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L’azione di regresso dell’INAIL dal testo unico del 1965 alla Legge di Bilancio 2019

Legge n. 145/2018
Infortunio sul lavoro
Infortunio sul lavoro

Si verifica a volte che la cd. “volontà del legislatore” – in parole povere, l’intenzione del suggeritore e del redattore materiale della norma approvata nel testo definitivo - durante il tormentato iter che precede la promulgazione, subisca delle “mutazioni” - in parole povere, l’aggiunta o lo stralcio di avverbi, aggettivi, sostantivi, virgole, magari per meglio adattare o estendere la previsione stratta a pressanti esigenze del momento  – tanto che, alla fine, il “concepito” e il “nato” non sembrano più lo stesso soggetto anzi, a volte, neanche sembrano avere la stessa progenie.

Chiaro esempio di questa “trasmutazione genetica con eterogenesi dei fini” è la modifica delle azioni di rivalsa dell’INAIL (regresso e surroga) praticata dal comma 1126 dell’articolo 1 (unico) della legge 145/2018 del 30/12/2018 (finanziaria 2019), approvata con voto di fiducia e pubblicata il 31/12/2018.

Per meglio comprendere la normativa attuale può essere utile riassumere alcuni passaggi fondamentali che hanno caratterizzato l’evoluzione della materia nell’ultimo mezzo secolo e, a tal fine, chiameremo convenzionalmentedanno civile” l’importo del risarcimento;

danno previdenziale” l’indennizzo INAIL;

danno differenziale” la differenza non versata dall’INAIL per voci di danno che costituiscono oggetto dell’assicurazione sociale ma liquidate in misura minore;

danno complementare” la differenza non versata dall’INAIL per voci di danno che non costituiscono oggetto dell’assicurazione sociale quindi neanche considerate. E ciò scusandoci fin d’ora per l’esposizione necessariamente schematica e superficiale.

Il nostro ordinamento giuridico, in linea con la normativa europea richiamata dall’articolo 117 Costituzione (articolo 6 del Trattato sull’Unione europea − TUE; articoli 2, 3, 6, 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, CEDU − e articolo 1 del Protocollo addizionale alla medesima Convenzione; articoli 1 e 3, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), tende all’integrale risarcimento (piena riparazione) del danno alla persona, nel senso che il risarcimento deve tendere, anche per “equo equivalente”, a ripristinare la situazione quo ante, esistente prima dell’evento dannoso.

Il “risarcimento” del danno “ingiusto” è posto a carico del responsabile civile che lo ha “cagionato” con “dolo” o “colpa” e ha la funzione di ripristinare, per quanto possibile, le conseguenze dannose causate con “colpa generica” (negligenza, imprudenza, imperizia) o “colpa specifica” (inosservanza di leggi, regolamenti, ordini, discipline). Quindi il risarcimento – oltre le ipotesi di responsabilità oggettiva - necessita della prova (a onere del danneggiato) che il danno sia causato dal comportamento illegittimo/illecito del danneggiante. Peraltro, l’articolo 2087 Codice Civile (nel titolo II del libro V, in materia di lavoro nell’impresa) prevede una sorta di inversione dell’onere probatorio quando impone al datore di lavoro la prova di aver posto in essere tutte le misure (possibili per l’imprenditore medio) necessarie a tutelare la salute dei lavoratori.

Il Codice Civile italiano ripartisce il danno da fatto illecito tra le due categorie del “patrimoniale” (articolo 2043 e ss.) e del “non patrimoniale” (articolo 2059). Il primo è dato dalla “perdita economica” (danno emergente) e dal “mancato guadagno”, che diminuisce il patrimonio (“esterno”, materiale) del danneggiato; il secondo, a differenza del primo, è dato dalla menomazione psico-fisica che diminuisce il benessere (“interno”, immateriale) del danneggiato.  

