Rigore
Rigore
La parola “rigore”, se cercata nel dizionario (Treccani), restituisce diversi significati, adattabili in varie circostanze:
- può indicare una rigidità materiale delle membra, del corpo (cd. “rigor mortis”);
- si declina per descrivere una situazione climatica (il cd. “rigore dell’inverno”);
- in senso figurato significa una “rigida severità con cui si esige l’osservanza di una legge, di una regola o di una norma, e che si esercita punendone le violazioni e trasgressioni”;
- in ambito sportivo individua l’area di una campo da calcio all’interno del quale le azioni fallose degli avversari sono punite con il “massimo della pena”, vale a dire con un calcio al pallone da un punto fisso e dritto in porta (il calcio di rigore, precisamente);
- preceduta dalla preposizione “di”, dà vita a una locuzione avverbiale (“di rigore”) che ha il significato di “obbligatorio” ;
- ha delle implicazioni metodologiche se riferita ad una rigida e stretta correlazione con le premesse (cd. “rigore logico” o “rigore scientifico”).
La non trascurabile versatilità di tale parola stride con le “strettoie” mentali che essa pare richiamare, soprattutto quando viene interscambiata con un altro vocabolo: rigidità. E’ così che il rigore finisce, nella confusione lessicale, per coincidere con un atteggiamento irremovibile o con una opinione ferma ed intangibile.
In realtà, le parole “rigore” e “rigidità” hanno in comune solo due cose:
- l’etimologia. Entrambe derivano dalla stessa radice, che è quella del latino rĭgēre, che significa essere o diventare duri per il freddo;
- la loro indistinta applicabilità per definire le condizioni climatiche invernali, perchè un inverno può essere rigido nello stesso modo in cui parliamo dei rigori dell’inverno.
Per il resto, hanno dei significati che paiono addirittura divergere.
Mentre il pensiero rigido si costruisce su preconcetti ed assiomi la cui contestabilità non è minimamente contemplabile, il pensiero rigoroso è fondato sulla ragione ed è empirico, perchè aperto all’esperienza.
Alla base dell’atteggiamento rigido, vi è una semplificazione che consiste nell’assolutizzare un punto di vista e nel negare ogni altra alternativa, dimostrandone l’inutilità e l’inefficacia di questa ultima. Tale approccio può contenere una componente ossessiva, orientata al successo, alla perfezione e al giudizio. Un approccio rigido difficilmente accoglierà la vulnerabilità, la tenerezza e la dolcezza per quello che realmente sono, in quanto le catalogherà come debolezze, incapacità e passività. La rigidità sembra rassicurarci, quando in realtà ci chiude nell’immobilismo e ci impedisce di tessere relazioni autentiche e rispettose della nostra vera natura.
L’atteggiamento rigoroso, al contrario, accoglie la complessità e si nutre di essa: pur tenendo sempre salda la componente razionale, ne accetta il fecondo sodalizio con i sentimenti e le emozioni ed è aperta a tutte le possibilità e implicazioni che da questa unione possono scaturire. Questo è l’approccio che offre il terreno fertile alla creatività, la celebra e la rende tangibile.
Il pensiero rigoroso, proprio perchè si lascia guidare dalla ragione e dalla logica, da un lato è refrattario alle gerarchie e dall’altro consente di “avere autorità su se stessi”[1], per fondare il proprio essere “autentici”.
Il rigore, dunque, a ben guardare rappresenta il nostro passaporto che ci consente di fare il viaggio più importante: quello verso la consapevolezza di chi siamo realmente, di cosa vogliamo, dei nostri “talenti”; il viaggio, insomma, verso noi stessi che, se non intrapreso, provoca in noi sofferenza e frustrazione. Riscoprire la propria autenticità rappresenta, dunque, il primo passo per affrontare questo lungo e, a volte, duro percorso, durante il quale serviranno coraggio, verità, coerenza, responsabilità, rispetto e perdono.
Accogliere un approccio rigoroso nelle relazioni umane e nella propria organizzazione di vita ci consente non solo di compiere il disegno che la nostra anima sente di “dover” realizzare[2], ma anche di irrobustirci e renderci saldi di fronte alle intemperie che il contesto “liquido” e “privo di punti cardinali” in cui viviamo ci offre puntualmente.
Essere rigorosi nei contesti lavorativi, nel modo di lavorare e nella nostra organizzazione aziendale ci offre maggiori possibilità di successo, aumenta la produttività e il senso di responsabilità di ogni scelta. Il malessere che si percepisce nei vari livelli organizzativi può essere ridimensionato attraverso un ritorno rigoroso all’autenticità, evitando di disperdere energie in riunioni, prassi, convenzioni inutili ma concentrando le forze verso obiettivi veri, privi di vuoti formalismi ma densi di quella sostanza necessaria alla reale crescita dell’azienda.
Il rigore, oggi più che mai, è la nostra ciambella di salvataggio che dobbiamo utilizzare per trarre in salvo la nostra piena realizzazione, come persone e come lavoratori.