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Il nuovo criterio della residenza fiscale

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Il nuovo criterio della residenza fiscale

Abstract

Si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti: viene eliminata la presunzione assoluta di residenza fiscale quale conseguenza dell’iscrizione di una persona fisica alle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta.

Necessaria revisione del criterio della residenza fiscale

La riforma tributaria ha previsto la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all'imposizione per rendere coerente il criterio della residenza fiscale con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall'Italia per evitare le doppie imposizioni, nonché coordinarla con la disciplina della stabile organizzazione e dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia.

L’intervento si è reso necessario per risolvere i fenomeni di doppia imposizione che possono derivare nel caso di trasferimento della residenza fiscale in corso d’anno.

Per meglio capire e con l’ausilio di un esempio, si ipotizzi che un contribuente italiano trasferisca la propria residenza a ottobre dall’Italia ad un altro Stato e, in tal caso di avrà che sarà considerato:

  1. residente in Italia per l’intero periodo di imposta;
  2. residente nello Stato di destinazione per il periodo ottobre-dicembre;

generando una doppia imposizione.

In alcune convenzioni pattizie (ad esempio Italia-Germania) è previsto esplicitamente che in presenza di una doppia residenza viene adottato il frazionamento dell'anno d'imposta (split year), in caso di trasferimento da uno Stato all'altro nel corso dell'anno. Tali convenzioni prevedono che, in caso di trasferimento di domicilio in corso d’anno, il soggetto sia considerato residente in Italia soltanto per la frazione d’anno in cui il domicilio era effettivamente localizzato in Italia (cd. “Split year”).

Quella dello split year poteva essere una delle strade da percorrere dal legislatore della riforma tributaria ma così non è stato: in tema di persone fisiche, ai fini delle imposte sui redditi, la riforma considera residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti.

La residenza fiscale nel sistema vigente

L’articolo 2, comma 2 del TUIR considera residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile: la sussistenza di uno dei 3 citati presupposti (tra loro alternativi e non concorrenti e da considerarsi delle vere e proprie presunzioni assolute) unitamente all’ulteriore requisito temporale (“per la maggior parte del periodo dell’imposta” da leggersi per almeno 183 giorni in un anno) configurano le sole condizioni che identificano in modo puntuale il soggetto che è fiscalmente residente in Italia. Con tale ultimo requisito temporale il legislatore ha inteso, in effetti, richiedere la sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato, tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione (Circ. AdE n. 304/1997).

Da questo quadro si evince che l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, in quanto presunzione assoluta, “condanna” una persona fisica ad essere fiscalmente residente in Italia a nulla rilevando la permanenza costante all’estero: può essere rappresentativo di questa situazione il connazionale che è migrato all’estero per ragioni di lavoro e non ha attivato la procedura di cancellazione della residenza dall’anagrafe italiana e per il quale trova applicazione il principio della tassazione mondiale, non rilevando  la circostanza che il reddito, o i redditi, prodotti all’estero abbiano subìto o meno tassazione.

Tale regola può determinare fenomeni di doppia imposizione nel caso di trasferimenti di residenza in corso d’anno ove lo Stato estero di destinazione attribuisca ai fini della residenza rilevanza all’effettivo periodo trascorso nel proprio territorio. Analogamente potrà verificarsi che nell’ipotesi di trasferimento in Italia nella prima parte dell’anno del contribuente estero, il soggetto potrebbe essere considerato residente in entrambi gli Stati con riferimento al periodo intercorrente tra il primo gennaio e la data di trasferimento.

Queste fattispecie non sono sempre risolte nemmeno dalle tie breaker rules previste dalla maggior parte delle Convenzioni contro le doppie imposizioni: può infatti capitare che in caso di trasferimento in corso d’anno, i criteri indicati dalla Convenzione per risolvere il conflitto di residenza (abitazione permanente, soggiorno abituale, etc.) siano riscontrabili in entrambi gli Stati coinvolti anche solo per parte di anno.

La nuova residenza fiscale delle persone fisiche

Tra le misure approvate dal legislatore delegato, allo scopo di ridisegnare un nuovo sistema di fiscalità internazionale, vi è la questione sulla residenza fiscale delle persone fisiche.

In tema di persone fisiche, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti.

Viene eliminata la presunzione assoluta (in realtà frutto di un’interpretazione giurisprudenziale) di residenza fiscale quale conseguenza dell’iscrizione di una persona fisica alle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta. Infatti, il legislatore delegato trasforma tale presunzione assoluta in relativa consentendo, quindi, al contribuente di poter fornire la prova contraria in merito al suo effettivo domicilio, indipendentemente dalla sua residenza anagrafica.

In tema di domicilio viene introdotta una importante precisazione prevedendo espressamente la prevalenza delle relazioni personali e familiari della persona e, sostanzialmente, spostando in secondo ordine gli affari e interessi di natura lavorativa ed economica. Anche in questo caso la nuova previsione sembra andare contro un indirizzo giurisprudenziale di recente evoluzione che sembrava valorizzare maggiormente gli interessi lavorativi, in contrapposizione con la precedente interpretazione che, invece, valorizzava maggiormente gli interessi familiari (in linea, quindi, con la novella disposizione normativa).

Per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.

Il domicilio nel modello OCSE e secondo la giurisprudenza di legittimità

L’articolo 4 del Commentario OCSE, nel valutare tutti gli elementi sulla base dei quali localizzare in un determinato Stato il centro degli affari e interessi vitali stabilisce che vanno esaminati i fatti per accertare con quale dei due Stati i rapporti personali ed economici sono più stretti tenendo conto della sua famiglia e delle relazioni sociali, delle sue occupazioni, delle sue attività politiche, culturali o di altro tipo, del suo posto di affari, del luogo da cui il contribuente amministra i propri beni: una valutazione d’insieme in cui le considerazioni fondate sugli atti personali dell'individuo devono ricevere un'attenzione speciale. Facendo un esempio, il mantenere una abitazione nell'ambiente in cui il contribuente ha sempre vissuto, dove ha lavorato e dove ha la sua famiglia e i suoi beni, può, insieme ad altri elementi, andare a dimostrare che il suo centro di interessi vitali è in quello Stato.

Sul tema, inoltre, appare interessante riportare il diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità: nell’Ordinanza 25 maggio 2022 n. 16954 la Corte di Cassazione sostiene che nell’individuare la residenza fiscale delle persone fisiche secondo il criterio del domicilio e, quindi, degli affari e degli interessi vitali, le relazioni affettive e familiari non rivestono un ruolo preponderante rispetto agli altri elementi inferenziali. In effetti, il domicilio, nella sua intrinseca natura, è un criterio spiccatamente sostanziale che esige articolate valutazioni olistiche in merito ad aspetti patrimoniali, economici, familiari, sociali e affettivi tipizzanti l’esistenza della persona e che si contrappone, assumendo un ruolo preponderante, al dato formale dell’iscrizione nell’anagrafe dei residenti. Secondo la Suprema Corte, non rivestono un “ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”. In altri termini, valorizzando anche la non decisività della censura, la Corte sottolinea come nell’individuare il centro degli affari e interessi vitali il luogo in cui sono localizzati gli affetti e la famiglia non possa attrarre automaticamente la residenza del contribuente. In questo senso la proiezione affettiva della dimensione personale del contribuente non può e non deve assurgere ex sé a criterio di localizzazione della residenza fiscale dovendo, al contrario, essere assunto unitamente a tutti gli altri criteri tra i quali, ovviamente, anche quelli di carattere economico/patrimoniale.