Il nostro ordinamento giuridico prevede anche l’“indennizzo”, istituto diverso dal risarcimento, in quanto:

  1. è svincolato dalla responsabilità del danneggiante (quindi, anche per fatto lecito dannoso) (quindi, anche se il danno deriva da “caso fortuito”, “forza maggiore”, “colpa esclusiva” del danneggiato);
  2. è svincolato dall’integrale ripristino (quindi, anche per importo predeterminato e minore al risarcimento);
  3. è svincolato dalla prova del nesso di causalità tra comportamento e danno (quindi, nei casi normativamente predeterminati).

L’indennizzo è concetto connaturato al contratto/rapporto assicurativo, sia esso privato o pubblico, posto che alle assicurazioni sociali, in mancanza di leggi speciali, si applicano le norme della assicurazioni private (articolo 1886 Codice Civile).

L’INAIL – Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro  è un ente pubblico non economico, a competenza nazionale, che gestisce l’assicurazione sociale obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (in attuazione dell’articolo 38 Costituzione), erogando prestazioni economiche, sanitarie e riabilitative a favore di lavoratori o ex lavoratori (o loro aventi diritto) ed esonerando i datori di lavoro dalla responsabilità civile in caso di evento infortunistico. Quindi, a beneficio di entrambi i soggetti.

Il Testo Unico istitutivo del 1965 (DPR n. 1124 del 30/06/1965), ante danno biologico introdotto solo nel 2000 nell’assicurazione sociale:

  • indennizzava, con criteri predeterminati, il danno patrimoniale (l’unico allora giurisprudenzialmente riconosciuto (oltre il danno morale da reato) conseguente alla riduzione della capacità lavorativa generica (quindi, presuntivamente, della sua retribuzione) derivata dal danno alla persona subito dal lavoratore per evento infortunistico;
  • prevedeva l’esonero generalizzato della responsabilità civile del datore di lavoro, salvo i soli casi di sentenza penale di condanna irrevocabile per omicidio colposo o lesioni colpose perseguibili d’ufficio, cioè solo quelle gravi/gravissime, con violazione di norme antinfortunistiche, fino a concorrenza delle prestazioni economiche complessivamente erogate dall’INAIL (articolo 10).

All’epoca, nel 1965, l’assicurazione sociale era strutturata come una assicurazione privata per r.c.o.: l’INAIL “esonera(va) il datore di lavoro dalla responsabilità civile” (articolo 10, comma 1), con esclusione dei soli eventi perseguibili d’ufficio (comma 4), a condizione che i responsabili avessero “riportato condanna penale” (comma 2) per il fatto-reato-infortunio/malattia professionale.

La sfera dell’esonero era allora molto estesa in quanto l’azione di rivalsa dell’Ente richiedeva, al verificarsi di un evento infortunistico, come presupposto del regresso, una sentenza penale di condanna (passata in giudicato), solo per i delitti di omicidio colposo (articolo 589 Codice Penale) e/o di lesioni colpose gravi o gravissime (articolo 590 Codice Penale), derivanti dalla violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (dopo la novella della L. 102/2006).

Inoltre, originariamente, nei pochissimi casi nei quali, nel termine di prescrizione del reato, fosse stata pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna - negli altri casi il regresso era improcedibile, salvo il caso di morte dell’imputato o di amnistia (articolo 10, comma 5) -  il datore di lavoro civilmente responsabile aveva la (quasi) certezza di non essere esposto anche all’ulteriore azione risarcitoria per danno “differenziale” del lavoratore infortunato o dei suoi eredi in quanto l’indennizzo, anticipato per suo conto, dall’INAIL ai danneggiati risultava di norma maggiore dell’importo complessivamente liquidabile per il danno civile (all’epoca) concretamente  risarcibile al danneggiato o ai suoi superstiti. Ciò in quanto non si faceva luogo a risarcimento “qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell’indennità” (comma 6) e, anche quando si fosse fatto luogo a risarcimento questo era dovuto “solo per la parte eccedente le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti” (comma 7).

