Riconoscimento
Riconoscimento
Leggendo il bellissimo spunto di riflessione di Barbara Neri sull’effetto Hawthorne (https://www.filodiritto.com/effetto-hawthorne), mi è rimbalzata nella mente immediatamente la parola “riconoscimento”. Se ci pensiamo veniamo riconosciuti alla nascita dai genitori: quando ciò non accadeva per svariati motivi, i bambini erano abbandonati e quasi sempre morivano (ci torna alla mente il Monte Taigeto di Sparta). Ri-conoscere: passa dal conoscere. Spesso quando non ci sentiamo riconosciuti (in famiglia, sul lavoro, con gli amici) manca la conoscenza. Quante volte ho sentito esclamare “non sapevo che fosse così aperto, simpatico, competente …” (possiamo aggiungere tutti gli aggettivi positivi che ci vengono in mente). Basta a volte la curiosità, il coraggio di conoscere in modo autentico l’altro per attivare uno scambio che fortifica le relazioni. Il riconoscimento è legato alla stima che abbiamo di noi: se non ci sentiamo di valere difficilmente gli altri possono vedere il nostro valore e se gli altri non riconoscono pensiamo di non valere: circolo vizioso terrificante e dannoso. Quindi il primo passo è conoscere noi e gli altri. Il secondo passo è dare valore al nostro valore. Il terzo passo è dare valore agli altri. L’autostima sociale (io valgo se tu mi dici che valgo) si colloca sul gradino sotto quello dell’autostima più profonda (quella psicologica, io valgo a prescindere dal mondo esterno, io sto bene con me stesso, io mi legittimo, io mi accetto). È importante e lo sappiamo bene, ma non è l’unica.
Questa volta facciamoci noi delle domande e proviamo a dare (alcune e incomplete) risposte:
- Che cosa riconosciamo? Azioni, emozioni, comportamenti, successi e insuccessi di noi stessi e degli altri
- Chi può dare riconoscimento? È una trappola pensare che lo possa dare solo il manager. Come è una trappola pensare che il riconoscimento sia solo economico. Tutti possiamo darlo, a chiunque.
- Quando darlo? Ogni volta che possiamo. Dire “io ti vedo, ti conosco, ti riconosco” un pò più spesso.
- Che cosa capita nelle organizzazioni quando manca il riconoscimento? La lista dei rischi psicosociali cui andiamo incontro è lunga: calo di produttività, calo di motivazione, alto turn over, alto assenteismo, clima di lavoro deteriorato, cattiva immagine della nostra organizzazione, rapporti personali faticosi e disfunzionale.
- Che cosa ci capita quando non ci sentiamo riconosciuti? Aumentano ansia, stress (vedi il ricco contributo di Simone Vender https://www.filodiritto.com/stress), malattie psicosomatiche, non riusciamo più a lavorare come vorremmo, ci ammaliamo di più, tendiamo a non avere più voglia di fare, ci sentiamo svuotati, senza energie o al contrario pieni di rabbia (https://www.filodiritto.com/tu-chiamale-se-vuoi-emozioni-la-rabbia). Sicuramente non stiamo bene.
- Come possiamo dare riconoscimento? Il succo è passare il messaggio “ti vedo, so che esisti, so che vali”. Piccole cose fatte e dette con benevolenza. “Ti vedo stanco? Come posso aiutarti? Ci prendiamo un caffè?”, “ho visto il tuo progetto: complimenti, lavoro ben fatto”, “ho notato qualche difficoltà nel relazionarti coi tuoi colleghi: che cosa sta accadendo?”. Ci agganciamo al concetto di feedback https://www.filodiritto.com/feedback (non per forza deve essere un feedback positivo, anche un feedback su un aspetto critico dice “io ti vedo, io mi impegno per comunicare con te e farti crescere”). Piccole parole magiche come grazie, scusa, complimenti!
- Come possiamo fare se non riceviamo riconoscimento? Due cose: dirci che non ne abbiamo bisogno e richiederlo. La frase “mi sento poco visto, poco riconosciuto, poco valorizzato” che facciamo fatica a pronunciare ci parla di una parola che fa rima con riconoscimento: cambiamento (rileggiamo il bellissimo spunto di Simone Vender https://www.filodiritto.com/cambiamento)! Possiamo cambiare noi le cose che non troviamo più adatte a noi o possiamo cambiare il nostro approccio.
Riprendiamo le parole della grande Frida Khalo che ci dice “Vorrei vedere dai tuoi occhi, sentire dalle tue orecchie, sentire con la tua pelle, baciare con la tua bocca”: di che cosa parlano se non di riconoscimento?