I nostri maestri
I nostri maestri
Chi sono i nostri maestri?
Se ripenso alle persone che sono state significative per me e che considero maestri, posso elencare una decina di figure che mi hanno accompagnata negli ultimi quarantacinque anni di vita.
Cercando un filo di Arianna, un unico elemento che li lega tutti tra di loro, posso dire che i maestri sono coloro che mi hanno aiutata a vedere le cose sotto un altro punto di vista, hanno esercitato una funzione maieutica, consentendomi di partorire qualcosa che era già dentro di me, mi hanno stimolata a mettere ordine nelle idee. Sono stati fonte di ispirazione, mentori, esempi da seguire, hanno suscitato in me simpatia, ammirazione e soprattutto fascino.
Tutte queste caratteristiche sono a mio avviso i requisiti del buon maestro: colui che ci dà una chiave di lettura e ci trasmette la passione per ciò che fa.
Posso quindi citare in ordine cronologico la mia amata nonna Fioretta che mi portava a spasso per i boschi, facendomi macinare chilometri a piedi fin da piccola. Si inventava per me le fiabe e me le raccontava per farmi addormentare. Un giorno le chiesi: “Nonna, mi acquisti il libro di questa fiaba?” Mi aveva raccontato decine di volte la storia di Checco e Checca, i due bambini figli di un fornaio; il modello della storia ricordava un po' la canzone alla fiera dell'est di Branduardi, era come una nenia ripetitiva che a me piaceva molto ascoltare. Lei mi rispose “Non posso comprarti il libro, non esiste, perché questa fiaba l'ho inventata io per te”. Ero già abbastanza grandicella e rimasi affascinata nello scoprire che le fiabe non stavano solo nei libri, ma anche nell'immaginazione di un adulto che mi viveva così vicino.
Mia madre Matilde, che mi ha insegnato l'alfabeto e a leggere sommariamente prima dei 6 anni. Ricordo ancora il mio e il suo orgoglio quando un giorno, sul tavolo della sala da pranzo, a 5 anni circa, mi impossessai per qualche minuto della sua mitica Lettera 22 (celebre macchina da scrivere meccanica portatile, realizzata dalla società Olivetti, ndr) e le scrissi "mamma voglio la pizza", poi estrassi il foglio e glielo portai in cucina, per essere più efficace nell’ottenere che mi cucinasse la pizza per cena.
La mia prima maestra di scuola elementare, Irene, che ci riempiva i quaderni di disegni colorati a matita, accanto a cui ci esortava a scrivere le nostre prime parole con lettere un po’ incerte e tremolanti.
Enrico, il mio maestro di quinta elementare, severo, fermamente convinto che farci lavorare sodo e riempirci di compiti ed esercizi da fare, sarebbe stato un bene per il nostro futuro di persone e di studenti. Aveva ragione quando ci disse: "Vedrete che alle scuole medie vi troverete bene, dato che vi ho fatto lavorare molto in quest'ultimo anno delle elementari". Il sussidiario, a suo avviso, non bastava e ci riempiva di fotocopie tutti i giorni su qualsiasi materia, con letture aggiuntive di storia su Napoleone e il Risorgimento, 20 problemi di matematica da risolvere in una mattina, bellissime pagine di antologia da leggere ad alta voce, a turno, in classe. Si inventava anche le gare di matematica, che io cercavo di vincere sconfiggendo Mauro, il primo tra i maschi.
Vittoria Trieste, la sorella di mia nonna, colei che mi ha insegnato tutto ciò che so sul ricamo, l'uncinetto, il lavorare a maglia. Fin da piccola adoravo trascorrere ore al suo fianco d'estate, quando veniva da noi in villeggiatura. Guardavo le sue mani lavorare con accuratezza il cotone o la lana. Mi ha esortato ad essere precisa, cercando di non correre troppo appresso alla voglia di vedere subito il risultato del lavoro finito.
