Il nuovo Manager: grondaia o solipsista?
Il nuovo Manager: grondaia o solipsista?
Parto dalla lettura dell’ultimo articolo di Emanuela Cirelli dal titolo “Gestione del potere, conquista della fiducia” e i pensieri che veleggiavano dentro la mia testa da un po’, sospinti dall’osservazione delle dinamiche lavorative, improvvisamente si allineano perché finalmente trovano un’àncora nell’esperienza autorevole dell’autrice.
Dopo averlo letto, mi è venuto in mente da un lato Leopardi, dall’altro l’immagine della grondaia e le relative associazioni logiche.
L’articolo illustra con sagacia i meccanismi che si possono creare negli ambienti lavorativi a seconda non solo del manager a capo dell’unità organizzativa, ma anche a seconda del modo in cui lo stesso raggiunge il potere.
E qui ha senso parlare di dualità.
Si possono, infatti, sviluppare scenari completamente differenti in base non solo alla capacità del manager di “saper gestire il proprio potere”, ma anche alla propensione a “vedere” i propri collaboratori.
Cosa succede in un ambiente lavorativo se vengono favoriti, o quantomeno non ostacolati, i comportamenti dei collaboratori che agiscono per “carpire la fiducia” del “Capo” con atteggiamenti accondiscendenti al fine di assumere posizioni strategiche?
Gli altri lavoratori non solo percepiranno lo scollamento tra chi lavora nella direzione che soddisfa il proprio ego e chi opera in funzione del “team”, ma sentiranno maggiormente la distanza tra loro e il “capo”, incapace ai loro occhi di vedere queste situazioni foriere di conflitto oppure di saperle gestire nell’ottica dell’efficientamento dell’azione amministrativa. Avranno perso la fiducia non solo verso i loro colleghi, ma anche verso il loro superiore.
Come reagiranno invece i collaboratori a un superiore che sa distribuire le deleghe (sul punto, di grande ispirazione sono gli articoli di Gianni Penzo Doria dal titolo “La delega: aspetti giuridici e manageriali dopo il nuovo CCNL”[1] e di Michele Toschi, “La delega dirigenziale nelle organizzazioni pubbliche, gli adulti e gli adultoidi: genesi del progetto AlterEGO[2]), sa premiare i dipendenti a prescindere dal modo servizievole con cui gli stessi si approcciano a lui e riesce a ristabilire quell’equilibrio così necessario nel luogo lavorativo ma minato dalle ambizioni personalistiche dei suoi dipendenti? Si sentiranno al sicuro in un ambiente che sa riconoscerli e “proteggerli” da chi può indebolire la salute del gruppo di lavoro, indirizzando le proprie energie nell’obiettivo comune, con maggior slancio e produttività.
La prima fattispecie mi ha richiamato alla mente la poesia di Leopardi e il solipsismo per descrivere un manager che si comporta in quel modo: può aver raggiunto il così tanto agognato posto di comando, può avere un numero considerevole di collaboratori assegnati alla propria struttura, ma, di fatto, rimanere solo. Lo stesso dicasi per quei collaboratori che hanno perso la fiducia dei loro colleghi per i comportamenti innanzi descritti e poi si ritrovano loro stessi ai posti di comando all’interno della medesima realtà lavorativa. I loro colleghi non li apprezzeranno e, dunque, non li riconosceranno né come leader, né come superiori capaci di traghettare il team verso il raggiungimento di risultati. È su questo punto che si innesta la valutazione, non solo in termini di obiettivi performance assegnati con target misurabili, ma anche in termini di benessere fisico, mentale e sociale di tutti i lavoratori.
Torniamo a Leopardi:
“...Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.”
