della famiglia apre su orizzonti segnati da un processo di trasformazione antropologica, nei quali con difficoltà ci si può muovere con la sola bussola della scienza giuridica”.

[2] E. Giannella, M. Palumbo, G. Vigliar, Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, Roma, 2007, 39.

[3] D. Bianchini, Registro della bigenitorialità: buone intenzioni, esiti dubbi, in Centro studi Rosario Livatino, 29 luglio 2022.

[4] “Si è chiesto ai genitori di mantenere, pur nella crisi familiare e nel successivo allontanamento legittimo e materiale delle vite personali, un confronto dialettico delle rispettive posizioni e convinzioni personali sulle questioni riguardanti i figli e di proseguire lo sforzo di superamento delle rispettive posizioni nell’individuazione di un comune progetto educativo e di crescita per il minore” (Osservazioni alle proposte di modifica ddl S 957 in tema di affidamento condiviso a cura del Gruppo Civile dell’UNCM, in www.camereminorili.it).

[5] Con nota 2 settembre 2015, n. 5336, il Ministero dell’Istruzione ha delineato alcune delle azioni

amministrative che le istituzioni scolastiche possono attuare per agevolare la piena attuazione del principio di bigenitorialità a beneficio del figlio di genitori separati: “inoltro, da parte degli uffici di segreteria delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, di tutte le comunicazioni – didattiche, disciplinari e di qualunque altra natura – anche al genitore separato/divorziato/ non convivente, sebbene non collocatario dello studente interessato; individuazione di modalità alternative al colloquio faccia a faccia, con il docente o dirigente scolastico e/o coordinatore di classe, quando il genitore interessato risieda in altra città o sia impossibilitato a presenziare personalmente; attribuzione della password, ove la scuola si sia dotata di strumenti informatici di comunicazione scuola/famiglia, per l’accesso al registro elettronico, ed utilizzo di altre forme di informazione veloce ed immediata (sms o email); richiesta della firma di ambedue i genitori in calce ai principali documenti (in particolare la pagella), qualora non siano in uso tecnologie elettroniche, ma ancora moduli cartacei”. Nella stessa nota, il MIUR suggerisce, laddove per la gestione di pratiche amministrative o didattiche inerenti l’alunno risulti impossibile acquisire il consenso scritto di ambedue le parti, ovvero laddove una di esse sia irreperibile, di inserire nella modulistica la seguente frase: “Il sottoscritto, consapevole delle conseguenze amministrative e penali per chi rilasci dichiarazioni non corrispondenti a verità, ai sensi del DPR 245/2000, dichiara di aver effettuato la scelta/richiesta in osservanza delle disposizioni sulla responsabilità genitoriale di cui agli artt. 316, 337 ter e 337 quater del codice civile, che richiedono il consenso di entrambi i genitori”.

[6] F. Fusi, Il Registro della Bigenitorialità: realtà o utopia?, in ProntoProfessionista.it, 22 aprile 2020.

[7] G. Spira, Registro della Bigenitorialità, in Genitoriseparati.it, 2019.

[8] In tale senso, è interessante il lavoro di L. Fruggeri, Famiglie. Dinamiche interpersonali e processi psicosociali, Roma, 1997.

