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La riservatezza su Whatsapp

Riservatezza come “ProdomOsmosi” dei diritti soggettivi
WhatsApp©
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Abstract

Con la diffusione delle applicazioni di rete, la comunicazione tra persone diviene sempre più non verbale ma meccanica, in questa forma è cresciuta la volontà di inserirsi nella vita delle persone e delle relazioni sociali, carpendo dati e sostituendo la vera identità.

With the spread of network application communication between people becomes more and more not verbal, but mechanical in this form the will to enter into people’s lives and social relationships has grown morbidly, stealing data and replacing true identity.

 

Reatus: finestra di approfondimento

Non c’è ancora piena consapevolezza, ma nel macrocosmo dell’istant messaging, l’illecito soggettivo individuale è sempre dietro l’angolo, a portata di mano; comportamenti prasseologici e modi di ingerire sociali dalle sembianze normali e lecite, possono trasformarsi in concrete e pericolose violazioni della privacy, tra le più, rientrano WhatsApp chat o gruppi di scambio dati con utenti che non hanno manifestato liberamente e pienamente il proprio consenso.

Attualmente, nella contemporaneità dei dialoghi, l’applicazione informatica e di rete più in voga, anche per la gratuità dell’utilizzo che fornisce ai propri utenti sembra indiscutibilmente essere WhatsApp.

L’utilizzo principe o meglio, quello che dovrebbe esserne e per il quale è stata “concepita” e/o pensata, è la comunicazione in messaggistica testuale; ma presi dall’evoluzione di pensiero e di aggiornamento-adeguamento ai bisogni di conoscenza e di scambio informazioni, si è potenziato il dinamismo nell’uso o nell’abuso di possibilità altre che hanno portato ad uno sconfinamento del servizio, rendendo tale applicazione una vera “arma bianca” per la consumazione di diversi reati penali.

Non solo incorrendo contra ius nell’ipotesi del non corretto uso, l’alea oramai evidente è di violare norme penali previste dal codice penale e normative extrapenali dell’ordinamento italiano, ma banche in violazioni dirette di norme europee di ordinamenti altri.

Ad una prima rubricazione fatta e resa pubblica da attenti cultori di “informatica giuridica” troviamo:

a) Divieto di utilizzo di WhatsApp per chi ha meno degli anni sedici;

b) Divieto di inserire una persona in un Gruppo WhatsApp senza il consenso;

c) Divieto di inoltrare screenshot di WhatsApp con le conversazioni private ricevute da un utente a soggetti estranei alla conversazione;

d) Divieto di inoltrare foto o video di bambini o minori non aventi la capacità d’agire ai sensi di legge nell’applicazione WhatsApp;

e) Divieto di inoltrare un messaggio pubblicato su un gruppo chiuso di WhatsApp a terzi non appartenenti al gruppo medesimo;

f) Divieto di impersonare un’altra persona su WhatsApp;

g) Divieto di inviare messaggi pubblicitari su WhatsApp;

h) Divieto di inoltrare messaggi di natura pornografica, razzista, offensiva, minacciosa, illegale

e diffamatoria su WhatsApp;

i) Divieto di violare diritti d’autore su WhatsApp;

j) Divieto di inviare materiale pericoloso che possa veicolare virus su WhatsApp;

k) Divieto di spiare le chat del partner su WhatsApp;

l) Divieto di perseguitare una persona con messaggi continui su WhatsApp configurando il reato di stalking;

m) Divieto di utilizzare stickers a contenuto offensivo, violento, discriminatorio, antisemita, nonché pedopornografico;

n) Divieto di offendere o diffamare insegnanti, professori, istruttori, ed ausiliari dei ruoli

suddetti su WhatsApp;

o) Divieto di utilizzo di WhatsApp per invio di immagini o video di sexting o per minacciare la diffusione di foto o video, fenomeno conosciuto come sextortion.