Può risultare, e forse lo è, sacrilego piegare una poesia così famosa e importante della letteratura italiana all’associazione mentale che suscita la situazione in cui si può venire a trovare un manager o un futuro manager che perde la fiducia dei propri collaboratori. Ogni tanto, però, occorre guardare la realtà dei fatti e analizzare i numeri: quante richieste di trasferimento, quante mobilità, quanti trasferimenti si registrano in ambienti lavorativi disfunzionali? E tra quelli che rimangono, quanti lavoratori subiscono fortemente lo stress emotivo e devono assentarsi per malattia? L’incidenza delle ripercussioni psicologiche nei lavoratori sulla produttività e sul benessere degli stessi è confermata non solo dalla crescente sensibilizzazione in tema di salute sociale e mentale, ma dalla stessa legge!
L’articolo 3 del decreto legge n. 80/2021 ha infatti riscritto l’articolo 28 del Testo Unico sul pubblico impiego, stabilendo specifici requisiti che i nuovi dirigenti dovranno possedere per accedere a questo importante ruolo: i bandi per l’accesso alla dirigenza pubblica dovranno valutare non solo il “sapere” ma anche il “saper fare” e il “saper essere”, da accertare non solo tramite le classiche prove scritte, ma anche attraverso prove situazionali e colloqui motivazionali.
E così, al 28/09/2022, è stata raggiunta l'intesa in Conferenza Unificata sulle nuove linee guida elaborate dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA), introduttive di nuovi criteri di selezione ispirati a quelli utilizzati nel settore privato, dove alla valutazione delle sole conoscenze si accompagna anche una valutazione delle competenze, al fine di inserire nelle amministrazioni “dirigenti effettivamente capaci di esercitare il loro ruolo”.
Strumento centrale nel nuovo assetto del reclutamento dei dirigenti risulta l’Assessment center, ampiamente utilizzato nel settore privato e nelle pubbliche amministrazioni europee e internazionali per la selezione del personale, che «ha l’obiettivo di analizzare e valutare, tramite l’osservazione del comportamento, il livello di possesso di un set predefinito di competenze comportamentali (o trasversali) di una persona, ritenute necessarie per ricoprire con successo un ruolo specifico o un insieme di ruoli in una organizzazione».
Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), conferisce alla valutazione delle competenze trasversali nei processi di selezione, avanzamento, formazione e sviluppo dei dipendenti pubblici un ruolo fondamentale per l’ammodernamento e il rafforzamento della Pubblica Amministrazione.
Senza pretesa di esaustività nell’analisi di queste importanti Linee guida, è opportuno porre l’attenzione su come il modello di competenze dei dirigenti della PA italiana sviluppato dalla SNA ne individui 15 articolate in 5 aree:
- Area cognitiva (soluzione dei problemi, visione strategica e pensiero sistemico);
- Area manageriale (gestione dei processi, Sviluppo dei collaboratori, Guida del gruppo, promozione del cambiamento);
- Area realizzativa (decisione responsabile, orientamento al risultato);
- Area relazionale (gestione delle relazioni interne ed esterne, negoziazione, orientamento alla qualità del servizio);
- Area del self management (tenuta emotiva, self development e consapevolezza organizzativa).
Tra le 15 competenze previste nel modello, occorre individuare - in coerenza con gli obiettivi da conseguire - quelle che, in aggiunta alle competenze core, meglio descrivono il profilo atteso.
Le competenze core sono le sei considerate più rilevanti, che si raccomanda di includere sempre nel set inserito nei bandi per la selezione della dirigenza.
