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Pregiudizio

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Pregiudizio

Il pregiudizio: pur essendo un’ideazione che fa parte del funzionamento mentale di un individuo, non rimane mai nella sfera cognitiva della persona. Infatti, è di rilievo comune come esso si estenda e partecipi alle vicende quotidiane della vita di gruppi ristretti o dell’intera comunità.

Il pregiudizio, dunque, spinge a mettere in atto comportamenti di distanziamento, o addirittura di esclusione, nei confronti di alcuni soggetti (l’immagine forte degli appestati ne è espressione): queste condotte sono presenti in ogni epoca storica ed in ogni contesto culturale, assumendo spesso il processo di stigmatizzazione, che ne consegue, una funzione educativa-addestrativa collettiva.

Lo stigma, che è il modo di rendere concreto e visibile il pregiudizio, è un marchio di discredito o di vergogna, rimandando all’antica pratica di marchiare a fuoco o di incidere con il coltello gli schiavi, i criminali o i traditori affinché fossero riconosciuti immediatamente.

La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, romanzo scritto intorno alla metà dell’Ottocento, è una mirabile rappresentazione collettiva della stigmatizzazione sociale dell’adulterio in una comunità di dell’America puritana.

Non dimentichiamo poi la Storia della colonna infame del Manzoni, saggio esemplare degli eterni meccanismi innescati dal pregiudizio e favoriti o assecondati, tra delazioni e false accuse, dall’arbitrio del potere.

Il pregiudizio, evento mentale che precede le sue manifestazioni nella realtà quotidiana, nel dizionario Treccani leggiamo che ha il suo fondamento nel diritto romano, dove era considerato come un’azione giuridica precedente al giudizio, tale da influire sulle decisioni del giudice. La definizione è la seguente: “Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione e da indurre quindi in errore”.

«It is a truth universally acknowledged, that a single man in possession of a good fortune, must be in want of a wife»: cito qui è il famoso incipit di Orgoglio e Pregiudizio, perché il romanzo di Jane Austen si sviluppa a partire proprio da questa convinzione che diventa un dato di fatto universale, senza bisogno di alcuna dimostrazione. “Ė verità universalmente ammessa che uno scapolo con un buon patrimonio debba essere in cerca di una moglie” (trad.), premessa categorica di una storia semplice e lineare che riguarda un giovane ricco e di buona famiglia, che affitta una tenuta, creando scompiglio fra le fanciulle del paese, che vedono in lui un ottimo partito.

La trama procede attraverso varie vicende, che sono tutte strettamente connesse al titolo: l’incipit è proprio un pregiudizio perché si basa su pochissimi comportamenti di un soggetto, che pur essendo quasi completamente sconosciuto, è investito dalla comunità di un progetto di vita definito.

Il pregiudizio è espressione di turbamento e ignoranza: nasce per una scarsa conoscenza di un fatto, di una persona che compare nella vita di un singolo o di una comunità, che però altera l’omeostasi precedente e può avviare comportamenti più o meno drammatici, singoli o collettivi, questi ultimi talora tragici. La necessità di portare nell’ambito di un già conosciuto l’estraneità, per mantenere uno stato di equilibrio emotivo, diventa l’esigenza primaria.

In alcune ricerche svolte con miei collaboratori (pubblicate nei n. 41/42 della rivista Nόoς del 2005), sui pregiudizi nei confronti dei disturbi psichici nella popolazione, abbiamo rilevato, sinteticamente, che i giovani (anche universitari) hanno più pregiudizi rispetto alle persone di età media ed anziana, così come tutti quelli che nella loro vita avevano conosciuto o frequentato persone con difficoltà psichiche avevano una maggiore tolleranza, quindi minori pregiudizi, per rapporto a coloro che non avevano mai avuto occasione di conoscerne.

Dati simili erano presenti anche in altre ricerche internazionali, confermando che l’assenza di esperienza e di conoscenza, come inevitabilmente accade in soggetti in fase di formazione come i giovani, che hanno bisogno di passioni e di idee forti e senza sfumature, può ridurre la possibilità aprirsi all’altro ed al dubbio della ricerca. Solo il tempo e l’esperienza, se non si incappa in esperienze fanatiche, possono ridurre quello stato di onniscienza di cui siamo stati un po’ tutti affetti nella nostra giovinezza.

Solo la consapevolezza della nostra ignoranza ci consente di conoscere ed i pregiudizi, che fanno parte anche di un funzionamento mentale fisiologico, portando con una scorciatoia ad evitare i patemi del dubbio e dell’incertezza, della ricerca e delle disillusioni, dell’ansia per lo sconosciuto e per il cambiamento, devono essere sottoposti ad una riflessione critica.

Quante volte si dice che ci fidiamo della nostra prima impressione di una persona e non la cambiamo?

Ma quante volte quella prima sensazione all’inizio di una relazione è stata sbagliata?

Certamente l’incontro ed il primo sono fatti di atteggiamenti, toni di voce, gestualità, parole e silenzi che ci trasmettono varie sensazioni che si organizzano in fretta in un’immagine/giudizio (o pregiudizio) sull’altra persona, con cui magari si inizierà a lavorare.

Cosa rimane di questo nel tempo? Quanto era un pregiudizio la “sensazione di pelle” e quanto abbiamo fatto, con i propri comportamenti, per confermare tale impressione?

Spesso è difficile percepire come noi stessi ci siamo posti e in qualche modo abbiamo poi condizionato la risposta e le condotte dell’altro. Certamente senza affliggersi con i sensi di colpa, una riflessione ed un confronto su questi aspetti è opportuno per poter collaborare, superando i pregiudizi.