LA DELEGA E L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO (da Adam Smith ai giorni nostri)

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LA DELEGA E L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO (da Adam Smith ai giorni nostri)

 

Torno sul tema della delega e del progetto AlterEgo perché mi pare un argomento centrale per il buon funzionamento di una pubblica amministrazione e di ogni organizzazione più in generale. Il tema della delega, infatti, si interseca con il concetto stesso di organizzazione del lavoro e ne costituisce parte fondamentale.

Per spiegare questo concetto vale la pena richiamare le basi del pensiero organizzativo e l’evoluzione dei modelli organizzativi.

Che cos’è una organizzazione? Come possiamo definirla? In estrema sintesi possiamo dire che si tratta di un gruppo di persone che uniscono i loro sforzi, per svolgere un’attività in comune, dandosi delle regole di specializzazione (chi fa cosa) e coordinamento (come mettere a fattor comune le attività dei singoli). Perché lo fanno? Perché unendosi possono raggiungere risultati che sarebbero impensabili se lavorassero individualmente. Pensate ai nostri antenati che cacciavano i mammuth: un singolo uomo, armato di qualche pietra e lancia, non aveva la minima speranza di abbattere un mammuth. Una tribù organizzata (chi usa le lance, chi isola le bestie meno veloci, chi fa rumore per disorientare il branco...) ci riusciva.

Proviamo a spiegare un po' meglio, introduciamo il concetto di processo (ne ha parlato in modo molto chiaro Erika Leonardi su questa rivista: L’approccio per Processi valorizzato dalla Delega del 07 novembre 2024). Che cosa fanno le organizzazioni, cosa producono? Beni o servizi: scarpe, pomodori in scatola, automobili, etc., oppure istruzione, salute e sanità pubblica, sicurezza e giustizia, etc. Come fanno a produrre queste cose? Attraverso il processo. Seguendo la definizione di Erika Leonardi potremmo dire definirlo “come un gruppo di persone che, svolgendo attività correlate, trasforma le risorse che ha a disposizione, per produrre un risultato utile al cliente del processo”. Un esempio: abbiamo un gruppo di operai che collaborano: uno di loro fa le ruote, uno il motore, uno lo sterzo, un altro verifica che tutte le parti siano prodotte nei tempi giusti e si incastrino come devono. Qualcuno, infine, monta le parti assieme e si ottiene una moto o un’auto se preferite (risultato del processo utile al cliente che la vuole acquistare). Il processo organizzativo, pertanto, richiede specializzazione delle attività: non tutti fanno le stesse cose (chi fa lo sterzo, chi le ruote, chi verifica... ). Richiede, inoltre, coordinamento tra le diverse attività specializzate: se persone diverse fanno le diverse parti del bene o servizio prodotto, è importante darsi delle regole e delle procedure, delle modalità per essere certi che tutte le parti si incastrino tra loro nei tempi e nei modi giusti, in modo da riuscire a realizzare il prodotto finale e non un mucchio di parti inutili se prese singolarmente.

Il concetto di specializzazione è spiegato in modo eccellente Adam Smith (uno dei padri della moderna teoria economica) nel suo celeberrimo “La ricchezza delle nazioni (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776)”, con l'esempio della fabbricazione degli spilli: "Un uomo che lavora da solo... potrebbe forse fare, con grande fatica, non più di uno spillo al giorno, e certamente non più di venti. Ma con la divisione del lavoro, quando l’intero processo è suddiviso in una serie di operazioni distinte, ogni operaio esegue solo una parte specifica del lavoro e nulla più...  In una piccola manifattura, composta di dieci uomini,... la produzione complessiva è di 48.000 spilli, mentre un uomo solo difficilmente arriverebbe a uno o due".

Le parti specifiche del lavoro vanno poi ricondotte ad unità: riprendiamo l’esempio di Smith, ipotizziamo che una persona allunghi il ferro, l’altra lo tagli, l’altra faccia la capocchia, etc. La capocchia deve incastrarsi nel ferro allungato e chi la produce deve farne in numero uguale al numero degli spilli (non di più, oppure spreca ferro; non di meno, altrimenti avrò spilli senza capocchia) e con tempi coordinati. Il coordinamento appunto...

Se lo spillettaio producesse tutto lo spillo da solo non ci sarebbero problemi né di specializzazione né di coordinamento, ma ne farebbe al massimo 20 anziché 48.000! Perché accade questo: perché quando ci specializziamo attiviamo quelle che si chiamano le “economie”: di apprendimento, di specializzazione, di scala, etc. Detto in parole semplici: se mi concentro su un’attività specifica e meno complessa imparo prima a farla, divento più bravo e veloce, riduco i tempi morti anche grazie a tecnologie specifiche, produco di più abbassando i costi.

Ancora più facile: pensate ad un qualsiasi gioco di squadra; il calcio? Il portiere si specializza a stare in porta e non gioca un po’ in porta, ogni tanto in difesa o in attacco. Perché così facendo impara più velocemente il suo ruolo, diventa più bravo, para più tiri. Lo stesso vale per tutti gli altri componenti della squadra, ognuno con il suo ruolo.