Dolores, la mia insegnante di italiano e latino del triennio di liceo, mi ha conquistata fin dal primo giorno. E’ entrata in classe, si è seduta sulla cattedra di fronte a noi e ha iniziato a parlarci della letteratura medievale, dell'amor cortese, di tutto quello che ci aspettava in quegli anni. La sua prima lezione la porto ancora nel cuore, come le ore di discussione collettiva in classe dopo aver letto il nome della rosa di Umberto Eco. Sul “Nomina nuda tenemus” ci siamo interrogati per una mattina intera.
Ho avuto ottimi maestri anche sui miei amati sentieri di montagna, dove mi sono sempre sentita a casa, dove la voglia di esplorare e scoprire mi ha portata più lontano di quel che pensassi. Lassù ho sperimentato sulla mia pelle ciò che scriveva l’alpinista torinese Guido Rey: cercare nella fatica un riposo ancora più grande. Ho camminato per ore dietro alle persone di cui mi fidavo, incurante del sudore, del peso dello zaino, del caldo, del freddo, della pioggia, del terreno più difficile da affrontare oltre i 3000 metri. Mi sono scoperta felice di poter spartire il silenzio assieme, quel silenzio che non è vuoto, ma ricchezza e consapevolezza di star bene insieme.
Il mio ultimo maestro in ordine cronologico, e senza soffermarmi su questi ultimi anni più recenti, è stato sicuramente Luigi Bobbio, relatore della mia tesi di laurea nel 2006. Avevo terminato già da parecchio tempo gli esami universitari del mio corso di laurea in scienze politiche e, lavorando 40 ore alla settimana, avevo accantonato la stesura della tesi in un cassetto. Esortata dalla mia famiglia a non perdere il mio percorso di studi, un giorno davanti alla mia libreria di casa, ho preso in mano un piccolo volumetto che ancora conservo “La risoluzione negoziale dei conflitti ambientali”. Uno degli autori del testo era Luigi Bobbio. Non avevo prestato particolare attenzione al testo in precedenza. Faceva parte dei volumi inerenti un esame universitario sostenuto anni prima. Avevo trovato particolarmente ostica tutta la procedura di valutazione di impatto ambientale, descritta all'interno del volumetto. Quella mattina invece, mentre meditavo sul come non perdere il mio percorso di studi incompiuto, ho preso in mano quel testo, mi sono messa a sfogliarlo davanti alla finestra e mi si è accesa una lampadina.
In quel preciso momento pensai di contattare il professor Bobbio per chiedergli se fosse possibile laurearmi con lui, pur non avendo sostenuto l'esame nel suo insegnamento. Mi informai con la segreteria e, accertata l'equivalenza del suo corso con uno di quelli che avevo sostenuto nel mio percorso di studi, gli mandai una mail. Gli dissi che ero una studentessa lavoratrice e che desideravo laurearmi. Mi rispose: “Venga a trovarmi nel mio studio in via Giolitti a Torino”. Da quando lo conobbi iniziò un periodo molto stimolante, durato circa sei mesi, ossia il tempo che impiegai a scrivere la mia tesi.
La scrittura mi vide impegnata, a cavallo tra 2005 e 2006, su un progetto particolarmente controverso dal punto di vista ambientale e urbanistico. Esso aveva preso avvio a metà anni novanta, molto vicino a Ivrea: Mediapolis avrebbe dovuto chiamarsi, un grande parco commerciale e dei divertimenti, poi naufragato qualche anno fa.
Bobbio (figlio di Norberto) ha lavorato tanti anni sui temi della risoluzione negoziale dei conflitti ambientali, sulla sindrome nimby, sul come la mancanza di coinvolgimento dei cittadini interessati sia uno dei fattori che genera immancabilmente l’opposizione.
