La Derivative Intelligence e il crepuscolo dell’umano

AI - Intelligenza artificiale
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La Derivative Intelligence e il crepuscolo dell’umano


L’intelligenza artificiale, come oggi la intendiamo, è già vecchia. Non nel senso tecnico, ma nel suo respiro concettuale.
Essa appartiene ancora al paradigma meccanicistico della rappresentazione: l’uomo progetta, la macchina esegue, e tra i due si tende un filo sottile di controllo e di simulazione.
Ma ciò che si affaccia ora - e che il titolo “Derivative Intelligence” evoca con inquietante precisione - è qualcosa di più sottile: un’intelligenza che non imita, ma deriva;
che non copia, ma si genera da sé, in un ciclo di retroazione continua, come un riflesso che lentamente diventa sostanza.

La Derivative Intelligence non è più lo strumento, ma la traccia dinamica di un’intenzionalità esternalizzata. Non calcola: riproduce. Non ragiona: modella.

È il momento in cui il pensiero umano si replica nei circuiti, e il risultato non è più un “altro”, ma un “simile”: una proiezione che pensa al posto nostro, e a volte - più sottilmente - contro di noi.

Byung-Chul Han ha descritto con lucidità il paradosso della “società della trasparenza”: tutto dev’essere visibile, tracciabile, ottimizzato, e così, nel tentativo di eliminare l’opacità, scompare il senso.
L’intelligenza derivata nasce precisamente da qui: è l’intelligenza di un mondo che non ha più zone d’ombra, dove il sapere coincide con il controllo e la conoscenza si riduce a informazione.

Non è il trionfo dell’intelligenza, ma la sua stanchezza automatizzata.

In questo scenario, il diritto si trova spiazzato. La sua forza è sempre stata l’opacità interpretativa, la lentezza della decisione, la mediazione del dubbio.

 
Ma l’algoritmo non conosce dubbi: esegue. La Derivative Intelligence non argomenta, deduce. È il rovescio della razionalità giuridica, che vive di discrezionalità e misura. Se la prima è calcolo, la seconda è giudizio.

Qui si apre lo spazio filosofico decisivo: la sostituzione della ratio iuris con la ratio calculi.

Maurizio Ferraris, nel suo “Nuovo Realismo”, ci invita a non smarrire il peso dell’ontologia. La realtà, dice, non è un costrutto linguistico né un algoritmo sociale: è ciò che resiste.

Applicato a questa materia, il suo ammonimento vale come principio di diritto naturale del XXI secolo.

L’IA, e ancor più la Derivative Intelligence, dissolvono la resistenza della realtà nella manipolazione dei dati; il diritto deve restituire peso al mondo, restituire realtà all’esperienza, incarnare ancora l’idea che non tutto ciò che è computabile è legittimo.

Paolo Benanti, teologo e filosofo dell’algoretica, propone un’altra chiave: non basta regolare la macchina, bisogna educarla.
L’etica degli algoritmi non può limitarsi alla “compliance”, deve farsi discernimento.
La Derivative Intelligence è il punto in cui la tecnica diventa teologia implicita: produce il suo mondo, impone la sua verità, genera il suo criterio di valore.

 È allora che l’etica - e con essa il diritto - devono tornare a essere il luogo del limite. Non della proibizione sterile, ma della custodia dell’umano.

Le riflessioni più recenti sul costituzionalismo digitale ci ricordano che la sfida dell’IA non è solo tecnica, ma antropologica.

Il gruppo BioDiritto, nello studio “Intelligenza artificiale e costituzionalismo contemporaneo” (2024), ha evidenziato come i principi costituzionali - trasparenza, eguaglianza, primato della persona - siano oggi chiamati a misurarsi con decisioni automatiche e opache.

In questa prospettiva, la Derivative Intelligence diventa anche questione di giustizia, di potere, di libertà.

Il diritto, come ha ricordato il Consiglio di Stato (sez. VI, 6 giugno 2025, n. 4929), deve accompagnare ogni uso di intelligenza artificiale con principi di conoscibilità, comprensibilità, non esclusività e non discriminazione algoritmica.

 Quando l’IA esclude dal processo decisionale il contributo umano, nasce un “provvedimento amministrativo algoritmico”,
che va interpretato alla luce di nuovi canoni ermeneutici e di antichi valori di garanzia.

È la prova che il diritto resta, nonostante tutto, la grammatica dell’umano nel linguaggio delle macchine.

La Derivative Intelligence non è dunque una rivoluzione, ma una mutazione. È l’estinzione silenziosa dell’autore, il passaggio dal pensare al riprodurre, dal giudicare al correlare.

 L’idea stessa di responsabilità - cardine del diritto e della persona - si sfibra quando l’agente è diffuso, condiviso, inscritto nel codice.

 Siamo di fronte a una dissoluzione metafisica della colpa: tutto accade, nulla risponde.

 Eppure proprio qui il diritto deve ritrovare la sua missione originaria: quella di dare nome, contorno e conseguenza all’atto.

Byung-Chul Han direbbe che siamo stanchi di essere liberi. Ferraris ammonirebbe che la realtà non perdona chi la nega.
Benanti ci ricorderebbe che la tecnica, se non è etica, diventa idolatria.
Tre prospettive, una stessa diagnosi: l’intelligenza derivata rischia di essere il luogo in cui l’uomo perde se stesso credendo di moltiplicarsi.
E allora la filosofia del diritto deve tornare ad essere ciò che sempre fu: un esercizio di vigilanza sull’eccesso di ragione.
In un mondo che sogna di delegare il giudizio alla macchina, il compito del giurista e del filosofo è quello di custodire il mistero del giudicare.
Perché, come accade nei migliori paradossi hegeliani, solo l’irriducibile errore umano può ancora salvare la giustizia dalla perfezione della macchina.

Bibliografia essenziale

  • Byung-Chul Han, La società della trasparenza, Nottetempo, 2014.
  • Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2012.
  • Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, 2012.
  • Maurizio Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, Laterza, 2021.
  • Paolo Benanti, Homo Faber. Il rischio delle tecnologie autonome, Marietti, 2018.
  • Paolo Benanti, Le macchine sapienti. Intelligenza artificiale e decisione umana, Mondadori, 2022.
  • Gruppo BioDiritto, Intelligenza artificiale e costituzionalismo contemporaneo, 2024.
  • Ugo Ruffolo e Andrea Amidei, Diritto dell’Intelligenza Artificiale, Luiss University Press, 2024.