Il primo titolo di reato previsto nell’elencazione sembra essere quello più naturale; concerne l’uso della applicazione menzionata da parte di soggetti minori degli anni sedici. È predisposto e previsto, in piena conformità con il nuovo regolamento europeo sulla privacy: le condizioni di utilizzo WhatsApp stabiliscono che la App., è riservata solo agli utenti con almeno 16 anni di età, compiuti. A tal riguardo si legge: “Se risiede in un Paese nella Regione europea, l’utente deve avere almeno sedici anni per utilizzare i nostri Servizi”.

Nel caso in cui il minore degli anni sedici utilizzi comunque il servizio, soccorre una clausola integrativa su WhatsApp, sempre nei termini di modalità di utilizzo che prevede la possibilità da parte del genitore di assumersi la responsabilità e fornire il consenso al trattamento dei dati personali dei propri figli.

È sufficiente che il minore di sedici anni indichi il cellulare o la email del genitore per ottenere il consenso. E qui, il primo gap, poiché nessuno esegue controlli e verifiche se una identità minore b degli anni indicati ha dichiarato false informazioni, anche perché per l’Applicazione de qua l’utente menzognero si assumerà l’alea della personale condotta, e cioè l’incameramento dei dati personali da parte dell’intero Servizio tele comunicativo; si legge in proposito: ove l’utente non abbia l’età richiesta per poter accettare i Termini nel suo Paese, il suo genitore o il suo tutore devono accettarli a suo nome”.

Le conseguenze per codeste violazioni sono che qualora l’utente abbia fornito false dichiarazioni concernenti l’età prestabilita come condizione necessaria ai fini dell’accesso e utilizzo a WhatsApp senza alcuna autorizzazione dei genitori o di chi ne assume la tutela, dichiarando di aver compiuto i sedici anni richiesti, e sia poi responsabile di condotte poco onorevoli ovvero al limite della liceità per non arrivare all’illecito puro nei confronti di altri utenti, come ad esempio più prasseologico di cyber bullismo per il tramite WhatsApp, le autorità competenti, nel momento in cui eseguiranno le indagini in merito, e riscontreranno la falsa attestazione che costituirà un’aggravante delle eventuali sanzioni e pene irrogate – che sono ab origine previste per il primo breato – non vi saranno riscontri o scusanti da poter sollevare.

 

Reg., n. 2016/679, dell’Unione Europea in materia di trattamento dei dati personali e di privacy

(Adottato il 27 aprile 2016, pubblicato in G.U., dell’Unione Europea il 4 maggio 2016 ed entrato in vigore il 26 maggio dello stesso anno, ed operativo a partire dal 25 maggio 2018)

In merito al secondo divieto; il numero di utenza telefonica di un soggetto, è un dato personale e non può essere comunicato a terzi, o divulgato in pubblico come accade per una chat di gruppo su WhatsApp, senza aver ricevuto precedentemente il consenso pieno del titolare del numero in questione.

È necessario dunque richiedere il preventivo consenso all’interessato in un messaggio privato –in stretto rapporto di reciproca corrispondenza – prima di procedere con il suo inserimento all’interno del gruppo al fine di evitare pesanti “ritorsioni” o “contestazioni” sotto il profilo penale.

Da ciò, si dà risposta negativa alla modalità di sistema automatizzato di “inclusione” diretta di una persona in un gruppo WhatsApp. Non è sufficiente depennare e segnare una casella o scrivere la dicitura “Autorizzo il trattamento dei miei dati” ma si necessita fornire – in aggiunta – un complesso di informazioni come ad esempio l’identità del soggetto titolare del trattamento e di colui che è direttamente responsabile della conservazione dati; le modalità per l’accesso ai dati personali e chiederne – all’evenienza – la cancellazione; le finalità per le quali i suddetti dati vengono utilizzati e la garanzia che gli stessi non vengano ceduti o “concessi” a terzi.

Il Gdpr sancisce, ancora, la necessità di palesare in termini chiari e puntuali ovvero comprensibili il modo in cui vengono raccolti i dati personali dell’utente con minore età. Deve farsi in modo che la persona sia correttamente informata, che comprenda cosa tratta e cosa compie. È necessario in maniera assoluta specificare come verranno utilizzati i dati ad essa riferibili.

