Oltre il senso del (non) luogo
Non si respira troppo.
Per paura di sentire di più le nostalgie, per paura di smettere pericolosamente di guardarci le spalle, per paura di inalare corpuscoli a palla con gli spuntoni, per paura di pensare che inspirando entri troppa speranza, ed espirando esca fuori il nostro disordine.
Quando ci sono piccoli assaggi di meraviglia comincia a essere più chiaro quanto sia teso tutto dentro di noi, quanto si resti sospesi laddove nulla ha luogo per cercare di saltare quel lasso di tempo che non apparteneva ai nostri programmi.
Il presente ha saputo essere difficile come ogni presente che non permetta di celebrare il passato e di fare progetti.
Forse non si dimentica solo il dolore.
Per necessità si sminuisce, si riduce, si sfuma e si sfuoca, fino ad annullarlo, ciò che è troppo bello, per consentire di tollerarne la mancanza.
Come se, costretti a pane e acqua, si scordasse il sapore della parmigiana di melanzane, per non soffrirne l’assenza.
Mi sono chiesta se esista davvero questa forma di protezione e pare esista qualcosa di simile e che abbia anche un nome: cherofobia, dal greco chairo (rallegrarsi) e phobia.
L’esercizio tanto prolungato della negazione del fare cose belle ha portato ad una specie di capovolgimento del buon senso, e non pensare a cose belle sembra sia diventato un diktat interiore. In Sicilia si dice: ”I cosi longhi addiventanu serpi”.
Come se, un trainer che ci ha sempre detto: “Schiena dritta, testa alta, respira profondamente, allunga-allunga-allunga” ci dicesse: “stai curvo, fuori la pancia, respira corto, accorcia la coscia, rattrappisci il piede, fai spazio alle verruche” con una ripetitività che da esacerbante finisce col divenire persuasiva, inoculando il convincimento che chi perde vince.
Ed in effetti il movimento lento, i sorrisi negati dalle maschere, la moderazione, i limiti geografici, i limiti mentali, gli stimoli quieti, creano un senso di controllabilità, senza accorgersi che “per voler star meglio qui si giace”.
Più parmigiana, per tutti.