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Elogio del bugiardo

bugia
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Osservare le persone mentre mentono dovrebbe lasciare più distaccati da emozioni negative, per poter essere concentrati e affascinati dai percorsi impervi delle parole, dalla mimica, dalla postura.

L’umano, di consueto, è naturalmente portato a replicare modelli di comportamento semplici, pervi, percepiti come convenienti.

Ma la bugia esula da questa regola. La bugia ha storie e regole sue

Perché, etica a parte, non è neanche facile che mentire porti a situazioni più semplici da gestire. 

Ci si obbliga ad una memoria su cui non si può contare davvero, ad un dispendio creativo importante, alla dipendenza dalla complicità delle azioni altrui che potrebbero portare il vero alla luce, anche involontariamente. 

Tuttavia, la bugia fa sentire protetti. La bugia è un inganno per lo stesso ingannante.

Nella mia saggia terra natìa, c’è un modo per definire la furbizia ingenua di chi mente la cui traduzione letterale è “nascosto in piazza”: una sintesi eccezionale della fatica del bugiardo dei giorni nostri

Sovraesposti come chi più chi meno siamo, con severe norme a garanzia della tutela della privacy, cui obbediamo impauriti, consentiamo di fatto alla diffusione dei nostri dati, salvo non poter neanche abbonarci a Topolino di nascosto. E magari ci impegniamo nella lettura dei moduli di consenso, cercando di negarlo laddove non obbligatorio, ma poi postiamo fieri, sui social, di esserci abbonati a Topolino.

Pensare oggi di raccontare bugie è un vero azzardo

Con una rete potenzialmente illimitata di contatti, che rende impossibile tracciare i percorsi del sapere e della conoscenza, la vita del bugiardo è un inferno; costretto ad una limitazione della libera espressione nel rappresentare realtà aumentate, diminuite o totalmente immaginifiche.

Il tutto era già, da sempre, complicato dalle sensazioni istintive di chi ascolta, che sono la vera guida di orientamento nei gineprai in cui a volte si finisce. Ricevere una bugia dà un senso di disagio, come indossare un paio di scarpe di un numero più piccolo.

Nella reciprocità di racconto/ascolto, chi parla è focalizzato nel mentire, talmente tanto da non vedere nemmeno quando l’interlocutore conosce la verità e guarda attonito, o manifesta confusione.  

Il bugiardo mente all’altro per convincerlo di qualcosa a cui sa di non poter credere egli stesso.

Ad un certo punto la bugia diventa aggressiva se viene confutata, rifiutata negandone la sacralità.

Smontare una bugia è una colpa macchiata di ingratitudine, mai perdonabile

Non si è mai visto un bugiardo perdonare chi lo ha scoperto. 

Tuttavia, si assiste spesso al contrario.

Ma il bugiardo non smette di mentire, ha solo periodi di astinenza.

Il bugiardo si tormenta nella costruzione dei dettagli, questa fatica fa sì che si svigorisca e si distragga inciampandoci, in quel ginepraio.

Chi mente non sta mai bene, non mentirebbe altrimenti, e per questo non perdona, ha sempre un motivo in più di chi lo ascolta

In fondo, chi ascolta lo fa passivamente, non si adopera quanto chi elucubra le storie di bugie.

E nessuno pensa mai a quanto oggi sia diventata difficile la vita per chi si impegna nella composizione di una trama inventata, di una estensione del sé, come la costruzione di un amore che “spezza le vene delle mani e mischia il sangue col sudore, se ne rimane” (cit. Ivano Fossati).

Il bugiardo è un visionario che la realtà continua a macchiare di vergogna.

Sì, perché nessuna legge tutela l’applicarsi fertile del bugiardo nel dare respiro a qualcosa che non c’era, una storia, una credenza, una parvenza

È un omaggio di creatività. Come un gatto che offre a un umano un topo morto. Ma il mondo, irriconoscente e troppo connesso, via via non vede più il gatto, solo il topo morto.

Lettura che mi pare interessante sul tema: Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Andrea Tagliapietra.