A patto che la squadra giochi in modo coordinato (il famoso “modulo”). Vi ricordate da bambini al campetto, quando tutti correvamo dietro alla palla: le squadre un po' più organizzate/coordinate ci battevano 12 a 1 (il punteggio non è scelto a caso: Fusignano, S. Alberto – torneo pulcini 1978 – ci tengo a dire che fui io a segnare l’unico goal del S. Alberto).

Immaginate un’organizzazione complessa come i nostri Atenei: è addirittura impensabile che la stessa persona si occupi un po’ di personale, un po’ di logistica, di servizi informatici, di contabilità... I nostri docenti non insegnano fisica il lunedì, letteratura il martedì, economia il mercoledì... Non sarebbe possibile padroneggiare tutti questi ambiti con una professionalità, un’efficacia e un’efficienza decenti. Allora si specializzano in un abito specifico. A patto che, tale specializzazione sia ricondotta ad unità: il docente di chimica non sa nulla di logistica; chi se ne occupa deve procuragli il posto idoneo alle sue lezioni, e lui deve andarci il giorno e l’ora giusta, quando anche gli studenti sono presenti.

Abbastanza intuitivo vero?  Ma che cosa ha a che fare tutto questo con la delega? C’entra eccome: è l’essenza della delega. La persona che non delega e accentra, infatti, si comporta come chi corre costantemente dietro al pallone senza collaborare con agli altri giocatori, senza sfruttarne le capacità e la professionalità, usandoli come meri comprimari o tutt’al più esecutori. Le organizzazioni, oltre una soglia minima di complessità, non funzionano così. Meglio: possono anche funzionare così ma molto molto male. Immaginate un dirigente, ad esempio, che accentri e pretenda di gestire tutte le attività importanti della propria unità organizzativa, utilizzando i collaboratori solo come meri esecutori, senza autonomia e responsabilità. Lasciamo per un momento da parte problemi come la crescita, la motivazione, etc. Questo accentratore dovrebbe specializzarsi in una infinità di attività diverse, padroneggiandone le regole e le tecniche molto eterogenee, destreggiarsi in innumerevoli ambiti altamente professionali. Sembra assurdo; eppure, sono sicuro che se ci pensiamo qualcuno ci viene in mente...

Il concetto chiave è quello della complessità: quando un’organizzazione è molto semplice e poco articolata è possibile che un responsabile di vertice (sia l’imprenditore, il dirigente, o simili) riesca a controllare direttamente tutte le operazioni necessarie al funzionamento dell’ente. Si chiama “supervisione diretta”. Immaginate un artigiano che produca sedie e svolga tutte le attività in prima persona. Immaginiamo ancora che l’attività gli vada particolarmente bene e, per produrre di più, prenda a bottega tre collaboratori. Probabilmente riuscirebbe a coordinarli direttamente delegando solo la mera esecuzione dei lavori. Immaginiamo, invece, che questa attività si ingrandisca ancora di più e sia necessario avere qualcuno che si occupa di trattare con i clienti, qualcuno che acquisti il materiale, linee di produzione diverse (non solo sedie ma anche tavoli e librerie), qualcuno che recluti il personale in seguito a turnover, potrei continuare... La supervisione diretta sarebbe impossibile. Le attività delegate dovrebbero essere più ampie e il controllo meno puntuale e più strategico.

La delega, quindi, è l’essenza dell’agire organizzativo: chi sta al vertice la usa per distribuire le attività (specializzare) ed attivare le “economie”: i suoi colleghi/collaboratori se ne impadroniscono, diventano più competenti, efficienti ed efficaci. Imparano, inoltre, a lavorare in modo coordinato con gli altri che hanno ricevuto altre attività da svolgere, all’interno dei medesimi processi. Il delegante si ritaglia un fondamentale compito di coordinamento: mantiene (almeno dovrebbe mantenere) una visione di insieme sui processi, definisce le regole e le modalità di integrazione tra le varie attività suddivise, controlla, definisce strategie. Avete presente un direttore d’orchestra o lo skipper di una barca da regata se vi piace di più. Prendiamo il direttore della filarmonica di Brlino: ha a che fare con straordinari professionisti cui “delega” la parte più importante del lavoro; sono loro a fare la musica! Gli orchestrali, tra l’altro, per la maggior parte del tempo non lo guardano neppure perché il direttore, se è un bravo direttore, gli ha insegnato ad ascoltarsi l’un l’altro e a suonare assieme (si chiama mutuo adattamento). Interviene a dare il ritmo, a correggere stonature, a suggerire sensibilità. Fa un enorme lavoro in back per creare l’orchestra e definire le regole del suo funzionamento, lasciando però ampio spazio a chi suona ogni singolo strumento.

Non sa suonare il violino meglio del primo violinista o l’oboe meglio dell’oboista. Probabilmente neppure il triangolo meglio del triangolista. Ma ha lo sguardo di insieme sulla sinfonia e sa amalgamare i musicisti per produrre buona musica.

E le nostre organizzazioni sono in grado di produrre “buona musica”?