Il Regolamento europeo citato, quale testo generale sulla protezione dei dati personali, stabilisce perentoriamente che l’età minima per prestare valido consenso al trattamento dei dati personali è il sedicesimo anno di età ed occorre oltre la richiesta formale anche la ricezione della conferma da parte dell’interessato dopo aver punto dopo punto specificato l’accettazione di quanto predisposto. Fondamentale codesto passaggio, poiché va a precostituire prova, l’eventuale copia autentica o certificazione del messaggio WhatsApp “ricettivo”, a dimostrazione del valore legale sostanziale quanto formale faccia la richiesta espressa. Si tratta di un vero e proprio modulo prestampato da compilare, al quale il Garante della privacy fa risalire l’efficacia e la condizione sine qua non per l’esercizio dei diritti di protezione dei dati personali del soggetto utente – diritto fondamentale – non sacrificabile per il fatto di esser parte di una community di rete.

Da quanto sopra discende infatti la conseguenza che se un utente conosciuto o addirittura sconosciuto senza il consenso personale, aggiunge domino proprio un soggetto in un gruppo WhatsApp, incorre palesemente violazione di una delle protezioni stabilite dalla normativa sulla privacy, integrando il reato di illecito trattamento dei dati personali ai sensi e per gli effetti dell’articolo 167 Decreto Legislativo 196/03, Codice in materia di protezione dei dati personali. Ricordando che se dal fatto deriva come accade, grave nocumento, è prevista la reclusione con forbice edittale che va da sei mesi a diciotto e, in aggiunta, se dal fatto ne è accertata la diffusione, bla pena si espande da sei a ventiquattro mesi di reclusione.

Altro divieto non meno importante, è quello di inviare screenshot di conversazioni private a terzi, qualora i dati o informazioni consentano di identificare la persona (ad esempio con nome, cognome, n. di telefono, elementi sulla salute o orientamenti politici, religiosi, sessuali con indicazioni di rapporti intrattenuti con altri soggetti identificabili); in tal caso potrebbe ricorrere la fattispecie penale della diffamazione prevista all’articolo 595 Codice Penale

L’aspetto più inquietante ed esecrabile, è quando si inoltrano foto o video ritraenti bambini – in qualità di figli – che siano legati da rapporti familiari ai sensi del codice civile o altri bambini, minori degli anni diciotto comunque, senza il consenso di chi ne detiene la potestà genitoriale o facente le veci, incorre nella violazione suesposta; inoltre non è consentito secundum legem ergo è contra legem, pubblicare una foto del proprio figlio uti singuli, ovvero insieme ad altri bambini se è pienamente visibile il volto a tal punto di risalire alla piena identificazione.

Il preventivo consenso invece è necessario quando si tratta di figli altrui; qui è necessaria la forma b scritta ad probationem, per chi esercita la tutela anche nel caso che, l’immagine o il video siano eseguiti in lontananza senza alcuna posa.

Rimane sempre lecito invece pubblicare quanto detto in immagine se viene utilizzato o meglio se le stesse sono sfocate o prive di centralità di visione, a tale risultato si può giungere con un apposito programma di editing per evitare ogni riconoscimento soggettivo; anche i parenti più stretti sono chiamati alle medesime misure cautelative e di rispetto normativo.

Preme sottolineare ancora che l’immagine della persona segue una tutela particolare dettata da norme specifiche.

a) Il diritto d’autore, legge 1941/633;

b) Convenzione sui diritti del fanciullo, New York, 20/11/1989 (comunemente abbreviato CRC).

