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Feedback

Red and blue rayonismo (beach), M. F. Larinov, 1911
Red and blue rayonismo (beach), M. F. Larinov, 1911

Per parlare del feedback vorrei condividere innanzitutto con voi l’etimologia e una fra le più comuni definizioni di questo termine, probabilmente a tutti noto e da tutti, chi più chi meno, utilizzato.

L’etimologia, forse, è abbastanza scontata perché è un termine inglese, composto da vocaboli abbastanza conosciuti (to) feed “alimentare, nutrire” e back “indietro”.

Mentre, la definizione che ho tratto della Treccani recita così: “Nel linguaggio tecnico e scientifico, termine equivalente all’italiano retroazione, che designa il processo per cui l’effetto risultante dall’azione di un sistema (meccanismo, circuito, organismo, ecc.) si riflette sul sistema stesso per variarne o correggerne opportunamente il funzionamento: f. positivo o negativo, secondo che si abbia, come risultato finale, l’intensificazione oppure l’attenuazione dell’effetto. […] Il termine si è diffuso anche in altre discipline (neurologia, linguistica, psicologia, ecc.) per designare fenomeni di retroazione.”

A farla breve, il feedback è un riscontro che deve portare “nutrimento” e il suo scopo è quello di fornire informazioni che ci permettano di prendere consapevolezza di un qualcosa che possiamo così ridefinire in modo nuovo.

Dunque, nel linguaggio tecnico e scientifico – nel mondo della meccanica o dell’elettronica che richiama la definizione della Treccani – il feedback si ottiene attraverso un percorso a due vie, in fine dei conti, piuttosto semplice da governare perché è la meccanica e l’elettronica, nei suoi funzionamenti che, in qualche modo, “parla per noi”. Meno semplice è la gestione del feedback all’interno delle relazioni umane.

Quante volte ci siamo trovati di fronte ad una situazione che non ci convinceva fino in fondo, che avremmo voluto tanto esplicitare, ma qualcosa ci ha bloccati, ci ha inibiti, tanto che quel feedback, quel riscontro, è stato soffocato lì, in fondo ai nostri pensieri, e lì è rimasto. A volte può esserci anche capitato che questo stesso feedback, quando avrebbe dovuto essere, magari, negativo o critico, con un incredibile giro di parole, degno dei più abili oratori, si è trasformato, invece, in un rinforzo, addirittura positivo. Ma non doveva essere una critica?! E perché questo avviene?

I motivi possono essere i più disparati: se vogliamo, ciò avviene per una sorta di “pigrizia”, o anche perché riteniamo che non ne valga la pena fino in fondo di “perdere tempo”, oppure, perché ci preoccupiamo di non offendere il nostro interlocutore, o ancora, perché temiamo che la nostra critica possa compromettere la relazione. Più spesso, la ragione per la quale un feedback viene taciuto, può dipendere dal fatto che non sappiamo cosa e come dirlo. Non sappiamo come restituire la nostra opinione, un nostro pensiero, in modo efficace, senza urtare la sensibilità di chi ci sta di fronte. Ma attenzione, lo stesso avviene quando vorremmo gratificare qualcuno, ma non ci riusciamo. I meccanismi alla base del processo sono sempre gli stessi.

Di recente mi è capitato di gestire un colloquio di restituzione e di chiedere alla mia dirigente di partecipare a questo stesso incontro. Da un lato, ho pensato potesse rappresentare un ulteriore segnale di attenzione per la persona alla quale mi sarei dovuta rivolgere, dall’altro lato perché, io stessa, avevo bisogno di un feedback esterno, sul modo in cui avrei gestito il colloquio. In quella occasione l’incontro si concluse con l’osservazione della mia dirigente, la quale evidenziava come, quello stesso momento di restituzione, così come qualsiasi momento di restituzione, fosse in realtà difficile, difficile per chi il feedback lo stava dando e difficile per chi lo stava ricevendo.

In effetti è così, serve tanto rispetto per questo momento, da ambo le parti, e la difficoltà sta tutta nel processo comunicativo che riusciamo ad attivare, non senza sforzo, appunto, da entrambe le parti, e questo perché tutto dipenderà dalla giusta codifica e decodifica del messaggio che stiamo restituendo e che verrà recepito.

In questa sede vorrei quindi limitarmi ad analizzare questo processo all’interno di un colloquio di valutazione.

In un colloquio di valutazione il nostro obiettivo è quello di, favorire ed alimentare, un percorso di crescita e di sviluppo di un nostro collaboratore.

Per fare questo, per aiutare un nostro collaboratore (ma anche un nostro collega) a crescere insieme a noi, è importante riuscire a rendere oggettivi i termini del confronto, basandoci su episodi, su comportamenti, facilmente evocabili e decodificabili nella mente di chi ci sta di fronte. Nell’esporli sarà importante soppesare accuratamente i termini che utilizzeremo, ciò per essere certi di non urtare la sensibilità personale. Insomma, un colloquio di valutazione va preparato con cura e gli elementi che lo caratterizzeranno, gli elementi sui quali sceglieremo di basarci, è buona cosa riesaminarli anche una seconda volta, a mente fredda.

Abbiamo detto, infatti, che il nostro obiettivo è quello di sostenere, aiutare, far crescere. Non serve a noi, e tanto meno a chi ci sta di fronte, sentirsi feriti o offesi dalle nostre parole.

