Tre lezioni di archivistica non ortodossa - parte seconda

2. Il principio di provenienza
archivistica non ortodossa
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Tre lezioni di archivistica non ortodossa

2. Il principio di provenienza

 

1. La provenienza: un concetto giuridico

Due sono i caposaldi fondamentali in archivistica generale: il vincolo archivistico e il principio di provenienza. Il primo lo abbiamo esaminato come entanglement nel precedente articolo (https://www.filodiritto.com/tre-lezioni-di-archivistica-non-ortodossa), ora invece affrontiamo il tema della provenienza.

Deve essere qui chiarito che si tratta di un concetto giuridico, prima che archivistico, il quale, in entrambi i casi, ha a che fare con il significato di “originarietà” e di “contesto”.

In ambito giuridico, infatti, il principio di provenienza impone che le norme siano attuate tenendo conto della loro origine. Ciò significa che qualora, in sede di applicazione, sorgessero conflitti o dubbi interpretativi tra norme di diversa estrazione e grado, il faro guida è la verifica della provenienza e delle gerarchie nel diritto nazionale, europeo e internazionale. Questo principio fondamentale mira, pertanto, a riconoscere a ciascuna norma una capacità di produrre effetti giuridicamente rilevanti soprattutto in base al contesto. Ed ecco la ragione per la quale un concetto giuridico molto complesso trova accoglienza nella nostra disciplina.

Spostiamoci, dunque, in archivio. Possiamo ora affermare che la provenienza archivistica si deduce attraverso l’identificazione dell’origine dei documenti, cioè con l’individuazione del soggetto produttore.

In buona sostanza, occorre essere severi con quella parte di teorici che proseguono nell’annacquare il concetto di provenienza con il vincolo archivistico, rendendolo di fatto un tutt’uno sulla base dell’ordinamento e dei nessi logici. Invece:

  • il vincolo archivistico si riferisce alle interrelazioni tra i documenti e le aggregazioni documentali di riferimento (fascicoli, serie, sottofascicoli, sottoserie, etc.), non del soggetto che ha prodotto il complesso di documenti;
  • il principio di provenienza si riferisce al legame tra l’intero archivio e il proprio soggetto produttore ed è un pilastro dell’integrità dell’archivio.

Sulla base di tali considerazioni, possiamo enucleare due precipitati. Da un lato, l’archivio deve essere conservato e mantenuto nella propria integrità (principio di provenienza), dall’altro deve essere rispettato e lasciato inalterato nell’ordine originario delle interrelazioni tra i documenti che lo stesso soggetto si è dato (vincolo archivistico).

Ciò significa che risulta imprescindibile mantenere intatti i nessi tra i documenti e il loro contesto di produzione, ma è altrettanto fondamentale evitare smembramenti, dispersioni e, non ultimo, i fattori più rischiosi: fusioni e accorpamenti arbitrari. E qui possiamo notare nel secondo precipitato una terra di confine con il vincolo archivistico, in cui addirittura principio di provenienza e vincolo sembrerebbero fondersi, pur essendo i confini marcati a sufficienza. Ecco la ragione per la quale serve la massima attenzione: non si tratta di una dicotomia, ma di una distinzione fra due funzioni ineludibili per qualsiasi sistema informativo documentale.

Dal momento che gli archivisti sanno bene che, nell’eterna lotta tra Aristotele e Platone, il mondo reale è profondamente differente dal mondo ideale, è stata coniata l’espressione di principio di provenienza liberamenti applicato, ma tecnicamente sbagliata: avremmo semmai dovuto sostenere il vincolo archivistico liberamente ripristinato.

Adolf Brenneke, infatti, sostenne la possibilità di intervenire criticamente sull’ordine originario – a volte contradditorio o, neanche troppo di rado, evanescente, se non seriore rispetto al tempo dell’effettiva produzione – per poter assegnare ai complessi documentari una sorta di “dignità archivistica”. In questa fase si staglia uno stretto e reciproco rapporto tra l’ordinamento archivistico (proprio del soggetto produttore) e l’intervento di riordino (ripristino effettuato con un lavoro archivistico seriore).

