Gli astenuti sono votanti?

Quel pasticciaccio brutto del quorum funzionale ristretto.
Lecce
Ph. Antonio Capodieci / Lecce

1. Gli astenuti sono votanti?

La domanda non sembri peregrina, soprattutto in un contesto inerente alle collegialità amministrative, in cui l’ordinamento interno fa scaturire dubbi interpretativi, soprattutto in persistenza di prassi che variano da Università ad Università, come anche da Dipartimento a Dipartimento (o Scuola) del medesimo Ateneo.

Eppure, l’art. 64 della nostra Costituzione dispone che: «Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale».

La formulazione, pur tra tre “non”, risulta inequivocabile. Viene introdotto il principio costituzionale della maggioranza semplice, tanto per il quorum strutturale (il numero legale per la legittimità delle sedute) quanto per il quorum funzionale (il numero dei voti favorevoli indispensabili per assumere le deliberazioni).

Nel mondo universitario e degli enti pubblici di ricerca è sempre così? Siamo portati a un'applicazione lineare oppure abbiamo eccezioni significative in ragione della consueta autonomia spiccata che sfiora l’anarchia?

A leggere gli statuti e i regolamenti generali, ma anche a osservare gli usi e le consuetudini, il quadro istituzionale di riferimento risulta assai disomogeneo. In alcuni casi, infatti, la dicitura “a maggioranza dei presenti” è sostituita da “a maggioranza dei votanti” e, in casi ancor più peculiari, gli astenuti non sono contemplati espressamente tra i votanti. Ciò permette di lasciare via libera a una maggioranza che definire tale in termini sostanziali potrebbe risultare un compito assai arduo.

A onor del vero, anche le due Camere del Parlamento agiscono in maniera disallineata proprio in ragione della differente qualificazione della natura degli astenuti e degli effetti conseguenti.

Tuttavia, due sentenze a distanza di un paio di mesi l’una dall’altra, ma in contesti ordinamentali interni differenti di due importanti Atenei italiani, si estrinsecano in statuizioni nei confronti degli astenuti in punto di diritto n maniera conforme e corretta, ma con esiti sostanziali diametralmente opposti.

Il riferimento è, in particolare, alle recentissime:

  • TAR Lombardia Milano, Sez. III, 27 gennaio 2021, n. 248
  • TAR Lazio Roma, Sez. III, 29 marzo 2021, n. 3779

che ci avviamo a commentare. A questo punto, potremmo chiederci: è ragionevole prevedere in un regolamento che il quorum funzionale si raggiunge a maggioranza dei votanti e non dei presenti?

 

2. Gli astenuti sono conteggiati nel quorum funzionale (TAR Lazio Roma, Sez. III, 29 marzo 2021, n. 3779)

Il TAR Lazio Roma, Sez. III, 29 marzo 2021, n. 3779 ha confermato orientamenti dottrinali e pronunce giurisprudenziali ormai consolidati e costanti. Sia detto in breve: gli astenuti concorrono alla formazione del quorum funzionale e non possono essere considerati voti favorevoli alla proposta di deliberazione.

Tra l'altro, il giudizio di merito riguarda proprio un Ateneo, nella fattispecie la Sapienza - Università di Roma, convenuta contro un docente per la bocciatura della deliberazione di nomina a professore emerito. La Sapienza è uscita vittoriosa dal giudizio di primo grado grazie a una regolamentazione corretta e granitica sul quorum funzionale.

All’esito della votazione, infatti, non veniva registrato alcun voto favorevole alla proposta di deliberazione, ma il ricorrente eccepiva la circostanza di un elevato o, comunque, superiore, numero di astenuti rispetto ai contrari tale da ritenere, a giudizio di parte, fondata la censura di inesistenza del quorum funzionale in ragione dell’insufficiente numero dei contrari. In realtà, come ha chiarito il TAR, la proposta deve ritenersi respinta proprio a causa della mancanza del quorum funzionale favorevole.

Eccone un passaggio significativo:

«Nel caso di specie la proposta non ha ottenuto alcun voto favorevole da parte dei 31 presenti, i quali si sono in gran parte astenuti (22) e in altra parte (9) hanno espresso voto contrario. Ne consegue che in sede di votazione il Senato ha ritenuto, sostanzialmente all'unanimità, di non approvare la proposta.

Al riguardo ritiene il Collegio che nessun pregio ha, pertanto, la censura sulla inesistenza della votazione perché non si è raggiunta la maggioranza di 16 voti per la sua giuridica esistenza, prevedendo, come s'è visto il Regolamento, la regola opposta: ossia che occorra il voto favorevole della maggioranza per ritenere approvata una proposta».

