x

x

Effetto Dunning Kruger

Chi di voi ricorda l’inchiostro simpatico o invisibile col quale, negli anni ‘80/’90, scrivevamo le nostre lettere segrete?!
Effetto Dunning Kruger
Effetto Dunning Kruger

Effetto Dunning Kruger


Chi di voi ricorda l’inchiostro simpatico o invisibile col quale, negli anni ‘80/’90, scrivevamo le nostre lettere segrete?!

Nel 1995, McArthur Wheeler, un uomo di circa quarant’anni risiedente a Pittsburgh, decise di rapinare due banche a volto scoperto, ben conscio che sarebbe stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza. Telecamere che naturalmente permisero alla polizia di riconoscerne il volto e di arrestare l’incauto rapinatore nel giro di poche ore. Al momento della sua cattura, McArthur Wheeler, era incredulo dell’accaduto perché lui “stava indossando il succo!”. Qualche tempo prima, infatti, un amico di Wheeler gli aveva mostrato che, scrivendo con il succo di limone su un foglio di carta, la scritta rimaneva invisibile fino a quando non la si avvicinava a una fonte di calore (… e chi fra voi è boomer almeno quanto me, sa di cosa sto parlando …!)

Insomma, l’illuminazione di Wheeler fu: se mi cospargo di succo di limone allora sarò invisibile alle telecamere di sorveglianza e potrò rapinare le banche senza essere individuato e scoperto!

Ironia della sorte, prima di recarsi in banca, il nostro malcapitato rapinatore, aveva anche provato a scattarsi una foto con una polaroid, ma aveva sbagliato mira fotografando il soffitto. Da qui la conferma alla propria convinzione “grazie al succo di limone, sono diventato completamente invisibile!”. Va detto che al momento della rapina, Wheeler era sobrio e gli accertamenti dimostrarono che non era sotto l’effetto di stupefacenti. Wheeler era lucido e sobrio e alla cattura, stupito di essere stato smascherato!

Il motto derivato da questo, tanto incredibile quanto assurdo, esperimento del povero McArthur Wheeler è che “l'ignoranza può generare molta più fiducia in sé stessi di quanto ne generi il sapere”.

La notizia, al tempo, fece naturalmente scalpore ed incuriosì particolarmente un docente di psicologia della Cornell University, il Prof. David Dunning, il quale coinvolse il suo allievo Justin Kruger in alcuni esperimenti sul caso. Dunning e Kruger, al tempo, compirono quindi alcuni studi coinvolgendo un gruppo di studenti che vennero sottoposti a una serie di test su tre diversi campi: ragionamento logico, grammatica e umorismo. Prima di eseguire il test, gli studenti dovevano esprimere il loro grado di competenza in ognuno dei tre campi. I risultati dell’esperimento furono pubblicati qualche anno dopo, nello studio intitolato “Incompetenti ed inconsapevoli di esserlo: come la difficoltà nel riconoscere la propria incompetenza porta ad autovalutazioni non veritiere”.

Dallo studio emerse, infatti, che i soggetti meno competenti si auto-valutavano molto al di sopra delle proprie capacità. Per contro, i soggetti molto competenti si valutavano leggermente al di sotto. Quindi, i peggiori, gli incompetenti in un dato ambito, avevano un’errata visione delle proprie capacità, sovrastimando le proprie conoscenze nel momento in cui si trovano ad affrontare un dato problema. Al contempo, nella presunzione di conoscenza, erano portati a sottostimare le competenze delle persone realmente preparate.

Effetto Dunning-Kruger
Da Wikipedia – Grafico sull’effetto Dunning-Kruger, che mette in relazione la conoscenza percepita e l’esperienza effettiva

Poco tempo fa ho parlato di “identità professionale” e della malsana abitudine, di schiacciare e ricomprendere in definizioni fin troppo ampie e generiche, la professionalità e il background di competenze che ciascuno di noi esprime. In queste settimane – la cronaca di questi tempi è, ahimè, piena di esperti in ogni campo! riflettevo su quanto, chi più chi meno, ogni giorno, si trovi di fronte a persone che sanno meno e pensando di saperne di più. 