In realtà, qui si assiste al passaggio dell’archivista da terza parte fidata e neutrale a demiurgo della memoria, sul cui tema proporremo osservazioni in un’altra occasione. Infatti, essendo queste scelte frutto di una discrezionalità tecnica, il primo punto da chiarire sarà da riferirsi ai limiti effettivi di tale discrezionalità. Infine, la diplomatica – che sempre più in ambiente digitale dovrà affiancarsi all’archivistica – colloca la verifica della provenienza in capo all’identificazione dell’autore del documento, in un agone continuo tra pertinenza e funzione, sempre nella logica della verifica dell’autenticità.

 

Gli archivi aggregati e il Respect des fonds

Mentre la teoria archivistica italiana e tedesca intersecano il vincolo con la provenienza, la teoria archivistica francese mantiene un rigore metodologico sul principio di provenienza, che si attua attraverso il Respect des fonds.

Si tratta del principio in base al quale la conservazione di un archivio passa ineludibilmente attraverso il mantenimento della propria struttura, preservando i legami e i documenti prodotti da un singolo ente o da una persona fisica, senza smembrarli o, peggio, confonderli e fonderli con quelli di altri soggetti produttori.

Per comprendere appieno il concetto, dobbiamo chiarire la definizione di archivio aggregato o anche, per dirla con Eugenio Casanova, di archivio riunito.

Ogni persona fisica e giuridica produce un archivio. Quest’ultimo, all’atto della cessazione o della trasformazione giuridica o amministrativa dell’ente (mediante fusione, anche parziale), cessa di produrre il proprio archivio. A quel punto deve essere considerato come archivio chiuso, cioè non ulteriormente incrementabile. Qui è bene rifuggire da un’endiadi lugubre, in voga fino a qualche decennio fa, con le due accezioni differenti di archivio storico e di archivio cessato: archivio morto.

Possiamo richiamare numerosi esempi:

  • Le Congregazioni di carità, istituite dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 e poi trasformatesi in Ente comunale di assistenza (ECA) in virtù della legge 3 giugno 1937, n. 847, avevano la funzione di assistere cittadini in condizioni di particolare bisogno. Con il DPR 24 luglio 1977, n. 616, le funzioni degli ECA furono trasferite ai comuni, ovviamente insieme ai loro archivi. Oggi, un municipio sede di ex Congregazione di carità e di ex ECA conserva almeno i due rispettivi archivi aggregati, cioè il fondo ex Congregazione di carità e il fondo ex ECA;
  • Il Comune di Porto Viro (RO) è stato istituito il 1° gennaio 1995 in virtù della fusione dei Comuni di Contarina e di Donada in ossequio alla legge regionale del Veneto 14 settembre 1994, n. 49. Oggi il municipio conserva gli archivi aggregati dei soppressi comuni di Donada e di Contarina. Così pure l’attuale Comune di San Giovanni di Fassa, istituito il 1º gennaio 2018 dalla fusione dei comuni di Pozza di Fassa e di Vigo di Fassa, conserva gli archivi dei due comuni soppressi da cui ha tratto origine;
  • Nelle università italiane ci sono state diverse fusioni, riorganizzazioni e accorpamenti. Il primo e più rilevante intervento del legislatore risale al DPR 11 luglio 1980, n. 382, con il quale fu introdotta, tra l’altro, la dipartimentalizzazione; inoltre, con la legge 30 dicembre 2010, n. 240 furono soppresse, quasi ovunque nell’Italia universitaria, le facoltà e accorpati istituti e dipartimenti. Gli archivi delle strutture cessate confluirono, con qualche significativa eccezione, nell’Archivio generale di Ateneo e furono mantenuti distinti come fondi di strutture ad archivio aggregato in quanto chiuso.

I nostri esempi potrebbero proseguire con le varie riforme dell’assistenza sanitaria e con le fusioni degli istituti bancari, ma ci sembra di poter sostenere che l’argomento è stato sufficientemente illustrato.