Nel preambolo della CRC, si legge : “Gli Stati parti alla presente Convenzione […], in conformità con i principi proclamati nella Carte delle Nazioni Unite il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana nonché l’uguaglianza e il carattere inalienabile dei loro diritti sono le fondamenta della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; Tenendo presente che i popoli delle Nazioni Unite hanno ribadito nella Carta la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo e nella dignità e nel valore della persona umana e hanno risolto di favorire il progresso sociale e di instaurare migliori condizioni di vita in una maggiore libertà, Riconoscendo che le N.U.,, nella DUDU e nei Patti internazionali relativi ai Diritti dell’Uomo hanno proclamato, e hanno convenuto che ciascuno può avvalersi di tutti i diritti e di tutte le libertà che vi sono enunciate, senza distinzione di sorta in particolare di razza, colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione, di politica o di ogni altra opinione, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di ogni altra circostanza […]

Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività; Riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione, in considerazione del fatto che occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella Società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle N.U., in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà […] Gli Stati si impegnano a rispettare i diritti enunciati e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione […]; Adottano tutti i provvedimenti appropriati affinchè il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o disanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate, o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.

Da qui si evince che il diritto alla sicurezza sociale, oltre che nel senso stretto del termine, è omnicomprensivo, poichè assorbe come una spugna altri diritti fondamentali, assoluti ed irrinunciabili per potersi parlare di godimento dei diritti umani.

Da qui, la riservatezza diventa priorità per la dignità umana specifica e personale per ogni individuo che rimane un singolo che vive e si esprime in una comunità civile.

 

Ontologia, rilevanza ed imprescindibilità

Un concetto da cui non si può prescindere, di cui si deve tener conto in modo assoluto come necessità di tutela ed effettività del diritto positivo, è la civiltà.

In una condizione omocentrica – e per rimanere in tema –“Uomocentrica” del genere umano, ovverosia, considerare e “ripensare” l’uomo come centro di interessi legittimi e diritti soggettivi, come fonte di produzione di diritti umani, sociali, culturali etc e centro di interessi personali nel “soggettivismo” puro, possiamo notare che uno dei principi fondamentali per nulla affatto “principalizzato” – in un gioco di parole chiave – e proprio del suo esistere “in rerum natura” è il diritto di civiltà e civilizzazione.

Cosa è la civiltà?

La forma particolare con cui si manifesta la vita materiale, sociale e spirituale di un popolo (eventualmente di più popoli uniti in stretta relazione) sia, in tutta la durata della sua esistenza sia, in un peculiare periodo della sua evoluzione storica – o anche la vita di un’età, di un’epoca- un frangente di passaggio evolutivo per poi espandersi[1].

Sotto l’aspetto storico ed ontologico, il termine è riferito non soltanto ai popoli socialmente più evoluti della storia lontana o recente, ma anche ai popoli primitivi o meno evoluti, estendendosi a designare anche le varie forme di vita di popoli preistorici, ricostruite per merito della paleontologia (per capire la nascita e lo sviluppo umano).

In questo senso ampio e più “neutrale” il termine si approssima a quello di cultura, anche per indicare l’insieme delle conquiste dell’uomo sulla natura, ed un certo grado di perfezione nell’ordinamento sociale, nelle istituzioni, in tutto ciò che, nella vita di un popolo o di una società, è suscettibile di miglioramento.

Al fine ultimo di portare al massimo livello di organizzazione della vita associata qualificata e del benessere comune.

 

La novella sull’informative ed il consenso

L’informativa è un documento – in senso civilistico del termine – che deriva da quanto enunciato dagli artt., 13 e 14 del GDPR 2016/679 e va ampliando opportunamente quanto già stabilito con l’antecedente articolo 13 Decreto Legislativo, 196/2003 abrogato dal Decreto Legislativo 101/2018.

Nulla quaestio, e nessun dubbio ora si palesa nel recepire che, al momento della raccolta di dati di persone fisiche bisogna dar seguito in modo tempestivo e non procrastinabile con la produzione e ricezione (da assicurare) di documenti informativi, per dare piena cognizione ed informazione al soggetto interessato, in merito al trattamento dei dati che lo riguardano.

La novella fondamentale consiste su quanto si richiede in base all’articolo 12 GDPR 2016/679, cioè, nella produzione di dettagliate informazioni – come stabilito – in forma concisa, trasparente, intelligibile e facilmente accessibile, con un linguaggio semplice e chiaro dando modo di assicurarsi su quanto e come vengono impiegati concernenti la persona interessata.