Non dobbiamo dimenticarci che una relazione comunicativa è fortemente condizionata dalla sfera emotiva e che, di fronte a noi, abbiamo persone diverse, con personalità diverse e che, ognuna di queste, metterà, all’interno di quella stessa relazione comunicativa, il proprio sistema di riferimento, a sua volta connesso al proprio modo di rapportarsi e di vedere il mondo.

Complicato, vero?!

Ogni esperienza di feedback, se vogliamo, sarà un’utile palestra per migliorarci ogni giorno nella sua gestione.

Nel mio percorso, un po' di tempo fa, sono incappata nelle teorie della c.d. “Comunicazione Nonviolenta” che mi sono state di un certo aiuto nella gestione delle relazioni di feedback.

La CNV – c’è un bellissimo libro che vi consiglio di leggere: “Le parole sono finestre [oppure muri]” di Marshall B. Rosenbergè una modalità di linguaggio assertivo che ci permette di prevenire i conflitti e costruire relazioni di qualità. Il processo comunicativo nella CNV si basa sull’empatia, vale a dire, sulla capacità di esprimere la nostra piena presenza nei confronti di un’altra persona, affinché questi percepisca di essere compresa nel profondo.

Alla base della CNV c’è l'osservazione senza giudizio, che implica, appunto, il riuscire a separare, il dato oggettivo, dalle considerazioni personali, anche dettate dalla nostra emotività.

All’interno di un colloquio di valutazione la Comunicazione Nonviolente, ci insegna a rappresentare i fatti evitando di giudicare e questo per previene l’attivazione di reazioni difensive da parte del nostro interlocutore e aprire, per contro, lo spazio necessario ad un confronto che sia win win.

La prima capacità da esercitare all’interno di questo processo è quindi l’ascolto attivo che implica il porsi con la necessaria attenzione e predisposizione verso l’altro, questo comporta il saper trovare le parole giuste per manifestare la nostra vicinanza e comprensione verso chi ci sta di fronte. Attenzione, perché il ruolo dell’empatia nella comunicazione riguarda entrambi gli attori ed entrambe le componenti che le danno forma, vale a dire, il parlare e l’ascoltare. Tu non sei qui per dare il peggio di te, io non sono qui per mortificarti. Quando sentiamo di essere, reciprocamente, ascoltati e compresi, allora il bisogno di empatia viene soddisfatto e riusciamo così a controllare le nostre emozioni, nelle loro innumerevoli manifestazioni di cui ci parla Barbara Martini nei suoi interessanti contributi.

La seconda capacità che è importante esercitare secondo la comunicazione nonviolenta è un invito all’obiettività depurata dal giudizio. Per fare questo, la valutazione dovrà basarsi su osservazioni specifiche, in relazione al tempo e al contesto dei fatti che stiamo analizzando. Ancora, è raccomandato esprimersi al positivo, invece che al negativo, dichiarando così ciò che ci si aspetta, invece che soffermarci su ciò che non vogliamo; questi piccoli accorgimenti creano vicinanza. Il nostro obiettivo, è bene ricordarlo, è quello di definire una relazione costruttiva, onesta e basata sulla reciproca fiducia.

Il feedback, lo abbiamo detto, è la risposta di ritorno a determinati comportamenti, processi o risultati. Se chi abbiamo di fronte si porrà sulla difensiva, significa che qualcosa non è andato per il verso giusto. Potremmo aver ferito la sua autostima, toccando aspetti che attengono alla sua sfera personale. Quando ci accorgiamo che qualcosa non sta andando per il verso giusto è importante trovare la via per correggere eventuali e possibili fraintendimenti. Per fare questo può essere di aiuto chiedere al nostro interlocutore di riformulare con parole sue il messaggio che ha recepito. In questo modo, abbiamo la possibilità di riformulare il nostro stesso messaggio, in modo da risolvere le eventuali discrepanze ed omissioni che potremmo aver notato nella sua spiegazione.

Infine, non dimentichiamoci che in un processo valutativo è importante ricordarsi di sottolineare anche i successi, le cose ben fatte, i traguardi raggiunti e il modo nel quale sono stati raggiunti. Proprio oggi su “orizzonte scuola” leggevo di un docente, sospeso dal lavoro e senza stipendio, perché dava tutti 10 ai suoi studenti. Di fatto è stato condannato per “eccesso di generosità”.

Il prof. Yvan Pozuelo - professore di francese all’istituto pubblico Universidad Laboral di Gijón, nelle Asturie in Spagna – così spiega il motivo del 10: “È una scelta che nasce dalla mia esperienza di insegnamento. Ho capito che era il sistema migliore per accompagnare la crescita dei ragazzi. E a convincermi definitivamente è stato un episodio, avvenuto già diversi anni fa. Decisi di mettere un 10 a una studentessa che in genere non otteneva voti alti. Volevo premiare il suo sforzo, che mi sembrava degno di nota. Lei si emozionò tantissimo. Allora anche gli altri ragazzi mi chiesero di fare lo stesso: volevano che verificassi se avevano fatto progressi per poter essere premiati con un 10. E chi non aveva successo al primo tentativo chiedeva di riprovare, fino a raggiungere il traguardo. Per me fu la svolta”.

Ora, non so se questa sia la via migliore, o la più giusta, però so per certo che il rinforzo positivo accresce la motivazione e l’autostima, dei nostri collaboratori e colleghi, degli studenti, e di chiunque entri in relazione con noi.

Per questa ragione è importante ricordarsi che ogni occasione di feedback è un’opportunità, unica e preziosa, per dare importanza a chi ci sta di fronte.