Il diritto al riconoscimento della madre intenzionale

Sentenza n. 68/2025 Corte Costituzionale: prime valutazioni della pronuncia
procreazione assistita
procreazione assistita

Il diritto al riconoscimento della madre intenzionale

 

La sentenza n.68/2025 della Corte Costituzionale, depositata il 22 maggio 2025, ha stabilito, ritenendo fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Lucca, che “è incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (Pma) legittimamente praticata all’estero“.

La Corte – dopo aver precisato che la questione non attiene alle condizioni che legittimano l’accesso alla Pma in Italia – ha ritenuto che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione:

-dell’articolo 2 della Costituzione, per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile;

dell’articolo 3 della Costituzione, per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale;

-dell’articolo 30 della Costituzione, perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.

È dunque incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (Pma) legittimamente praticata all'estero.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale, come stabilito dalla Consulta, si fonda su due rilievi:

la responsabilità che deriva dall'impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla Pma per generare un figlio, impegno al quale una volta assunto nessuno dei due genitori può sottrarsi;

la centralità dell'interesse del minore affinché l'insieme dei diritti che vanta nei confronti dei genitori valga, sia nei confronti della madre biologica che della madre intenzionale.

Secondo la Corte Costituzionale il mancato riconoscimento fin dalla nascita - con procreazione medicalmente assistita - dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all'identità personale del minore e pregiudica l'effettività del suo "diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni". Inoltre, il mancato riconoscimento del figlio pregiudica "il suo diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale".

La scelta legislativa di non consentire alla donna singola di accedere alla procreazione medicalmente assistita (Pma) "limita l'autodeterminazione orientata alla genitorialità in maniera non manifestamente irragionevole e sproporzionata".

È quanto si legge in una sentenza depositata sempre oggi, con cui la Corte costituzionale ha ritenuto "non fondate" le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate sull'articolo 5 della legge 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla Pma.

La Corte ha ricordato che "la disciplina dell'accesso alla Pma presenta rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riflessi sociali sui rapporti interpersonali e familiari" e per tale ragione, "essa è rimessa, in linea di principio, alla discrezionalità del legislatore, con l'unico limite della manifesta irragionevolezza e sproporzione alla luce del complesso degli interessi coinvolti".

Secondo la Corte, nell'attuale assetto normativo, non consentire alla donna di accedere da sola alla Pma "rinviene tuttora una giustificazione nel principio di precauzione a tutela dei futuri nati: è, infatti, nel loro interesse - rileva Palazzo della Consulta - che il legislatore ha ritenuto 'di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre".

"Dalla lettura delle due sentenze depositate oggi dalla Corte Costituzionale discendono alcune considerazioni", sottolinea in un comunicato Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità. "Innanzi tutto - afferma Roccella -, non è in discussione alcun atto di questo governo e di questa legislatura, e in ogni caso non è richiesto dalla Consulta alcun intervento normativo, né sulla legge 40 né su altri punti dell'ordinamento".  "In secondo luogo, per l'ennesima volta - prosegue la ministra - la Corte conferma il disvalore dell'utero in affitto, al punto da giungere a differenziare l'attribuzione dello status genitoriale per le coppie di uomini e di donne, proprio sulla base della differenza naturale dei corpi sessuati, che l'ideologia oggi vorrebbe negare". "D'altro canto, però -aggiunge Roccella -, l'interesse del bambino a vedersi riconosciute due figure genitoriali viene sancito, nella sentenza sulle 'due mamme', prescindendo completamente dai fondamenti biologici della riproduzione e della generazione, come se l'estromissione e la cancellazione programmata della figura del padre non fosse a sua volta un disvalore e una scelta contraria al miglior interesse del minore. In Italia nessun bambino ha una limitazione di diritti, perché anche in caso di coppie dello stesso sesso c'è l'adozione in casi particolari che garantisce il rapporto del minore con entrambi, la responsabilità di entrambi nei suoi confronti e l'inserimento in una rete di parentela anche sotto il profilo patrimoniale". "Cancellare per scelta dalla vita dei bambini il papà o la mamma, che nessuna tecnica riproduttiva potrà mai eliminare -conclude -, resta un mutamento antropologico che non potremo mai considerare un progresso sulla via dei diritti, ma la sottrazione al bambino di uno dei suoi diritti fondamentali" .

Da segnalare anche un primo autorevole commento di Monsignor Antonio Suetta, vescovo di Sanremo-Ventimiglia, non ha dubbi sulla sentenza della Corte costituzionale: «È una ingiusta invasione sulla dignità umana», aggiunge il prelato                 “ ci troviamo dinanzi a un falso biologico. Del resto, non possono esistere due madri in natura, dato che la generazione avviene tra un uomo e una donna. Parliamo di un dato oggettivo biologico

Anche se oggi il diritto positivo prevale sul diritto naturale, ritengo la sentenza di oggi alla stregua di un abuso. Si tratta di un'ingiusta invasione sulla dignità umana. Perché purtroppo il diritto positivo, come la sentenza di oggi della Corte costituzionale, guarda in maniera esclusiva a pretese, che non costituiscono diritti. Trattasi per lo più di capricci di soggetti adulti a scapito dei più piccoli».

E ancora aggiunge concludendo : «Registro un gravissimo squilibrio tra la prepotenza degli adulti e la natura inerme dei più piccoli. Questi ultimi, del tutto innocenti e inconsapevoli, subiscono la ricerca di meri riconoscimenti sociali e non possono in alcun modo intervenire per evitarlo: ne porteranno le conseguenze quando sarà troppo tardi.

Alla base di queste richieste alberga soltanto la arbitraria e ideologica volontà di allargare le maglie dei riconoscimenti destrutturando con negativa intenzionalità modelli consolidati e buoni di civiltà autentica.

Come la natura insegna, e come insegna del resto la rivelazione divina, la trasmissione della vita è affidata a un uomo e a una donna uniti in un vincolo di comunione, vincolo che costituisce una famiglia. Quando si parla di genitorialità si arriva a toccare la sfera educativa. E un figlio ha il diritto di nascere e crescere all'interno di un contesto formato da un uomo e da una donna in vista non soltanto dell'avvenimento puntuale della generazione, ma di tutto un contesto di accudimento e di accompagnamento educativo».