Il GDPR (General Data Protection), in attuazione dell’articolo6, pgr 1, lett., a), del Reg., UE 2016/679 entrato in vigore il 25 maggio 2018, rappresenta una condizione di liceità per il trattamento dei dati personali.

Il consenso richiesto espressamente deve essere: libero, specifico, informato e inequivocabile.

La libertà nell’esprime “giuridifichizza” la manifestazione ab esterno. Non è da considerarsi ammissibile il tacito ovvero presunto consenso e deve essere specificato anche nel caso in cui sia presentato in moduli dove vi sono caselle spuntate o moduli affermativi ergo, lo strumento automatizzato non è prova della condizione di “esplicitazione”; il formalismo richiesto dunque deve contenere una volontà espressa attraverso una dichiarazione o azione positiva inequivocabile.

E ritornando alla problematica concernente l’età di “capacità legale” per l’esplicitazione, in minore età accertata, il consenso è valido a partire dai sedici anni. È onere del Titolare adottare misure ragionevoli per la verifica della volontà positiva se sia prestata o autorizzata da colui che fa le veci del minore o chi detiene la potestà genitoriale.

La figura del titolare del trattamento (data controller), va individuata nella persona fisica o giuridica, o ancora l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o di concerto ad altri, determina le finalità ed i mezzi del trattamento di dati personali come da norma stabilito nell’articolo 4, par., 1, n. 7GDPR summenzionato.

Come chiarito dal Garante della privacy, il termine controller, va tradotto in colui il quale è responsabile per il trattamento medesimo. Il ruolo va deciso tenendo presente guardando alla situazione oggettiva[2].

Tante accortezze presenti quanto le angolature senza uscita di un labirinto con una sola via di salvezza, il problema che la rete disperde dati in un macrocosmo incontrollabile a livello di dati e diffusione informazioni a tal punto che codificarne le possibili garanzie o conseguenze per la mancanza delle tali porterebbe alla scelta netta di accettare l’alea dei rischi privacy o l’esclusione dal circuito comunicativo digitalizzato ed ancora l’esclusione sociale.

 

WhatsApp e rogatorie internazionali

Il Clarufyng Legalful Overseas Use of Data Act (Cloud Act) rivela a chi ancora ha riserve sulla pericolosità del distorto uso di WhatsApp, che esistono ancora modalità che non permettono affatto una concreta conversazione in incognito o comunque lontano da chiunque abbia interesse istituzionale o anti-istituzionale e criminoso a conoscere alcuni o tutti i contenuti di in flusso di dati e comunicazioni[3] .

La legge quadro fa oltre un anno pienamente vigente, prevede accordi esecutivi sull’accesso ai dati da parte dei governi stranieri (autorità competenti), siamo difronte al primo agreement; il Patto stipulato tra USA e GRAN BRETAGNA, che, costituisce la prima orma su cui si potranno muovere passi concreti per altre nazioni: la disciplina che dovrebbe essere sottoscritta entro brevi termini, per permettere all’Autorità Giudiziaria e – in questo caso alle forze dell’ordine di Sua Maestà la Reginaagenti giudiziari di ottenere dai gestori di sistemi di messaggistica istantanea, una consistente materia di informazioni utili a fini investigativi.

Procurando rumors per la tutela della riservatezza personale e soprattutto per gli abituali a violarla.

Senza frantumare o far cadere nel vuoto la crittografia end-to-end poiché non vi sarà alcuna segreta o zelante mancanza di trasparenza nello scambio di quanto effettivamente fa parte del flusso dinamico delle comunicazioni ed informazioni, come non vi sarà rafforzamento o bacKdoor per complicare le applicazioni o trovare scorciatoie per consentire agli agenti di polizia giudiziaria di accedere indiscriminatamente a colloqui inopportuni e “pizzinidigitali informatizzati, nessuna rete o gabbia in grado di indurre a tranelli o in grado di violare ad nutum la privacy.