Nel Regolamento Generale di Ateneo si trova limpidamente scritto che:

«Le deliberazioni sono validamente adottate quando ottengono il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti presenti alla seduta (quorum funzionale), salvo quando sia prescritta una diversa maggioranza. Nel computo dei presenti sono compresi coloro che esprimono voto di astensione. In caso di parità tra i voti favorevoli e non favorevoli, prevale il voto del Presidente».

(Sapienza – Università di Roma, DR 27 maggio 2014, n. 1232, art. 22, comma 2).

Ciò premesso, possiamo enucleare una regola generale per l’approvazione: una deliberazione deve ottenere un voto favorevole dalla metà + 1 degli intervenuti (quorum funzionale a maggioranza semplice). In caso contrario, si intende respinta.

 

3. Il parere del Ministero dell’Interno sugli Enti locali

Sulla medesima linea interpretativa si è espresso – per le collegialità degli Enti locali – il Ministero dell'interno, sussumendo che «In assenza di specifica previsione regolamentare gli astenuti concorrono alla formazione del “quorum strutturale”, mentre sono esclusi dal calcolo del quorum funzionale; le deliberazioni sono approvate con una maggioranza di voti favorevoli»: Link.

In buona sostanza, per poter adottare un provvedimento collegiale risulta sempre necessaria la maggioranza semplice di legittimati presenti.

Ma nelle Università e negli Enti pubblici di ricerca è sempre così?

 

4. Il caso del “quorum funzionale ristretto”

Contrariamente all’impostazione ortodossa sulle dinamiche della collegialità amministrativa appena esaminata, alcuni Atenei italiani hanno scelto la strada – certamente insindacabile, ma migliorabile – di quello che chiameremo “quorum funzionale ristretto”, distinto dal più ordinario “quorum funzionale” (da non confondere con il “quorum funzionale variabile” legato alla trattazione di punti all’ordine del giorno in composizione ridotta di legittimati per materie peculiari: ad esempio, le materie dei professori ordinari che possono essere discusse solo dai pari grado).

Per tale ragione, in persistenza di un superiore numero di astensioni rispetto ai voti favorevoli, all’esito della votazione non sarà più dichiarabile il rigetto della proposta di deliberazione, ma risulterà necessario verificare con attenzione la previsione ordinamentale interna, nel caso in cui fosse previsto, anche per casi specifici (ad es., la chiamata di un professore), un calcolo differente per il quorum funzionale in base ai voti favorevoli effettivamente espressi.

Pertanto, non sembri superflua una calda raccomandazione sul corretto utilizzo delle parole le quali, nel linguaggio giuridico, sono pietre. E, fatto non secondario, risulta necessario fare sempre riferimento al contesto giuridico nel quale si estrinseca l’atto deliberativo.

Può accadere, infatti, che da un lato il Regolamento Generale disciplini le votazioni e il quorum funzionale a maggioranza semplice dei legittimati intervenuti per i collegi in generale, mentre sussista una riserva – soprattutto nelle sedi dipartimentali, nelle Scuole o le sedi periferiche degli Istituti – in un ordinamento interno peculiare e difforme da quello degli organi collegiali centrali.

 

5. L’ordinamento interno fa la differenza (TAR Lombardia Milano, Sez. III, 27 gennaio 2021, n. 248)

Un caso simmetrico e analogo a quello dianzi richiamato – e di qualche settimana precedente – ha ottenuto una diversa pronuncia in sede giudiziale, in considerazione della persistenza di diversa regolamentazione interna.

Ci riferiamo, in particolare, all’Università Commerciale “Luigi Bocconi” e al TAR Lombardia Milano, Sez. III, 27 gennaio 2021, n. 248, in cui i giudici di prime cure hanno statuito che «La deliberazione del Consiglio di Dipartimento di Studi Giuridici assunta in data 20 marzo 2019 risulta illegittima in quanto avente contenuto dispositivo contrastante con l'esito della votazione, nella quale i voti favorevoli all'avvio della vera e propria procedura di valutazione (dieci) sono risultati superiori ai voti contrari (mentre, come ripetuto, le astensioni, non essendo espressione di volontà, né positiva né negativa, non vanno computate)».

A una lettura disattenta sembrerebbe che due tribunali, a distanza di due mesi l’uno dall’altro, si siano espressi in maniera contraddittoria.

In realtà, entrambi hanno operato correttamente.

Il primo ha applicato la normativa generale sulla maggioranza inerente al quorum funzionale; il secondo ha agito in ossequio all’art. 9, punto 3, del vigente regolamento in Bocconi, il quale stabilisce che «gli astenuti non sono presi in considerazione ai fini della determinazione del quorum deliberativo».