[9] D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162. Per un primo commento, tra i numerosi, si veda F. Danovi, Il D.L. n. 132/2014: le novità in tema di separazione e divorzio, in Fam. e dir., 2014, 949 ss.; B. Poliseno, La procedura di negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in Giusto proc. civ., 2015, 191 ss.; F. Tommaseo, La separazione e il divorzio: profili processuali e “degiurisdizionalizzazione” alla luce delle recenti riforme, in Corr. giur., 2015, 1141 ss.; A. Caratta, Le nuove procedure negoziate e stragiudiziali in materia matrimoniale, in Giur. it., 2015, 1287 ss; S. Caporusso, Profili processuali delle nuove procedure consensuali di separazione e divorzio, in Riv. dir. civ., 2015, 709 ss.; E. D’Alessandro, La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, 1278 ss.; M.N. Burgetti, Separazione e divorzio senza giudice: negoziazione assistita da avvocati e separazione e divorzio davanti al Sindaco, in Corr. giur., 2015, 665 ss.; F. P. Luiso, La negoziazione assistita (art. 6 e 12 d.l. n. 132/2014), in Nuove leggi civ., 2015 665 ss. Sulle recenti novità, si veda A. Florita, Il nuovo perimetro della negoziazione assistita per la soluzione delle controversie in materia di famiglia ex art. 6, D.L. n. 132/2014 nel disegno di legge A.C. 3289 (art. 1, comma 35), in Familia – Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa, 27 dicembre 2021; F. Consoli, La negoziazione assistita in materia familiare allarga gli orizzonti di operatività: le novità introdotte alla Legge Cartabia, in Quaderni Forensi Veliterni, n. 2, 2022

[10] Difatti, nella relazione della Commissione Luiso nominata – a fronte del disegno di legge sulla riforma del processo civile n. 1662/S/XVIII – per “l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi”, si ammette esplicitamente di avere portato a termine l’obiettivo di potenziare l’uso dei procedimenti da svolgersi fuori dalle aule giudiziarie. In tale contesto, la predetta Commissione si pone l’ambizioso obiettivo di contribuire a pianificare una differente cultura della crisi familiare “non più fondata sul conflitto ma sulla composizione degli interessi nell’ottica di creare un nuovo assetto di relazioni all’esito della fine della relazione personale”.

[11] M. G. Ruo, Negoziazione assistita nella separazione e divorzio, Santarcangelo di Romagna (RN), 2016, 64 ss.

[12] G. Dosi, La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2016, 107 ss.

[13] Sul punto, si veda L. Pacini, La tutela dei minori e il ruolo dei Comuni, in Minori giustizia, n. 1, 2020, 67-75.

[14] È quanto sancito dall’art. 16 della legge 8 novembre 2000, n. 328 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”). Come osservato da E. Miceli, Il ruolo dei servizi sociali nei casi di separazione e di divorzio, in M.C. Biscione, M. Pingitore (a cura di), Separazione, divorzio e affidamento. Linee guida per la tutela e il supporto dei figli nella famiglia divisa, Milano, 2013, 183, dall’analisi dell’articolo sopracitato si apprende che “le politiche sociali devono camminare su un doppio binario che attiene alla predisposizione di interventi che si occupino delle situazioni ordinarie che vive la famiglia e delle situazioni straordinarie o di crisi. Il primo binario è costituito dalle politiche preventivo-promozionali rivolte alla comunità familiare, mentre il secondo è costituito dalle politiche riparativo-contenitive”.

[15] Particolarmente interessanti sono gli studi psicologici di A. Lis, Separazioni conflittuali e co-genitorialità: la voce dei figli, in Psicologia clinica dello sviluppo, n. 1, 2021, 107-114; P. Di Blasio, M. C. Verrocchio, E. Camisasca, A. Curci, Quale cogenitorialità nelle situazioni separative conflittuali?, in ibidem, n. 3, 2019, 409-422; E. Camisasca, S. Miragoli, L. Milani, P. Di Blasio, Adattamento di coppia, cogenitorialità e benessere psicologico dei figli: uno studio esplorativo, in Psicologia della Salute, n. 2, 2016, 127-141; D. Scarzello, A. Arace, Percorsi verso la cogenitorialità: 2+1 fa sempre 3?, in M. Naldini (a cura di), La transizione alla genitorialità. Da coppie moderne a famiglie tradizionali?, Bologna, 2015, 149-171; A. Lubrano Lavadera, R. Di Benedetto, M. Malagoli Togliatti, Il processo di riorganizzazione delle famiglie separate: adattamento, cogenitorialità e alleanze familiari, in Riv. di studi familiari, n. 2, 2008, 76-94.

[16] Cass., 10 dicembre 2018, n. 31902.