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Il dipendente neoassunto come l’ochetta Martina: questioni di organizzazione in Università ed Enti pubblici di ricerca

scorci romani
Ph. Andrea Pantarelli / scorci romani

Ogni organizzazione si pone il problema dell’inserimento nel proprio organico delle nuove leve. In buona sostanza, si tratta di rendere fertile il terreno della socializzazione dei neoassunti non soltanto con un “Benarrivato” (come magistralmente descritto dal prof. Vender in questa rivista)[1], ma anche attraverso la diffusione e l’aggiornamento, la socializzazione, di alcune informazioni vitali per qualsiasi organizzazione, specie se caratterizzata da sistemi a rete complessa, quali le Università e gli Enti pubblici di ricerca.

Le persone che ne entrano a far parte, infatti, spesso ne ignorano la struttura, i meccanismi di funzionamento, la cultura di contesto e le regole procedurali – soprattutto quelle non scritte. Queste ultime, come in un a sorta di “mandarinismo amministrativo”, sono tramandate di ufficio in ufficio.

Si tratta di questioni che hanno una peculiare importanza per i ricercatori, sia di Atenei che di EPR, le cui relazioni organizzative sono caratterizzate da una forte ritualità e da segnali deboli che vanno colti con molta attenzione, nonché da un’apparente disponibilità, dietro la quale si cela una forte contrapposizione tra i diversi settori scientifico disciplinari, soprattutto in differenti organizzazioni.

Per intrinseca natura, al pari degli studenti che devono lavorare individualmente per la propria laurea o per il dottorato, il loro agire si dipana in modo verticale, estrinsecandosi in forme collaborative che coincidono, quasi esclusivamente, con gruppi di ricerca scientifica. In questo caso, il principal investigator più che fare il ricercatore è chiamato a svolgere funzioni manageriali, di raccordo, di tessitura e, infine, di tirare le fila con i risultati scientifici.

Il personale tecnico amministrativo, invece, deve necessariamente sempre lavorare in squadra, per ottenere risultati secondo una logica trasversale tra più unità organizzative e concorrere e supportare la ricerca scientifica e la didattica.

Ecco perché l’inserimento di una nuova unità di personale in un meccanismo complesso deve avvenire con cura e attenzione ai dettagli. Sono costoro, infatti, nella situazione del viaggiatore che si trovi in un paese straniero, senza una mappa, e con una conoscenza approssimativa della lingua.

Non sanno come orientarsi. Acquisire il “senso dell’orientamento organizzativo” non è una cosa semplice, specie in tecnostrutture (per dirla con H. Minzberg) quali le università o gli enti di ricerca in generale. Si tratta, infatti, di “burocrazie professionali” definite anche “sistemi a legame debole” (secondo la celebre definizione di K. Weick) e considerate tra le reti di persone più complesse che possano esistere.

In buona sostanza, ci troviamo in un ambiente alquanto ostile che può apparire paradossale e che decide mescolando agire tecnico, razionalità limitata e arene politiche; senza qualche buona bussola è facile perdersi.

Il neoassunto, inoltre, si trova in una situazione del tutto particolare: deve iniziare a fare i conti con questo contesto perché ci deve lavorare, avendo a che fare con tutte le altre componenti dell’organizzazione. Detto in modo un po’ più puntuale, ha bisogno di mappe concettuali che guidino il proprio agire, esattamente come il viaggiatore ha bisogno di mappe o cartine per muoversi in un paese sconosciuto.

Se questo percorso non fosse accompagnato, potrebbe risultare estremamente faticoso, irto di ostacoli, passi falsi, fraintendimenti... e non è detto che vada a buon fine: i contesti organizzativi sono pieni di persone che, non necessariamente per loro demeriti, hanno lavorato tutta la vita in una organizzazione che non hanno mai compreso appieno.

Anzi, uno dei fattori di rischio della verticalizzazione dei saperi dei nuovi assunti è quello di finire risucchiati in un ingorgo cognitivo, in cui la visione si concentra soltanto su un tassello di un puzzle complesso.

Facciamo due esempi.

