Corsi motivazionali e dintorni, tra timidezza, leadership e empatia
Corsi motivazionali e dintorni, tra timidezza, leadership e empatia
Mi fanno molto ridere gli umani e il loro fiero girovagare dopo avere conseguito corsi motivazionali e formativi su qualità che solitamente sono dotazione naturale fatta di un mix di carattere, esperienze, geni e forse in piccola parte educazione e altri ingredienti imperscrutabili e congiunzioni astrali.
L’empatia, per esempio, forse la puoi sviluppare, ma assemblare un tot di parole tipo “sento il tuo dolore” (perché così t’hanno detto di dire) e intanto ti viene spontaneo dare priorità alla notifica della sfida a Ruzzle mentre parlano, oppure “ti ascolto” ma l’istinto egoistico ti conduce a guadagnare l’uscita, ti fa sembrare il prototipo del coinquilino dell’ascensore, più che empatico.
O la timidezza. Mamma mia la timidezza. I corsi di public speaking per esempio, io stessa ne ho fatto qualcuno e con qualche consiglio pratico mi hanno aiutato molto ma, ahimè, su un piano dove forse non risiedevano realmente le mie paure e limiti più profondi. Perché non è cambiato proprio nulla quando che ne so, arrivo a un party amichevole (come certe partite) dove ci sono gli amici degli amici degli amici e, dopo uno sguardo rapido agli angoli più nascosti e meno illuminati, vivo lo scoramento che siano già occupati. O per il rossore in volto (e qui la mascherina è stato un aiutino), o peggio del peggio sul collo (cosa odiatissima da noi timidi).
O la comicità, come la impari e come la insegni? Una bimba che conosco mi fa una tenerezza unica perché quando viene accompagnata alle feste (che per lei sono ostacoli da superare fino al ritorno alla agognata solitudine domestica) la si ritrova nello stesso identico punto in cui è stata lasciata; resta immobile aspettando che passi. È molto ubbidiente e ha ricevuto il consiglio di un estroverso di superare la timidezza raccontando barzellette. Il risultato del tentativo a cui si è arresa è stato che rideva da sola con uno sforzo immane per cercare di trascinare gli altri bambini che, però, la guardavano attoniti mentre la risata cresceva in una intensità più simile a un pianto. In effetti, da fuori può avere una sua comicità tutto questo. Ma per uno spettatore esterno.
Il fantomatico spettatore esterno che ti guarda e ti capisce e ti assolve è il balsamo di ogni disagio e, a pensarci bene, non è forse questa la fede?
Ma comunque, non distraiamoci dalla più temibile tra le qualità che si desideri acquisire: la leadership.
Ti ritrovi quelli che sono arrivati alla lezione numero 10 e poi hanno pure fatto l’extra completo di ipnosi e studio del tema natale e li guardi mentre urlano di essere loro i leader poiché dotati di grande leadership ed empatia, e che gli è stato proprio detto così dopo un test accuratissimo che partiva dalle vigne dell’arciprete*.
E sono sinceramente dimentichi sia di aver bisogno di urlare per far sì che qualcuno ascolti, sia di aver pagato per farselo dire.
Ammirevole (credo) che a uno manchi quel quid lì, ne diventi consapevole e cerchi di lavorarci su. Ma, il più delle volte questa necessità di essere “giovani” rampanti e intraprendenti che fan passi da giganti nei debutti in società, sempre pronti ad ogni avvenimento in 10 lezioni (ndr saluto Luca) produce messe in scena goffe o vere e proprie gag perché non è un migliorarsi, ma uno snaturarsi, con pericolose conseguenze.
Tra tutte le qualità che si desideri acquisire, questa richiede il coinvolgimento di altre anime che hanno il compito di confermarla o perire, perché puoi desiderare la roba d’altri o uccidere, ma non puoi dubitare di una leadership diplomata.
Sarebbe meglio, tante volte, cimentarsi per esempio nell’apprendimento dello swahili, dello zeusofono, o della filosofia dei Simpson, o volersi bene, se ci si vuole arricchire senza danni.
* Da una espressione salentina che sta ad indicare una narrazione dei fatti che si perde nel tempo e che, a volte, perde di vista l'argomento di cui si sta discettando.