Le delibere dell’università. Manuale per la gestione degli atti degli organi collegiali degli atenei italiani

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Le delibere dell’università. Manuale per la gestione degli atti degli organi collegiali degli atenei italiani

 

È molto difficile, credetemi, fare una prefazione convenziona­le a questo libro.

Potrei citare Andrea Camilleri quando nella prefazione al libro Invisibili af­ferma che «In genere, una prefazione serve a guidare con garbo e astuzia il lettore che s’appresta a leggere, più o meno scoper­tamente l’invita a riflettere su un certo passo, a soffermarsi atten­tamente su una particolare considerazione, a sorvolarne un’altra. Bene, nel caso specifico, io non sono in condizioni di mettermi su questo piano. Sono pienamente, totalmente coinvolto, non posso fa­re scelte personali e meno che mai dare delle indicazioni di lettura».

Perché sono coinvolto? Perché conosco da tantissimi anni l’au­tore Gianni Penzo Doria e se penso che le attività svolte, anche insieme, in tantissimi seminari sul tema delle delibere delle uni­versità adesso si traduce in un libro o, meglio, in un manuale per chi si occupa di organi collegiali, ma non solo, significa che tan­ta acqua è passata sotto i ponti e che tanta attività e, soprattutto, tanta conoscenza ed esperienza si sono potute condensare in questo testo.

Delibere o deliberazioni? Si utilizzano i termini allo stesso modo, mentre in realtà la deliberazione è l’azione di deliberare all’esito della quale si produce una delibera. Del pari, la verbalizzazione rappresenta l’azione di verbalizzare mediante la quale è prodotto il verbale. Quindi la deliberazione è l’atto, l’azione e le attività svolte, mentre la delibera rappresenta il documento che ne scaturisce, destinato a provare con le richieste formalità quanto deliberato nel corso di un’adunanza si evidenzia nel capitolo I del libro.

Ma le delibere che cosa sono? Possono essere un mezzo per arrivare alla comprensione delle amministrazioni pubbliche? Se è così in questo contesto, un’esigenza sempre più avvertita è quella di rendere più comprensibile il linguaggio burocratico.

Negli ultimi anni sono state intraprese molte iniziative in tal senso, dal Codice di stile del 1993 alla Direttiva sulla semplificazione del linguaggio amministrativo del 2002 e così via. Purtroppo, però queste iniziative hanno raggiunto solo in parte il loro scopo: secondo una recente ricerca commissionata dal Dipartimento per la funzione pubblica, più della metà degli stessi dipendenti pubblici (precisamente il 57,7%) giudica ancora poco comprensibile il linguaggio burocratico; per non parlare dei professionisti, dei commercianti e degli artigiani, tra i quali la percentuale sale al 71,5% per non parlare poi dei cittadini.

Non solo, spesso tra gli addetti ai lavori è diffusa la convinzione che certi limiti siano invalicabili: il linguaggio amministrativo – dicono costoro – è un linguaggio tecnico e specialistico, che non può essere semplificato. Ebbene, il nodo del problema sta proprio nella parola semplificazione.

Il tutto sta nel capire che scrivere in modo semplice non significa scrivere in modo semplicistico, un po’ come divulgare non significa volgarizzare. E per questo sono appropriate le parole di Galileo: «Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro, pochissimi». Come a dire: la semplificazione è tutt’altro che banale.

A intenderne bene il senso, è la cosa più complessa che ci sia, ed è tale che i migliori ingegni dovrebbero sentirsi assai stimolati ad impegnarvisi, invece che a ritrarsene un po’ sdegnati.

In questo libro si vuole spingere verso questo ambito soprattutto per migliorare la comprensione di molte questioni che come si dice nello stesso libro «... molto spesso l’elemento più impor­tan­te è rappresentato dalla tradizione tramandata gelosamente di funzionario in funzionario unitamente alle storture giuridiche e agli errori, anche involontari, commessi in una logica di mandarinismo diffusa nella tecnostruttura».

Nella pubblica amministrazione bisogna essere chiari, è necessario strutturare in modo logico l’argomentazione, far capire qual è lo scopo della comunicazione (a chi non è capitato di domandarsi «ma questi cosa vogliono?»), evitare di lasciare indistinti i soggetti (espressioni come «si ritiene che possa configurarsi», «va posta attenzione» e simili, sembrano fatte apposta per impedire al lettore di capire chi sia il suo interlocutore), evitare le locu­zioni ridondanti (sono ancora frequenti gli inviti a «debitamente sottoscrivere») ed altre cose ancora su cui questo libro cer­ca di superare cercando, ad esempio nel capitolo II, di definire e spie­gare come si arriva ad una proposta di delibera, se la relazione è di tipo discorsivo o provvedimentale. Nella sostanza bisogna che l’iter logico che poi sottende ogni decisione sia intellegibile chiaro e concreto.

Pensiamo alle famose premesse di ogni atto che nella mia attività quotidiana quando, ad esempio, ai miei collaboratori dico «forse siamo partiti dallo Statuto Albertino...», ebbene il libro ci guida nella strutturazione della dimensione dei vari premesso che a costituire l’aspetto prodromico prima del deliberato vero e proprio. Ma la stessa configurazione del testo che non è un manuale di diritto amministrativo deve aiutare a spiegare situazioni tipiche dell’agire quotidiane, quando ad esempio l’autore si sofferma sul cuore della delibera, la motivazione che, com’è noto, diventa imprescindibile in ogni atto e a maggior ragione nell’atto deliberativo.

In questo modo è possibile individuare due caposaldi del libro: un percorso prettamente tecnico-giuridico, relativo alle norme, ai riferimenti della giurisprudenza, ai metodi, alle analisi, alle conoscenze, che si salda all’altro di natura esistenziale: questo libro è un viaggio fatto dall’autore in molti anni della sua vita umana e professionale.

La vita di ogni essere umano è un cammino, come anche il suo percorso che ha intrinsecamente la struttura di un viaggio e che nella sua strada ha incontrato e continua ad incontrare moltissime persone sempre interessate a capire uno degli argomenti più affascinanti dell’agire pubblico che nel III capitolo raggiunge il suo apice: la dimensione della collegialità amministrativa.

L’affermazione, infine, di nuovi indirizzi linguistico-comu­ni­ca­tivi tendenti verso lo sviluppo di una nuova tradizione culturale: dare nuova linfa ad una vena di comunicatività che la tradizione del discorso burocratico aveva inaridito, fino quasi a soffocarla. Questo libro ci riesce molto bene.

 

G. Penzo Doria, Le delibere dell’università. Manuale per la gestione degli atti degli organi collegiali degli atenei italiani, Padova, Cleup, 2025

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