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Attesa

Attesa: Natale
Attesa: Natale

Probabilmente non ci abbiamo mai fatto caso, eppure trascorriamo buona parte della nostra vita ad attendere: attendiamo l’altra metà della mela che ci ami come desideriamo, il vero amico che ci capisca, di guarire da una malattia, di trovare il senso alla sofferenza che proviamo, di progredire nel lavoro, di acquistare una casa più grande. Non si può fare a meno di attendere. L’attesa è una costante della nostra vita e neanche ne siamo consapevoli.

“Attesa” è una parola dal significato complesso e multiplo perché in sé racchiude varie dimensioni:

  • quella temporale, caratterizzata dal tempo che intercorre tra il momento in cui un evento è annunciato e l’istante in cui esso si verifica;
  •  quella fisica, rappresentata dall’azione, ovvero dall’atto di attendere;
  • quella emotiva, definita dal sentimento che contraddistingue l’azione dell’attendere.

Il senso però che essa assume dipende unicamente da quest’ultima, ovvero dallo stato d’animo in cui noi ci poniamo nei suoi confronti: l’esito di un esame di valutazione ci mette di fronte alle nostre ansie, il sedersi in platea prima di uno spettacolo teatrale ci riempie di aspettative positive, stare seduti nella sala d’attesa (appunto) di uno studio medico ci rende annoiati.

E poi c’è l’attesa per antonomasia: il Natale e, in senso più lato, la nascita o rinascita.

Dicembre è il mese che più incarna l’attesa: si attendono le feste per riunirsi con i propri cari, i bambini attendono i loro doni, i lavoratori attendono di godere delle proprie ferie.

Anche in questo caso l’attesa può assumere connotati differenti a seconda del nostro vissuto nei confronti del Natale, dei nostri ricordi legati ad esso, della nostra situazione familiare, dei rapporti che siamo riusciti a tessere o che abbiamo perso.

Per comprendere propriamente l’essenza di questa parola, anche questa volta non possiamo prescindere dalla sua etimologia: essa è composta dal latino ad e tendere e significa “volgersi a”.

Quando viene preannunciato o viene previsto un evento, noi ci volgiamo ad esso e siamo concentrati su di esso, finché non si avvera. L’attesa di qualcosa che ci interessa ci pone in trazione nella nostra totalità fino al raggiungimento del risultato.

Ma la densità del verbo “attendere” la si percepisce se la si confronta con quella di un altro termine, con cui spesso viene associata quale sinonimo: aspettare.

Dal latino “aspicere”, quest’ultimo verbo significa più propriamente guardare qualcosa che si vede avvicinarsi sempre di più.

La differenza anche qui sta nello stato d’animo di chi compie l’azione: l’aspettare presuppone la percezione di qualcosa di specifico, determinato, visualizzato che sta per arrivare. L’attendere invece pertiene ad uno stato di tensione verso qualcosa che si immagina ma non si conosce. Quando attendiamo siamo protesi verso qualcosa di indefinito, di cui possiamo anche non essere consapevoli.

Ecco che il termine “attesa” trova la sua collocazione terminologica ideale in quello stato in cui viene a trovarsi la donna quando viene a conoscenza del suo stato interessante: sa che presto avrà un bambino tra le braccia, ma non lo conosce ancora; sa che diventerà madre, ma non sa come esserlo; sa che soffrirà per il parto, ma nessuno le ha mai saputo spiegare quel tipo di dolore; sa che proverà una gioia incontenibile, ma non può neppure immaginarla.

Dicembre è un mese magico perché ci ricorda che tutti possiamo provare ciò che una partoriente sente prima di mettere al mondo il proprio figlio: è il mese in cui, a prescindere dalle proprie convinzioni religiose, viene calendarizzata la nostra rinascita. È il tempo in cui quindi, volente o nolente, siamo messi in trazione verso noi stessi, partendo dalle nostre origini, dal nostro passato e dai nostri familiari. È uno stato di tensione verso qualcosa di indefinito di cui a volte siamo ignari ma che sappiamo esiste o sta per arrivare.

La differenza, anche qui, sta tutta nel come ci approcciamo a questo momento di attesa, caratterizzato dall’ “incertezza”.

Il miglior augurio che si possa fare a Natale è di vivere l’attesa innanzitutto con la necessaria “introspezione” che ci permetta di “ascoltare” la parte più “autentica” di noi, di raggiungere la nostra “riflessività” con il necessario “distacco” per percepire l’“assonanza” del nostro cuore. Abbracciare tutta la “gioia” che abbiamo provato, la “rabbia” che ci portiamo ancora dentro, la “tristezza” che immancabilmente ci pervade l’anima, per riscoprirci sempre più “resilienti”.

Attendere significa accettare con “coraggio” il “cambiamento” che intimamente desideriamo per il nostro cuore, volgerci ad esso con “pazienza” ed “umiltà”, rimanendo “grati” per tutto ciò che sino a quel momento abbiamo vissuto e provato.

Vivendo appieno l’attesa potremo affrontare la “complessità” della nostra esistenza che, però, illuminata dalla “verità” del nostro sentire, viene resa “semplice” e può renderci “liberi” perché in grado di trascenderci.

Attendiamo il Natale con “entusiasmo” perché questo periodo dell’anno costituisco l’occasione per riscoprirci “umani” e per ricordarci che tutti siamo interconnessi e che ciascuno di noi può offrire il proprio fattivo e prezioso contributo per la crescita personale dell’altro, per la sua rinascita.

“Le persone si incontrano per rinascere. Nascere non basta mai a nessuno.”

(Franco Arminio – Resteranno i canti, 2014)

 

Buona Attesa! Buon Natale!