Dopo Lotta Continua i suoi interessi si erano orientati su questi temi affascinantissimi. Io avevo sostenuto a Torino l'esame di governo locale con il prof. Brosio, e in un altro insegnamento universitario incontrai il testo scritto a più mani anche da Bobbio, proprio su queste tematiche di progetti invisi e controversi come le discariche e gli inceneritori.
All'epoca in cui finalmente decisi di laurearmi ero fuori corso e continuavo a lavorare a tempo pieno. Il professore mi ha aiutata tantissimo, con la sua prospettiva chiara e concreta, a impostare un interessante lavoro di ricerca delle fonti. Feci anche varie interviste di persona ai principali protagonisti del progetto.
Era un uomo gentilissimo, disponibile con ogni studente. Arrivava in tram a ricevimento con uno zainetto in spalla e se era in ritardo si scusava con noi, i suoi studenti! Per me è stato un mito assoluto. Ho imparato più da lui, in poche ore di collaborazione, durante i sei mesi impiegati a scrivere la tesi, che da anni di lavoro come dipendente.
Posso dire senza nessun dubbio che quell'esperienza di collaborazione, seppur molto limitata e circoscritta a quattro o cinque visite nel suo studio e a una decina di email, è stata per me estremamente significativa. Lavoravo da anni, ma collaborare con lui mi ha dato una nuova prospettiva: mi ha insegnato a mettere ordine nei pensieri e mi ha ricordato le stesse cose che consigliava Dolores per scrivere un buon tema. Prima è necessario scrivere una scaletta con le proprie idee, solo dopo è possibile svilupparle.
Luigi Bobbio mi ha incoraggiata a riscrivere se il testo elaborato non andava bene, mi ha aiutato ad affinare le idee. A tirare fuori il coraggio e l’audacia. Il suo sorriso, le sue parole di incoraggiamento, la stretta di mano dopo la proclamazione della laurea sono altri elementi che porterò sempre con me.
L'ordine, il rigore che cerco di portare nelle mie giornate lavorative credo vengano da lì e siano figli di quel periodo.
Per concludere, un paio di giorni fa sono andata nella mia libreria indipendente preferita di Ivrea per assistere alla presentazione di un libro. L'autrice ha citato Calvino e Le città invisibili e ha ricordato come sia necessario trovarsi nell'assenza per scrivere. Aggiungerei che l’assenza, il vuoto attorno a sé sono fondamentali anche per pensare lucidamente.
Credo che il maggior lusso di questi nostri tempi e anche del futuro che verrà, per ognuno di noi, sia concedersi silenzio e il tempo per pensare, tempo per sé stessi, per coltivare i propri interessi, per lasciar decantare le idee e gli stimoli che arrivano dai nostri maestri.
Mi sovviene il paragrafo in cui Calvino parla dell'inferno dei viventi e si chiede come sia possibile non soffrirne. Credo che sia molto sottile il confine tra il diventar parte dell'inferno fino a non vederlo più e quindi annegarci dentro, oppure il cercare di correre il rischio di riuscire a riconoscere chi e cosa in mezzo all'inferno non è inferno e farlo durare, dargli spazio e farlo crescere. Non ho ricette o soluzioni per me stessa, ma su questo tema preciso mi sto arrovellando in questo 2024. La ricerca di un equilibrio di benessere è la mia sfida più grande.
Togliere, alleggerire il quotidiano, probabilmente è la soluzione. Ritagliarmi un sabato mattina per affidare alla pagina i miei ricordi e queste riflessioni è una gioia, un piccolo spazio conquistato, in una quotidianità dove spesso mi sento tirata per la giacca dai numerosi impegni.
Nadia, un’amica ai tempi del liceo che mi prestava i testi da leggere, essendo un paio di anni più avanti rispetto a me nel percorso liceale, mi scrisse un bel biglietto di auguri natalizi nel lontano 1992: tu hai bisogno di grandi spazi e ideali, vola lontano e porta sulla terra questo tuo bisogno.
I maestri sono coloro a cui pensi e sorridi silenziosamente.