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Autenticità: il più naturale collante relazionale

Il cielo di Bologna
Ph. Anna Romualdi / Il cielo di Bologna

Le abilità e le competenze personali sono, normalmente, le chiavi del successo; i tratti del carattere e lo stile personale sono, invece, gli «strumenti» base per poter affrontare al meglio l’attualità quotidiana. Ma cosa può farci sentire onesti o, quanto meno, adeguati e corretti nelle diverse situazioni della giornata?

Quante volte volendo impressionare gli altri o soddisfare il nostro desiderio di accettazione/inclusione/appartenenza, abbiamo osteso dichiarazioni o posto atti che non abbiamo sentito nostri e quindi del tutto incapaci a mostrare chi, in realtà, siamo? Se dovessimo analizzare le azioni compiute nell’ultima mezza giornata, quante di queste esprimerebbero la verità dei valori nei quali crediamo?

Dando uno sguardo al dizionario, troviamo qualche definizione di «autentico». Attingiamo all’etimologia: «autentico» dal latino tardo authenticus, dal greco αutentikos, significa «autore», «che opera da sé»; in senso lato vuol dire: «avere autorità su se stessi». Continuando nella lettura: «Che è vero, cioè non falso, non falsificato, e che si può provare come tale». Ancor più in profondità: «che rappresenta la vera natura o credenze di una persona; essere fedele a se stessi e nella consapevolezza della propria vocazione». Quest’ultima definizione calza perfettamente per qualsiasi identità personale.

Tuttavia, l’autenticità non è un privilegio che appartiene a pochi eletti dalla nascita, si tratta di una ricerca continua che tutti possono attivare nella vita e, di conseguenza, anche in ambito professionale.

Per quale ragione parliamo di ricerca?

L’autenticità, riferita alla persona, la quale non può essere ridotta alla somma dei suoi atti, concerne la conformità tra i valori che affermiamo con le parole (lo “specchio” che riteniamo sia la verità di noi stessi) e le azioni/atti che compiamo. Attenzione! Conformità non è sinonimo di staticità! Significa giungere alla stessa forma del valore affermato per essere veri. Per ottenerla occorre comprendere, verificare ed associare prospettive che si caratterizzano per la loro incidente novità e porle in correlazione con quelle a noi già note.

Come possiamo perfezionare il nostro “viaggio” verso il pleroma, la pienezza, dell’autenticità?

La nostra rappresentazione mentale di essere umano autentico è legata a riferimenti valoriali puntuali quali, ad esempio, la trasparenza nell’agire, la lealtà, l’essere tendenzialmente liberi da pregiudizi. Tutti ciò caratterizza una personalità compatta, resistente e riconoscibile.

Il filosofo tedesco Martin Heidegger, nella sua famosa opera Essere e tempo, sostiene che una persona è autentica se è in grado di seguire, a volte rincorrere, la sua singolarità, impedendo alle sirene della falsa sicurezza materiale o di una condotta esistenziale scialba, di prendere il sopravvento. Se nel suo Esserci (Dasein) l’uomo che nasconde se stesso dietro il “si dice” non mette in atto la sua responsabilità per crescere.

Il contesto nel quale si ricerca la propria autenticità è, oggi più che mai, liquido e, a volte, privo di punti cardinali. Si diventa autenticamente autentici, perdonate il gioco di parole, nella misura in cui si è capaci di coltivare una mente aperta, desiderosa di conoscere nuove potenzialità di pensiero. Occorre saper abitare le proprie emozioni e quelle altrui.

Essere consapevolmente presenti a se stessi, rimuovendo le noncuranze che impediscono un ascolto attento, attivo ed empatico, quale sostegno adeguato, per iniziare ad avere «autorità su se stessi» ovvero per fondare il proprio essere «autentici».