Il problema, in questo caso, non è solo di “identità professionale”, un problema quindi, quasi intimo, che ha a che vedere con il nostro “Io” più profondo. Il tema, come ben ci insegnano Dunning e Kruger è che quando le persone non competenti in un dato ambito, improvvisano soluzioni o si cimentano nel definire le strategie in quel dato campo, non solo rischiano di pervenire a conclusioni errate e di fare, conseguentemente, scelte sbagliate, ma – e qui viene il bello – la loro stessa incompetenza – o presunzione di competenza – impedisce loro di rendersene conto.

Naturalmente, questo stato di cose è più facile rinvenirlo in alcuni ambiti piuttosto che in altri (ma a pensarci bene, non è nemmeno detto …!).

Per fare qualche esempio, quando mi occupavo “più assiduamente” di formazione, più di una volta mi è capitato di sentirmi dire: ho urgenza di mettere in piedi questo percorso. Di fronte alla condivisione dei tempi necessari “per mettere in piedi quel dato percorso”, spesso per tutta risposta avevo: “ma che ci vuole, tutto questo tempo! Basta chiamare un docente e prenotare un’aula.”

Di norma, ho sempre glissato su queste affermazioni, tenendo a freno la voglia di raccontare tutto il percorso di studi necessario per essere almeno sufficientemente consapevoli di ciò che si stava dicendo.

Ad ogni modo, al di là degli aneddoti personali, negli anni mi sono accorta di quanto, la presunzione di conoscenza, possa incidere maldestramente, non solo nei nostri percorsi professionali (l’ambito nel quale presumo di essere preparato, che mi piace più di altri, o che meno mi annoia, lo valuto meno complesso dell’ambito che non reputo di conoscere a fondo), ma anche nell’attività quotidiana del lavoro, ad esempio, nel definire le urgenze, noi per i nostri colleghi, e nel sottovalutare quindi lo sforzo che chiediamo loro di compiere, sottostimando tempi , risorse necessarie e generando in questo modo molte delle inefficienze nelle quali incappiamo ogni giorno. Allo stesso modo e per portare un altro esempio, incide anche sulle nostre capacità e attitudini alla delega. Spesso i nostri stessi collaboratori sono molto più consapevoli di noi delle ricadute che le nostre richieste possono avere sull’efficienza e efficienza dei servizi e forse varrebbe la pena, per individuare la giusta direzione, fare lo sforzo di affidarsi alle loro stesse conoscenze tecniche (disciplinari?!) e alla loro esperienza sul campo.

Ed ecco che ritorna il bisogno che ho richiamato più volte, il bisogno di fermarsi a riflettere, su chi abbiamo di fronte, sulle competenze che questi esprime, sui nostri limiti, sulle loro risorse e sulle competenze che altri per noi, stanno mettendo in capo, o potrebbero mettere in campo.

La raccomandazione che mi sento di fare, oggi più che mai, è – come consigliano Dunning e Kruger – di fermarsi una volta di più a riflettere sull’esistenza di questo pregiudizio cognitivo, di aprirsi al dubbio, evitando così di incappare in mal riposte semplificazioni, di imporre la propria visione sulle cose e di ricercare, per contro, il parere altrui; di chi, sul quel determinato contenuto ha più esperienza e ne sa probabilmente più di noi.

Competenza, consapevolezza, rispetto, penso siano le parole chiave che, ogni giorno, dovrebbero guidarci nel porci in relazione, con i nostri colleghi e a tutti i livelli, nei luoghi di lavoro. Se applicassimo questi facili concetti forse noi stessi ne usciremmo più alleggeriti, i nostri colleghi più gratificati e i servizi che eroghiamo, meglio ideati e sostenibili nel tempo.