Quelle core sono relative a:
- Soluzione dei problemi (Individuare tempestivamente i problemi, anche complessi, analizzando in modo critico e ampio dati e informazioni, per focalizzare le questioni più rilevanti, così da identificare e proporre soluzioni efficaci, rispondenti alle esigenze della situazione e coerenti con il contesto di riferimento);
- Gestione dei processi (Strutturare efficacemente le attività proprie e altrui, programmando, organizzando, gestendo e monitorando efficacemente le risorse assegnate - economico-finanziarie, umane, strumentali, temporali- tenendo conto dei vincoli e in coerenza con le strategie delineate e gli obiettivi da perseguire);
- Sviluppo dei collaboratori (Riconoscere i bisogni e valorizzare le differenti caratteristiche, risorse e contributi dei collaboratori, favorendone la crescita, l’apprendimento e la motivazione attraverso la valutazione, il feedback, il riconoscimento e la delega, nel rispetto dei principi di trasparenza ed equità organizzativa);
- Decisione responsabile (Riconoscere gli elementi controversi di una decisione e gli aspetti potenzialmente critici anche per l’amministrazione e l’interesse pubblico; scegliere tra le differenti opzioni con consapevolezza e tempestività, anche in condizioni di incertezza, complessità e carenza di informazioni, valutando pro e contro e combinando il rispetto dei vincoli con la finalizzazione della decisione. Assumersi la responsabilità delle decisioni e delle azioni proprie e dei collaboratori – accountability);
- Gestione delle relazioni interne ed esterne (Gestire reti di relazioni, anche complesse, comunicando efficacemente con i diversi interlocutori interni - anche in una logica di interfunzionalità - o esterni all’organizzazione - inclusi quelli istituzionali - cogliendone le esigenze e costruendo relazioni positive, orientate alla fiducia e collaborazione).
- Tenuta emotiva (Rispondere alle situazioni lavorative di pressione, difficoltà, conflitto, crisi o incertezza con spirito costruttivo, calma e lucidità, mantenendo inalterata la qualità della prestazione. Riconoscere l’impatto sulla vita lavorativa delle emozioni, proprie e degli altri, e attivare le risorse interne necessarie per far fronte alle criticità).
In altre parole, di centrale importanza nella selezione dei dirigenti deve essere anche la valutazione della gestione delle relazioni interpersonali e delle emozioni.
Ritornando alle mie associazioni mentali, l’immagine che mi evoca la lettura di queste Linee guida e la visualizzazione della loro fedele e corretta applicazione nei concorsi per dirigenti è quella della grondaia…
Un manager “sano” non si sente acqua, ma grondaia, perché serve a far defluire le energie dei suoi collaboratori in modo corretto e con le giuste tempistiche verso l’obiettivo comune. Non ha pretese di onnipotenza e sa che da solo non va da nessuna parte, né agendo per soddisfare le proprie ambizioni personalistiche. Si sente strumento, al servizio, e può portare l’acqua piovana nei bacini di raccolta solo se supporta, contiene, è saldo, non presenta falle e cambia inclinazione per consentirne il defluire.
Il Manager che oggi le PA sono chiamate a ricercare non considera i dipendenti assegnati alla Struttura da loro diretta come “pedine” da usare o risorse da “manipolare” (per utilizzare le parole acutamente utilizzate da Emanuela Cirelli) per raggiungere obiettivi perché coincidenti con la loro crescita professionale, ma perché combacianti con la crescita del proprio gruppo di lavoro, della propria unità organizzativa e, infine, dell’istituzione per cui lavorano tutti. Sa che lui/lei è il mezzo, non i suoi collaboratori. Dopotutto, più alto è il gradino sul quale ci troviamo, più grande è il fardello che sopportiamo, in termini di responsabilità e di adempimenti: la solitudine non giova a sentirne meno il peso. Più prestigiosa è la posizione ricoperta, più l’approccio deve partire dal basso, con atteggiamento di umiltà, l’unico che spinge i collaboratori a sentirsi partecipi del processo e fautori del raggiungimento dei risultati prefissati.
Per citare Papa Francesco che riportava don Tonino Bello: “Chi serve, salva. Al contrario, chi non vive per servire, non serve per vivere”.
E il cammino del Manager diventa il percorso di ogni persona che conduce la propria vita “non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio per avanzare insieme, si danno delle norme, dei progetti, delle regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti. Se no, si rompe qualcosa…il tessuto di una comunione che, una volta lacerata, richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture”.
Sono le parole di don Tonino Bello a concludere questo articolo fatto di associazioni mentali che hanno spaziato dal Romanticismo alla meccanica dei fluidi, dal diritto agli esempi di uomini che meritano menzione per aver incarnato con le loro azioni ciò in cui hanno creduto.