Certamente il primo rilievo per gli utenti è sapere definitivamente che, WhatsApp come altre applicazioni o social network, non sono impenetrabili in assoluto. Non ci troviamo difronte ad una generalizzata messa a disposizione della vita privata e delle relazioni intrattenute, ma piuttosto difronte alla fluidificazione dei rapporti tra il definito “law enforcement” cioè la macchina della giustizia – e dei suoi operatori – ed i gestori dei moderni servizi di comunicazione digitale.

Cloud Act,[4] tradotto: “niente scuse” per i gestori che, a fronte di sollecitazioni legittimate da regole precise, saranno sempre obbligati a fornire dati, informazioni, testi ed ogni altro contenuto senza facoltà di opposizione o rifiuto –spesso mascherate da impedimenti tecnici o mancanza di conservazione o tempi lunghi per accedere banche dati. Ciò inevitabilmente porta a conoscere una vera e propria “antologia” o “enciclopedia” digitale di reati o fatti di abuso o di soprusi da trame inquietanti.

In Italia la Suprema Corte di legittimità 5 occupandosi già di problematiche relative a captazioni

di conversazioni su territorio estero e dati registrati in territorio nazionale e viceversa – vedi nota – ha dato fermo segnale di necessario procedimento di rogatoria internazionale i collaborazione – ove possibile – del produttore/gestore del sistema operativo dei dati o comunicazioni. La Corte chiarisce[5] che con le rogatorie non accade sic et simpliciter che chat e messaggistica varia siano sempre a rischio di privacy o sicurezza o esposte a forme di intercettazione bulimica ma utilizzando nella legalità i mezzi di ricerca della prova con autorizzazione fondante, aumentano la soglia di sicurezza ed accertamento della verità fattuale a fronte di reati dove si perde la materialità reale per una consumazione eterea immateriale.

 

Conclusioni

Gli “ermellini di Cavour” da sempre hanno condannato l’utilizzo di un numero telefonico e quanto in esso si veicola in dati ritenendo illecito l’utilizzo sine consensu, già solo considerando il presupposto che esso costituisce dato sensibile ai sensi dell’articolo 167 del Decreto Legislativon. 167/2003.

In escalation e senza resa ad oggi, sembra essere la belligeranza tra WhatsApp e l’Europa.

Dopo le sanzioni amministrative di settembre 2021, un ulteriore banner va segnalando cosa “muta” per la privacy degli utenti dell’applicazione de qua.

Cresce la preoccupazione per la privacy policy di WhatsApp e, la tensione tra l’Unione Europea e Meta –colosso creato da Mark Zuckerberg – le istituzioni europee, non trovano punti di incontro né avalli di sorta su di una giustificazione che fa perno sull’evoluzione della socializzazione e burocratizzazione tecnologica.

Non ha sortito gli effetti sperati la multa inflitta a Meta di 225 milioni di euro, per la scarsa chiarezza su come l’azienda gestisce i dati personali degli utenti.

L’Unione Europea ha espresso il fatto che le semplici icone di accettazione non sono garanzia né accettazione volontaristica ad ogni tipo di utilizzo dei dati o informazioni concernenti la persona in rete. La perentorietà della “accusa decisoria”, ha fatto sì che fosse introdotto un nuovo banner in cima alla lista delle chat, sul quale-previo click- l’utente potrà leggere le nuove informazioni sulla privacy, più indicative e di dettaglio come richiesto dall’Europa e, eseguito tale percorso esecutivo si potrà chiudere o archiviare definitivamente il banner in questione.

Non si deve dunque accettare alcunché, poiché nulla v’è da concordare, trattandosi solo di informazioni, di cioè notiziare l’utente che a sua scelta vuole volgere la sua attenzione oppure ignorarle in toto.

Sorge una domanda semplice: quale soggetto desidera leggere con attenzione una “pergamena” ripetitiva di “attenzioni”; a malapena si leggono le istruzioni di funzionamento degli apparecchi in dotazione. La garanzia di tutela sembra sempre più un miraggio.

