Stress
Stress
La parola stress è ampiamente utilizzata nel linguaggio comune, con significati che possono essere anche diversi da persona a persona; si può dire però che, in generale, viene pronunciata per comunicare una condizione di malessere o di tensione provocata da qualcuno o qualcosa.
Che stress!!!! sono stressato/a!!! non stressarmi!!! e così via sono esclamazioni frequenti, che si sentono quasi quotidianamente.
Di questo uso gergale del termine si deve ovviamente tenere conto. Ma iniziamo a descrivere quanto si legge nel vocabolario Treccani, in cui è distinto il significato di stress nel linguaggio medico ed in quello dell’uso corrente: derivato dal latino strictus (stretto) ed indicando in inglese sforzo, nel primo caso stress indica “la risposta funzionale con cui l’organismo reagisce a uno stimolo più o meno violento (stressor) di qualsiasi natura (microbica, tossica, traumatica, termica, emozionale, ecc.)”. Una simile reazione è presente “negli organismi degli animali superiori sotto forma di fenomeni neuro-ormonali fra cui predomina l’intensa attività secretoria della corteccia surrenale”.
Il termine stress era stato introdotto per la prima volta dal biologo Cannon nel 1935 per definire l’alterazione dell’equilibro (omeostasi) di un organismo di fronte di uno stimolo esterno. La definizione riportata, corrisponde alla Sindrome generale di adattamento, descritta da Hans Selye nel 1936, come risposta psicofisiologica aspecifica ad uno stressor (cioè i fattori che provocano un’alterazione dell’equilibrio), caratterizzata da uno stato di allarme, che è la prima risposta. Lo stato di allarme è un fenomeno complesso che coinvolge la dimensione biologica, psicologica e comportamentale. Allo shock iniziale, l’organismo reagisce quindi con un controshock, attivato dai meccanismi di difesa: lo stato di allerta e di ansia ne sono le manifestazioni evidenti.
Di fronte, ad es., ad una situazione minacciosa e pericolosa per la sopravvivenza vi può essere una risposta automatica, detta primitiva perché presente anche in qualsiasi animale, “di attacco o fuga” (Cannon).
Nell’uso corrente poi per stress si intende “tensione nevosa, logorio, affaticamento psicofisico, e anche il fatto, la situazione e simili che ne costituiscono la causa: …risente ancora dello s. di quella lunga e frenetica attività, non ha ancora superato lo s. dell’intervento chirurgico, ecc.” (Treccani). Oggi si potrebbe ricordare la pandemia come causa di stress.
Pertanto stress indica fondamentalmente il rapporto fra un organismo in stato di equilibrio o di quiete ed un fenomeno esterno che turba tale condizione, ed insieme il risultato di tale evento: tutte le frasi che prima ho citato rappresentano bene il rapporto dinamico che la parola stress comporta, ma anche e soprattutto la sua connotazione negativa.
Da un punto di vista scientifico il termine non ha di per sé un significato patologico o negativo: infatti significa lo sforzo compiuto dall’organismo per affrontare o allontanare una situazione minacciosa che permette alla persona di sviluppare delle capacità di adattamento alle situazioni esterne.
Ho parlato della prima risposta ad uno stressor, lo stato di allarme, durante il quale l’organismo risponde con aumento della produzione di adrenalina e noradrenalina, perché vi è stata un’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene: qualora la condizione si prolunghi si passa ad una seconda fase, definita resistenza. da Selye. L’esposizione prolungata nel tempo agli stressors produce infatti reazioni non specifiche, che portano ad un adattamento massimo per riequilibrare le funzioni.
Studi successivi hanno evidenziato come la persona possa mettere in atto, in questo caso, il coping, processo di base, che è costituito da varie componenti, come la valutazione cognitiva degli eventi, le risorse personali e sociali, la resilienza, le diverse strategie messe in atto per fronteggiare il forte disagio, quando stressors continui superano o mettono a dura prova le risorse di una persona.
Questo modo di interpretare l’interazione fra ambiente, eventi critici familiari o sociali in senso lato e la persona con le sue risorse, acquisite o costituzionali, è diventato anche una teoria causale della sofferenza mentale, talora anche nel caso di patologie molto gravi (Lazarus, 2006).
Indubbiamente va considerato l’effetto cumulativo nel tempo degli stressors, la loro intensità e qualità specifiche, nonché le risposte mentali e comportamentali del soggetto che, tanto più sono rigide e poco flessibili, portano più facilmente all’insorgenza di una psicopatologia.
La terza ed ultima fase, indicata da Selye, è l’esaurimento: l’organismo è costretto a prolungare una risposta elevata e la difesa è destinata a fallire, per cui lo squilibrio funzionale inizia a manifestarsi con le conseguenze negative dello stress, quali il perdurare dello stato di ansia, l’aumento della sua intensità, insonnia e disturbi somatici vari che possono portare l’individuo ad una malattia vera e propria. L’organismo non è più in grado di far fronte allo stress, perché non esistono fasi di recupero, che consentono di ripristinare il funzionamento somatico regolare (sistema ormonale, immunitario, le funzioni cognitive e mentali affaticate, ecc.).
Il concetto di “esaurimento nervoso”, tanto utilizzato ed abusato nei decenni passati, faceva riferimento proprio a questo modo di intendere il funzionamento mentale e le sue alterazioni.
“Portarsi a casa il lavoro”, si diceva una volta, ora con la pandemia è cambiato molto: intesa in modo reale o figurato, di certo può esprimere uno stato di stress da lavoro correlato, che costituisce una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale. Può accadere, infatti, che alcuni individui non si sentano in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro sul lavoro.
Entriamo qui in un tema complesso che va discusso e affrontato in modo appropriato.