Coltivazione domestica di stupefacenti: la Cassazione adotta il criterio della prevedibilità della futura produttività

TU 309/90 e stupefacenti
TU 309/90 e stupefacenti

Coltivazione domestica di stupefacenti: la Cassazione adotta il criterio della prevedibilità della futura produttività

 

La Quarta Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 8 ottobre 2025 n. 33193, ha affrontato il tema della rilevanza penale della coltivazione domestica degli stupefacenti, fattispecie prevista dall’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti (D.P.R. 309/90).

         Prima di risolvere la questione di diritto, la Suprema Corte ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 1995, la quale ha riconosciuto la legittimità costituzionale della previsione di persistente illiceità penale della coltivazione, «anche qualora univocamente destinata all’uso personale e indipendentemente dalla quantità di principio attivo prodotto, essa resistendo anche alla verifica condotta (ex artt. 25 e 27 Cost.) alla stregua del principio di offensività, ben potendo valutarsi tale condotta come pericolosa “... ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli, per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga”».

         Nel richiamare la sentenza del giudice delle leggi, la Suprema Corte ha specificato che deve comunque essere il giudice ordinario a identificare la nozione di coltivazione, che incide sulla rilevanza penale della condotta.

         Il giudice deve valutare in concreto l’offensività della condotta di coltivazione cosiddetta “domestica” di stupefacenti, secondo gli arresti giurisprudenziali che hanno composto i precedenti contrasti.

         In particolare, il reato di coltivazione di stupefacenti previsto e punito dall’art. 73 del D.P.R. 309/90 (Testo Unico Stupefacenti) è configurabile a prescindere dal principio attivo ricavabile nell’immediatezza dalla coltivazione, ma con riguardo alla conformità della pianta al tipo botanico previsto e alla sua attitudine a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente commerciabile. Il criterio adottato dalla giurisprudenza viene infatti definito criterio della prevedibilità della futura produttività.

         Pertanto, a contrario, il reato di coltivazione di stupefacenti, non è integrabile e difetta di tipicità quando le attività di coltivazione sono domestiche, attengono a scarse piante di minime dimensioni e sono svolte con tecniche rudimentali, al punto che è modestissimo il quantitativo di prodotto ricavabile e sono assenti indici di inserimento nel mercato degli stupefacenti.

         L’interpretazione della Suprema Corte, coerente con le Sezioni Unite “Caruso” del 2019, è stata criticata dalla dottrina poiché giudicata non sistematica.

         Infatti, la coltivazione domestica di stupefacenti è una fattispecie esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 73 del D.P.R. 309/90, ma non può neppure essere sussunta nell’art. 75 dello stesso Testo Unico, che punisce la mera detenzione con una sanzione amministrativa.

         La critica è quindi la seguente: allo stato si possono coltivare stupefacenti, pur con tutti i limiti, ma non si possono detenere.