Con risvegli ad intermittenza, preoccupati di incorrere in reati penali sempre più diretti e volontari, con richiesta “a sorpresa” allo scopo di seguir indicazioni “garantiste” dettate ormai da “giurisdizionisuperiori, arriva l’interpello dei gestori agli utenti sulla misuraantistalker”.

Dalla stessa Applicazione, giunge agli utenti – la formalizzazione di una risposta esecuzione dal 25 novembre 2021 - alla domanda: “si vuol bloccare il contatto?” per poi eseguire cambio radicale di coloro che usufruiscono del pieno consenso sulle comunicazioni scambiate al fine di evitare e bloccare lo Stalking.

Efficace sarebbe l’opzione diretta: utente indesiderato per…ovvero si segnala tale contatto per comportamenti insidiosi. Fissare un limite alla tollerabilità oltre la decenza è fondamentale ed auspicabile.

La scelta ad oggi in veste semiperentoria riguarda un Upgrade che metta accordo e tranquillizzi gli utenti; si è proposto un cambio radicale dello status, che sino ad oggi era complicato da gestire, poiché, se è attiva la funzione “ultimo accesso”, risulta impossibile arginare il problema senza porre in essere discussioni sul perché si desidera ignorare un utente o un gruppo di utenti.

Con lo scopo di adeguare le potenziali opzioni a garanzia della privacy, si è delegata WABetaInfo – la news che riguarda il potenziamento della gestione status – di attivare la lettura dell’ultimo accesso solamente “a tutti i contatti” e a “nessuno”; da qui, si potrà selezionare anche un proprio numero di utenti che non avranno più il privilegio di controllare l’accesso in questione; una sorta di rafforzamento dello ius excludendi alios per opporsi ad ogni ingerenza di terzi relativamente al bene oggetto del proprio diritto, quale che ne sia la giustificazione, seguendo le linee guida dettate dall’articolo 832 del c.c. – sul diritto di proprietà- come garanzia reale- A puntualizzazione decisa; ritrovarsi improvvisamente all’interno di conversazioni collettive o strumentalizzati negli aspetti personali, non potrebbe mai rappresentare un fatto non gradito –questo può essere solo un aspetto soggettivo-personale, in dipendenza dell’“animus social” dell’interessato – ma per colui che si investe del ruolo di amministratore un reato punibile.

Le conseguenze per la violazione della riservatezza escludendo lo stalking o altro sono dunque: a) il risarcimento del danno, b) la riparazione della condotta illecita, come ad esempio la definitiva rimozione della pubblicazione dello screenshot della conversazione.

Non dimenticando altra questione delicata, e cioè, che chi accede al profilo altrui rubando la password commette il delitto di accesso abusivo a sistema informatico con le conseguenze previste dal codice penale[6] . Una metamorfosi continua per tutelare la volontà di essere lasciati in pace ed esercitare i propri diritti in maniera diretta senza intrusioni o alterazioni della responsabilità che rimane esclusivamente personale.

 

[1] In tal senso vedi: civiltà in Treccani della lingua italiana, ed. 2014.

[2] Secondo la UE, infatti non basta quanto mostra WhatsApp ai propri utenti nell’aspettativa che gli stessi clicchino sulla scritta “Accetta” imposta su una finestrella di dialogo che non consente di usufruire altrimenti del pieno servizio; è ritenuta insufficiente a palesare a colui che usa l’applicazione cosa sta per cambiare in merito i propri dati personali.

[3] Corte di Giustizia europea sul caso Fashion ID, case 40-17, 9 agosto 2019, in curia.europea.eu.it-

[4] Cloud Act, approvato dal governo Usa nell’ottobre 2020, per l’elaborazione sia corti interne USA, sia partner stranieri ed europei, il modo in cui verranno risolti i problemi di raccolta dati e comunicazioni in rogatoria e determinare l’efficacia della legge ed il suo effetto sulla privacy e sulla sicurezza globali.

[5] Cass., Sez IV, sentenza n 32146/17 su privacy documenti, in dir. Pen. E processo 2017.

[6] Reclusione fino a tre anni, articolo 615 ter codice penale