L’unica documentazione che confluisce senza soluzione di continuità tra il soggetto cessato e il soggetto accogliente (nuovo o preesistente) riguarda le pratiche correnti (non l’archivio corrente), cioè gli affari ancora in corso di trattazione- Tuttavia, ciò è limitato soltanto agli affari non conclusi all’atto della cessazione, quindi i fascicoli e le serie archivistiche che, nel passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo soggetto, devono concludersi nei termini di legge.

Qui potremmo aprire una digressione molto lunga, richiamando il concetto della vischiosità caro a Filippo Valenti. Alcuni soggetti produttori, infatti, incuranti del cambio di soggetto, addirittura di governo dello Stato (un caso classico della prima metà dell’Ottocento nell’Italia delle dominazioni straniere riguarda i plurimi passaggi tra il governo francese e quello austriaco) continuarono imperterriti a utilizzare gli stessi mezzi di corredo senza soluzioni di continuità (ad es., rubriche, protocolli, repertori), come se le trasformazioni istituzionali non riguardassero anche gli archivi.

 

Similitudini gastronomiche sul principio di provenienza

Giunti a questo punto come far comprendere, in modo meno tecnico e meno ortodosso, che gli archivi devono essere conservati rispettando l’origine e l’afferenza rispetto al soggetto produttore, cioè il principio di provenienza?

Utilizzeremo al nostro scopo un esempio di taglio gastronomico. Immaginiamo di uscire a pranzo in compagnia di amici e di ordinare un bel piatto di spaghetti allo scoglio, a seguire un branzino al sale, una crostata di marmellata, un capo in B (cioè un espresso macchiato in bicchiere) e, giusto per cesellare il confine del gusto, un bombardino caldo.

Ovviamente, analogo discorso è riferibile alla tiella barese di patate, riso e cozze e così via, ma anche a un tanto semplice quanto gustoso panino al prosciutto e formaggio, con un caffè a fine pasto.

Orbene, sappiamo che gli ingredienti si mescoleranno nello stomaco in fase di digestione. Quindi, perché non realizzare un piatto unico con frutti di mare, marmellata, bombardino, branzino e caffè sapientemente miscelati in una bastardella capiente e ingeriti indistintamente insieme? O, perché no, anche una bella “pucciata” del panino in una tazzulella ’e cafè?

Pucciata

Siete inorriditi, vero? Non vi sembra sufficientemente orripilante?

È lo stesso orrore – sappiatelo bene – che provano gli archivisti quando trovano un florilegio imbarazzante e accatastato alla rinfusa di fondi di diverse provenienze senza capo né coda, come in un agglomerato informe di documenti abbandonati al loro destino. In questo caso, il lavoro altamente professionale da svolgere riguarda il ripristino della provenienza e dell’ordinamento originario, sia per quanto riguarda i vari soggetti produttori, sia per quel che rileva il vincolo tra i documenti.

Pertanto, se inorridite solo all’idea di pranzare con un piatto di riso, patate e cozze affogato nella schiuma del caffè macchiato e nel dolce dello zabaione liquoroso, oppure di inzuppare nel caffè caldo il panino al prosciutto e formaggio, lasciate intatto il principio di provenienza nei vostri archivi, altrimenti proverete l’imbarazzo di un abominio alimentare e documentale senza precedenti.

E se, per caso, fossi riuscito a tirarvi fuori – anche mentalmente – una sola espressione di un altisonante disgusto (bleah!) figurandovi a mescolare zabaione, cozze, caffè, marmellata e vongole, lo scopo di questa lezione sarà stato raggiunto.

Dunque, reagite con forza ogni qualvolta vi accorgete che un impiegato sprovveduto mescola, disorganizza e confonde gli archivi in un’ammucchiata truffaldina di provenienze e di vincoli, a volte inventati di sana pianta.

E su questo sappiamo bene che la burocrazia sa essere ingegnosamente distruttiva. Infatti, il disfare è un lavoro di poche ore, mentre il riordinare richiede costi in termini di risorse umane e strumentali che potrebbero essere più felicemente dirottati sul lavoro professionale di descrizione e di tutela degli archivi. Questi beni culturali non sono palle di neve che ritornano pacificamente a risedimentarsi nello stato iniziale, ma richiedono interventi di grande competenza e, non ultimo, di passione autentica, che solo gli archivisti professionisti possono eseguire.