Pertanto, proseguono i giudici di prime cure, «gli astenuti, sebbene considerati presenti ai fini della validità dell'adunanza ai sensi dell'art. 7.1 del regolamento, non sono computati ai fini della determinazione della volontà dell'organo, che deve essere quindi desunta sulla base della maggioranza dei voti espressivi di volontà».

 

6. Un commento giuridico e lessicale

A questo punto si impone una nota linguistica e giuridica, anche al fine di evitare una forzatura concettuale a danno del funzionamento di un collegio amministrativo. Le collegialità, infatti, si estrinsecano in cinque fasi (convocazione, adunanza, discussione, votazione e verbalizzazione). La quarta fase è rappresentata proprio dalla votazione, la quale avviene su una proposta di deliberazione e a seguito della discussione.

Dunque, chi dichiara la propria astensione non è astinente (non è corretto scrivere, come si trova, astenente) prima della votazione, ma risulta astenuto soltanto all’esito della votazione. In buona sostanza, è possibile accertare l’astensione di un votante soltanto a votazione avvenuta. Ciò significa che un astenuto prende indubitabilmente parte alla votazione, anche se non può essere conteggiato né tra i favorevoli né tra i contrari. Diversamente, chi si “astiene” prima della votazione dovrebbe essere annotato come “assente” dall’adunanza o in quel punto specifico dell’ordine del giorno, mentre il presidente del collegio deve far annotare dal segretario verbalizzanti i favorevoli, i contrari e, appunto, gli astenuti.

Le due figure giuridiche di “astenuto” e di “assente”, pertanto, non possono essere percepite come sovrapponibili, come non può essere in alcun modo – senza forzatura – considerato assente dalla votazione un astenuto.

Seguendo il brocardo nel dubbio astieniti!, dalla locuzione latina in dubiis abstine!, gli astenuti non possono che essere dichiarati partecipanti alla fase essenziale della votazione. Pertanto, gli astenuti non sono “non partecipanti al voto”, ma appunto astenuti, pur non essendo dichiarabili come partigiani dell’una (i favorevoli) o dell’altra (i contrari) fazione.

E, si badi in particolare al fatto che la figura dell’astenuto era ben nota già in epoca medioevale. Fin dal XIII secolo nel Dogado veneziano esistevano per i collegi tre diversi modi di qualificare le espressioni di voto in capo ai legittimati: i favorevoli (de parte), i contrari (de non) e gli astenuti (non synceri). Il non syncerus (o non sincerus) era colui il quale si dichiarava non sinceramente in grado di esprimere una posizione favorevole o contraria a una proposta di deliberazione, perché autoqualificatosi come “non sinceramente in grado di esprimere un voto con scienza e coscienza”.

Non solo. La deliberazione che avesse ricevuto un numero superiore di astensioni era considerata come non adottata. In caso di riproposizione in seduta differente – cioè in caso di stralcio del punto all’ordine del giorno, come diremmo oggi – la politica veneziana agiva in maniera tale da ricercare un accordo o comunque una convergenza di maggioranza attraverso la sistemazione del testo deliberativo attraverso la cosiddetta conça (o conza), cioè una sorta di “acconciatura” contenutistica, in grado di superare lo stallo degli astenuti.

Le lezioni che provengono dal passato hanno sempre un futuro radioso. Da ciò consegue che non è possibile derubricare l’astenuto come assente dalla votazione, anche perché risulta possibile apprendere dell’astensione soltanto dopo la proclamazione del risultato della votazione.

Ciò deve avvenire seguendo procedure ben delineate dall’ordinamento e da giurisprudenza costante, il cui accertamento è in capo al segretario verbalizzante a valle della discussione di una proposta di deliberazione, al punto da risultare giuridicamente arbitrario non conteggiare nel computo dei votanti gli astenuti, giacché costoro sono partecipanti e non dichiarabili come assenti.

L’assenza dalla seduta, anche temporanea, è dichiarazione anche in capo ai singoli componenti del collegio, i quali per varie ragioni (impedimento momentaneo, conflitto di interessi, espressa volontà di assentarsi da uno o da più punto all’ordine del giorno, etc.) non partecipano, né assistono all’adunanza. Esiste, dunque, un abisso giuridico tra essere assenti ed essere astenuti.

Nel caso in cui gli astenuti non fossero considerati tra i votanti, verrebbe arbitrariamente annullata tale distinzione che, di contro, rappresenta due profili ben distinti dei poteri e dei doveri in capo ai componenti delle collegialità amministrative.

