Una protesta non violenta per scardinare l’inerzia

Lettera di un detenuto a compagne e compagni di detenzione

carcere
carcere

È una estate rovente dentro le carceri italiane, il solito caldo amplificato dal cemento delle strutture e aggravato da un sovraffollamento che non si vedeva dal 2012; le rivolte sono sempre più frequenti e coinvolgono detenuti ed agenti, questi ultimi incolpevoli custodi obbligati dal servizio ad intervenire e spesso ne riportano i segni.

L’aria in carcere è divenuta insostenibile, tra inefficienze croniche, fatiscenza delle strutture a cui oltre le promesse di intervento non si va, al sovraffollamento aggravato da nuovi reati introdotti dalla politica a tacitare la continua sete di sicurezza sociale e di consenso, sempre più penitenziari vedono sommosse e proteste dei detenuti con conseguenti, anche involontari, scontri con gli agenti. Ormai neppure i suicidi, giunti a 71 dall’inizio dell’anno (64 detenuti e 7 agenti penitenziari) inducono ad una riflessione vera, senza pregiudizi e senza dimostrazioni di forza “ideologica”, lo scontro, che sullo sfondo si rappresenta fisico con le inconcludenti “sceneggiate” di alcuni penitenziari, si sta trasformando in folclore.

Eppure è ben chiaro a tutti il tema: la pena detentiva costituisce privazione della libertà personale ed è la conseguenza di una violazione delle regole fissate dall’ordinamento, la pena DEVE volgere alla risocializzazione (art. 27 cost.) essere cioè orientata alla funzione rieducativa del condannato affinché riacquisti consapevolezza dell’errore, delle regole e venga aiutato con una partecipazione collettiva dello stato (istituzioni e società civile) al reinserimento – rientro attivo e responsabile nella società.

La pena non è, non deve e non può essere, vendetta somministrata attraverso il carcere; non può ridursi a male che si infligge a chi male ha provocato con le sue azioni, perché sarebbe contraria all’etica dello Stato ed alla Costituzione della Repubblica.

Eppure oggi la pena detentiva si concretizza in una angheria prolungata nel tempo irrogata nelle patrie galere da uno Stato, o meglio da una politica miope ed incapace di tradurre in azioni i principi costituzionale del reinserimento partecipato e risocializzativo.

Le bugie sulla “certezza della pena” e sul “giustizialismo” non garantiscono la nostra sicurezza e, per vincere questa partita, bisogna pretendere il rigoroso rispetto dei diritti dei detenuti. Non è un’opzione ma un dovere di chi governa, a prescindere da quel che è stato fatto, o non fatto, “prima”, e senza aspettare che a imporlo siano la Consulta, il Quirinale, oppure l’Europa, come nel 2013

I condannati italiani (oltre 61mila persone) si trovano nei penitenziari italiani (149) nella prevalenza inerti ed improduttivi, abbandonati a sé stessi in situazioni di sovraffollamento cronico e con strutture dove le regole igienico sanitarie essenziali sono rese evanescenti da condizioni fatiscenti, carenze strutturali, disorganizzazione.

Il quadro è certificato da innumerevoli sopralluoghi e denunce fatte dai Garanti, dalle organizzazioni di volontariato che entrano in carcere per dare un sostegno minimo; lo stesso personale di polizia penitenziaria denuncia le carenze strutturali e di organico che impediscono una vita ordinata e attiva, opportunamente seguita e vigilata, delle persone che in carcere vivono.

Difronte al crescente, ed oggi non più accettabile, sovraffollamento unito alla mancanza di personale, la solitudine nelle celle e la condizione estrema di non vita, hanno portato i suicidi al numero elevatissimo che si è ricordato, ora a fronte di mancate risposte e difronte a risposte inadeguate (come quelle dell’ultimo decreto) che invocano un “giustizialismo dopo la condanna”, si fanno strada le proteste scomposte di molti carceri dove si assiste a ribellioni sterili che si concludono quasi sempre con sanzioni disciplinari e scontri con la polizia.

In una fase di emergenza che reclama misure urgenti ed efficaci, non si può rispondere “costruiremo nuove carceri”, anzitutto per i tempi biblici necessari, poi per la sperimentata scadente qualità delle carceri “moderne” e infine perché, senza una cultura costituzionale della pena, avremo solo “contenitori di corpi” e “cimiteri dei vivi”.

Pannella, che sempre si adoperò per la dignità in carcere, per una condizione più degna alla natura umana, che ha invocato pene alternative alla pena detentiva, con una valutazione più adeguata all’effettivo reinserimento, oggi non sarebbe concorde con le sommosse emulative, con i fuochi appiccati, con le grida inconcludenti.

Difronte ad una politica sorda, che vuole mostrare i muscoli reattivi alle sterili provocazioni, che ha perduto l’obiettivo risocializzativo della pena, convinta che la soluzione sia il braccio di ferro, e la fermezza punitiva, lontane anni luce dai principi costituzionali della risocializzazione, serve forse una atto di coraggio estremo che disarmi le Istituzioni sorde e muscolose, un qualcosa che neutralizzi la reazione violenta a catena tra detenuti e agenti, alla fine sempre relegati, loro malgrado, all’eterno contrasto di “guardie e ladri”.

Occorre in questo momento delicato di sovraffollamento degradante e disumano e di morte nelle carceri italiane, dare un segnale diverso, porre in atto una protesta forte e silenziosa capace di destare tanto rumore da costringere la sorda politica al confronto.

Anziché protestare in modo scomposto e violento rifiutando di rientrare nelle celle bruciando materassi e distruggendo i pochi vetusti arredi, alla fine facendo il gioco della politica che ha anche inasprito le pene per i responsabili di proteste e sommesse dentro le carceri, a riprova del braccio di ferro intrapreso, occorre disarmare la politica, renderla incapace di reazione: come?

Una protesta silenziosa e non violenta, che Pannella apprezzerebbe, comprendendone la disarmante efficacia: l’invito a tutti i detenuti nei penitenziari italiani a:

  • NON uscire dalle celle quando vengono aperti i cancelli non andando all’Aria e rimanendo sulle brande;
  • Non consumare i pasti rifiutando di ritirarli quando vengono distribuiti
  • NON effettuare acquisti (Spesa) di qualsiasi genere (alimenti e tabacco)
  • Accettare solo i medicinali prescritti e bere acqua

Il tutto per sette giorni consecutivi, tutti simultaneamente con battitura delle sbarre una volta al giorno per 30 minuti dalle 12 alle 12,30 e richiedendo in ogni carcere la presenza/visita congiunta del Ministro del Presidente della Corte Costituzionale e del Garante dei detenuti

  •  

Si tratterebbe di una protesta silenziosa che finirebbe per fare molto rumore, disinnescando qualsivoglia scontro, e pretesto per dire che i detenuti hanno provocato disordini e sommesse e quindi vanno puniti.

Una protesta silenziosa e gandhiana che potrebbe rivelarsi capace di elevare alto il grido della indignazione!