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Effetto alone

O della generalizzazione eccessiva
effetto alone
effetto alone

In alcuni contributi su Filodiritto, Barbara Neri ha descritto in modo accurato alcuni effetti, come quello di Dunning Kruger e  Hawthorne, che ci danno interessanti indicazioni sul mondo lavorativo e sulle relazioni personali.

Vi descriverò un altro effetto che può portare ad errori di valutazione cognitiva di quanto osserviamo o per meglio dire ad una percezione non corretta e completa della realtà: esso porta per lo meno a malintesi o interpretazioni ideologiche, basate su nostri inconsapevoli pregiudizi culturali. Sappiamo peraltro che i pregiudizi sono fortemente condizionati dall’ambiente in cui facciamo le nostre interpretazioni e, di conseguenza soprattutto, agiamo e prendiamo iniziative.

È l’effetto alone (Halo Effect): fenomeno psicologico molto diffuso, descritto da Edward L. Thorndike, mediante ricerche empiriche, che consiste nel generalizzare da un singolo attributo o caratteristica la valutazione complessiva sulla persona o sulla cosa che stiamo osservando. Ad esempio, è stato dimostrato che l’attrattività di una persona (per l’aspetto estetico o per la simpatia) influenza molto la nostra percezione e la nostra interpretazione degli altri tratti di personalità, proprio per le aspettative che essa suscita in ciascuno di noi.

Influenzati pertanto da tale effetto, si dà per scontato che, se il primo giudizio, ad esempio, su di una persona è positivo, anche le altre qualità (quali intelligenza, capacità operative, competenze, ecc.) siano presenti, senza che sia necessaria alcuna verifica. Capovolti di 180°, quindi negativi, diventano invece i giudizi qualora la persona o l’oggetto non abbia il dono dell’attrattività.

Questo effetto è particolarmente importante nel contesto sociale, dove frequentemente prevalgono i pregiudizi; quindi, opinioni preconcette capaci di far assumere atteggiamenti ingiusti e ingiustificati: quindi una persona, soprattutto se poco conosciuta o con la quale non si ha dimestichezza, è valutata per la “fama” che ha o che le è stata costruita.

Dell’importanza di questo effetto ne ho avuto sia esperienza di persona sia indirettamente con la lettura dei risultati di alcune ricerche specifiche: nei reparti di medicina e chirurgia sono tendenzialmente sottovalutati i disturbi psicopatologici, mentre all’opposto nei reparti di psichiatria sono sottovalutati i sintomi somatici, in prima battuta interpretati di origine mentale. Il contesto e l’ambiente in cui una persona si trova, porta perciò il personale sanitario ad aspettarsi determinate condizioni cliniche, così come la specializzazione professionale può influenzare il processo diagnostico[1].

Questo effetto alone (ovvero a generalizzare una caratteristica clinica di un paziente a tutta la valutazione sanitaria della persona) non è sempre considerato nella sua importanza, per la sua possibilità di distorcere la vera valutazione complessiva: proprio per queste conseguenze dovrebbe essere sempre presente la sua esistenza, nella mente di chi valuta per motivi anche diversi fra loro.

Tale effetto si manifesta pure nella vita quotidiana, quando veniamo ad esempio a conoscenza della professione di una persona, informazione che può condizionare il nostro giudizio su di lei, ma anche nei colloqui di lavoro, quando l’esaminatore nota una caratteristica positiva e tende a trascurare gli aspetti negativi, che potrebbe notare, o viceversa.

Uno studente universitario, che si presenta all’esame con voti brillanti nei precedenti esami, parte già con un pregiudizio positivo del docente, mentre di solito deve superare maggiori ostacoli se si trova votazioni opposte.

La tendenza a generalizzare da un singolo attributo il nostro parere è ampiamente sfruttata in economia: quando ci accingiamo a selezionare un oggetto da comperare quanto siamo influenzati nella nostra scelta dal nome del marchio? Quanto il brand, che è un attributo dell’oggetto, influenza il nostro giudizio complessivo sulla cosa specifica e determina poi la scelta ed il passaggio all’acquisto?

Nel marketing il successo di un prodotto sicuramente trascina anche la vendita di altri oggetti con lo stesso brand, ma di qualità anche inferiore.

Si può pertanto affermare che le nostre scelte (di studio, di lavoro, di trattamento terapeutico, di tempo libero e così via) sono di primo acchito determinate non da dati oggettivi e da una valutazione basata su elementi concreti, ma da una dimensione soggettiva fortemente condizionata da alcuni attributi dell’oggetto/persona: la nostra capacità di critica e di giudizio ci può far superare l’effetto alone, ampliando la nostra valutazione, altre volte possiamo rimanere irretiti dalla prima impressione.

 

[1] C. Callegari, S. Vender, N. Poloni, Fondamenti di Psichiatria, Edizioni Libreria Cortina, Milano, 2013