Negli atenei abbiamo conosciuto persone che hanno lavorato da sempre nell’Amministrazione centrale e non hanno mai compreso la realtà dipartimentale, cioè una macchina organizzativa certamente più piccola, ma con complessità e intensità relazionali maggiori. Oppure coloro che, lavorando in una struttura di ricerca hanno da sempre liquidato missioni e ritenuto che quella fosse l’essenza e la “missione” principale del proprio ente, ignorando totalmente il valore del progresso scientifico, della ricerca e della didattica, relegato solo all’inserzione di un biglietto di un treno o uno scontrino in un modulo precompilato.

La bellezza di lavorare in un’Università o in un Ente di ricerca, a strettissimo contatto con scienziati che ogni giorno lavorano per migliorare il mondo, è un’esperienza che non tutte le amministrazioni pubbliche, genericamente considerate, conoscono e possono comprendere nella loro essenza straordinaria.

Intendiamoci su un punto. Nessuno può chiamarsi fuori: è quel senso di frustrazione e di vacuo disagio che tutti abbiamo provato quando, proponendo qualcosa che ci sembrava palese e incontrovertibile, ci siamo visti guardare dai colleghi come se avessimo 3 occhi o 4 braccia… “Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato – tu, ipocrita lettore – mio simile e fratello!”, per citare il poeta.

Laddove l’errore sia procedurale, la duplicazione all’infinito di boiardi proceduralizzatori sarà uno degli errori che l’organizzazione pagherà caro (ne hanno parlato, già citati a nota [2], Di Benedetto e Penzo Doria).

Privo di aiuti – eccoci giunti al cuore del ragionamento – il neoassunto agisce come la famosissima oca Martina di Conrad Lorenz: imprinting e imitazione.

Il celebre zoologo nel suo “L’anello di re Salomone” racconta del proprio rapporto con Martina, dalla schiusa dell’uovo fino alla sua migrazione in altre terre. Quando si schiude l’uovo la piccola oca vede il naturalista e scatta l’imprinting: quell’uomo è la sua mamma che imiterà e ai cui modelli cercherà di conformarsi per imparare a vivere nel mondo.

A noi capita qualcosa di simile: le prime impressioni che abbiamo, le prime persone con cui ci confrontiamo, i primi modelli che ci vengono proposti sono quelli che ci rimangono impressi e che proveremo a imitare.

Se questo processo non è accompagnato, l’adeguatezza di quei modelli, che ci porteremo dietro a lungo, a volte per sempre, dipende dal caso o, meglio, dalle “occasioni”.

Ma l’organizzazione non può essere occasionale.

La questione, tra l’altro, va oltre il tema della socializzazione dei neoassunti; riguarda, in generale, la “cittadinanza organizzativa”: per essere parti integranti attive e partecipi della nostra organizzazione dobbiamo comprenderne l’“anima” o, per lo meno, avere gli strumenti minimi che ci permettano di intraprendere con una qualche consapevolezza il nostro cammino al suo interno.

Fin qui solo parole.

Nel prossimo articolo esamineremo l’esperienza completa di un programma di formazione per neoassunti dell’Alma Mater Università di Bologna. E, per dirla con un intervento di S. Bertè a un recente corso di Procedamus (LINK) «quest’opera di socializzazione dovrebbe essere destinata non solo ai neoassunti, ma anche a tutti i dipendenti che conoscono solo la propria realtà lavorativa circoscritta e non hanno visibilità del disegno complessivo dell’organizzazione, tanto che spesso attuano comportamenti e effettuano scelte che sembrano vantaggiose nel proprio contesto, ma che in realtà non lo sono a livello dell’intero sistema».

Di più.

In alcune organizzazioni, anche medio piccole, ci sono dipendenti che si conoscono soltanto via e-mail o per telefono. Incontrarsi e visitare reciprocamente i luoghi di lavoro è un fattore imprescindibile di crescita dell’organizzazione, così anche come scambiarsi tra colleghi il posto di lavoro e cominciare a comprendere i legami, le attese e i vincoli di contesto dei rispettivi colleghi: questi i risultati del recente progetto “Manager back to learning”, di cui parleremo prossimamente, anche all’interno del progetto di Umanesimo Manageriale (LINK).

 

[1] Simone Vender, Benarrivato, https://www.filodiritto.com/benarrivato.

[2] Di Benedetto e Penzo Doria, Le malattie endemiche..., in questa rivista, https://www.filodiritto.com/le-malattie-endemiche-del-funzionario-pubblico-e-la-reingegnerizzazione-dei-procedimenti-il-progetto-procedamus