Non v’è chi non veda come, in determinati contesti (scatti stipendiali, aumento delle tasse, parere su una valutazione comparativa, etc.) l’astensione sia un segnale debole sotto il profilo comportamentale, ma accademicamente molto forte per la governance, anche per il fascino sottile che riveste la critica implicita, a volte molto più dura, di quella esplicita rappresentata dal voto contrario.

L’astensione, dunque, è una presa di posizione molto importante per la collegialità amministrativa, che non può essere confusa con altri.

 

7. La maggioranza di numero dispari inferiore a tre

Poniamoci ora di fronte a un caso estremo, peraltro già accaduto.

Un Dipartimento di grandi dimensioni gode di un numero di legittimati pari a 200 e alla riunione in cui in Consiglio dipartimentale è all’esame una proposta di deliberazione si contano 100 presenti. Terminata la discussione, il Presidente pone in votazione la proposta di deliberazione, con il seguente esito: favorevoli 15, contrari 10, astenuti 175.

In persistenza della formula “Le deliberazioni sono assunte in base al numero dei favorevoli” passerebbe una proposta votata soltanto da una porzione del tutto esigua, con la conseguenza che un provvedimento risulterebbe concretamente assunto da una minoranza residuale, cioè dal 7,5% dei legittimati e dal 15% dei partecipanti all’adunanza.

Ma, caso limite, passerebbe anche se vi fosse un solo voto favorevole in persistenza dell’astensione di tutti gli altri legittimati.

Sembra trattarsi di un periodo ipotetico del quarto tipo, eppure – a patto di un’espressa previsione regolamentare – un solo voto di fronte a una pluralità di astenuti, equivale a fare comunque ritenere assunta la deliberazione.

Il riferimento è a un caso concreto.

Così, infatti, si è espresso tempo fa il TAR Lazio, Roma, Sez. I, 11 marzo 2004, n. 2383, lamentando – tra le righe e in punta di penna – proprio la previsione regolamentare come discostatasi dai principi ordinari:

«Di regola, si tiene conto, ai fini del computo del quorum funzionale, degli astenuti volontari, i quali vengono considerati membri del collegio che, di fronte alla proposta, non l'approvano, invece per il regolamento del C.M.M. i componenti astenuti concorrono solo per la formazione del quorum strutturale, sì che deve conseguenzialmente ritenersi approvata la proposta che abbia ricevuto l'unico voto validamente espresso».

Per evitare simili stress alla volontà collegiale, anzi un vero e proprio vulnus al concetto stesso di collegialità e all’autodeterminazione dei componenti, potremmo stabilire un principio generale da inserire nei regolamenti generali: “Gli astenuti concorrono a formare il quorum funzionale”.

Chiaro, sintetico e semplice, com’è bene sia scritta una norma. Ciò, nel concreto, significa che una deliberazione potrà essere assunta soltanto dalla maggioranza semplice degli intervenuti alla seduta.

Le altre eccezioni dovranno essere ben regolamentate: ad esempio, per la maggioranza relativa, cui deve ricorrere il collegio dinanzi a due o più proposte di deliberazione sul medesimo punto oppure della maggioranza qualificata, quando prevista espressamente dall’ordinamento.

 

8. L’astensione come segnale debole molto incisivo

Orbene, si impongono due questioni di metodo. In primo luogo, prima della discussione, il Presidente deve esplicitare con chiarezza il reale peso dell’astensione, soprattutto in caso di diversa regolamentazione specifica, cioè di previsione ordinamentale interna che si discosti dalle prescrizioni generali. In seconda battuta e in casi conclamati, non v’è chi non veda come – avuta contezza del peso – la votazione assumerebbe una diversa morfologia, tanto da indurre anche i meno convinti a tramutare la propria astensione in voto contrario.

Inoltre, l’astensione in casi specifici può essere anticipatrice di tempi di attesa per accordi non ancora perfezionati. Ad esempio, la celebre “scheda bianca” nelle prime votazioni per le elezioni del Rettore (ma anche del Presidente della Repubblica) rappresenta una sorta di limbo strategico in previsione del formarsi di coalizioni e prima di verificare gli orientamenti della Comunità accademica. Anche in questo caso, l’astensione non può essere considerata come “non votante”, visto che si tratta di un’attesa chiara e inequivocabile.

Infine, come già detto, sembra opportuno ripetere che nel delicato equilibrio accademico e, in modo particolare, nelle delicatissime questioni inerenti alle carriere, ai punti organico e all’organizzazione, fa molto più rumore un’astensione di un voto contrario. E, spesso, la prudenza accademica invia segnali deboli (come l’astensione) in luogo i segnali forti (come il voto contrario), i quali – nel gioco impercettibile della governance – spesso producono risultati maggiormente incisivi nel contesto istituzionale degli organi accademici.