In conclusione,

il lavoratore-danneggiato doveva ricevere (tra indennizzo e risarcimento differenziale) tutto, ma non oltre, l’integrale recupero del danno economico concretamente liquidabile;

il datore-danneggiante doveva pagare (tra risarcimento differenziale e rivalsa INAIL) tutto, ma non oltre, l’integrale danno economico cagionato;

l’Ente-assicuratore doveva recuperare dal datore l’importo anticipato per suo conto al lavoratore solo per risarcimento, restando a esclusivo carico dell’INAIL tutti gli altri esborsi.

A partire dagli anni ’80 il quadro è totalmente mutato anche a seguito della riconosciuta “autonomia” del giudizio civile rispetto al penale (Cost. 118/1986, nuovo codice di procedura penale del 1989) e dell’introduzione giurisprudenziale tra le voci risarcitorie del danno biologico, quale danno non patrimoniale/areddituale, in aggiunta al danno patrimoniale da minor reddito causato dalla riduzione della capacità lavorativa generica, tanto che la Corte Costituzionale, con una serie di sentenze pubblicate in sequenza nei primi anni ’90 (Cost. 87/1991, 356/1991, 485/1991), ha ritenuto che il danno biologico, per la sua natura “non patrimoniale”, non rientrasse nell’oggetto dell’indennizzo INAIL che – come già detto – era ritenuto avere natura “patrimoniale”.

Di conseguenza, il nuovo indirizzo giurisprudenziale ha, di fatto, eliminato per i datori di lavoro il beneficio dell’esonero della responsabilità civile, i quali, pur versando lo stesso importo per premi, si sono ritrovati sostanzialmente privati della copertura assicurativa per il danno “non patrimoniale/biologico”, il cui risarcimento veniva richiesto direttamente e integralmente dal lavoratore danneggiato, in quanto non coperto (né indennizzato) dall’INAIL (cd. danno complementare).

La novella del 2000 (D.Lgs. n. 38 del 23/02/2000), per ovviare a tale stortura, ha nuovamente ricollocato il danno non patrimoniale del lavoratore nell’indennizzo INAIL (articolo 13), ripristinando così l’esonero della responsabilità civile del datore in caso di lesioni personali. In pratica, il danno biologico è stato spostato dal “complementare” al “previdenziale”, ma solo parzialmente e senza certezza, in quanto la giurisprudenza ora ondigava circa il criterio per liquidare il danno “differenziale”, conseguente al criterio di confronto tra il danno “civile” e quello “previdenziale” (per importo; per categorie di danno; per singole voci di danno).

La Corte di Cassazione a SS.UU. del 2008 (nn. 26872/2008 e ss.) ha ripristinato (con riferimento alle varie voci di danno nel frattempo ipotizzate: biologico, esistenziale, morale, alla tranquillità, al benessere, ecc.) l’originaria bipartizione del danno in “patrimoniale” e “non patrimoniale”, indirizzando, anche per evitare duplicazioni di risarcimento, nel senso che il “morale” avrebbe potuto confluire nel “biologico” o nell’ “esistenziale” (entrambi posizionati nella categoria “non patrimoniale”) a seconda che il patema d’animo determinato dal reato avesse causato una “menomazione psicofisica” clinicamente accertabile o un peggioramento del “modo di essere”.

La giurisprudenza successiva, in linea di massima, si è uniformata all’indicazione delle SS.UU. e ha meglio delineato sia i vari tipi di danno “non patrimoniale” sia i soggetti, diversi dal danneggiato diretto, titolari del diritto al risarcimento. In particolare, in caso di morte sono stati selezionati:

  1. danno da perdita della vita istantanea. Non risarcibile al titolare né trasmissibile ai superstiti;
  2. danno da attesa della morte. Risarcibile jure proprio al titolare e, quindi, trasmissibile agli eredi;
  3. danno da perdita di congiunti (in caso di perdita del coniuge, di un parente, di un amico, ecc.), risarcibile jure proprio solo ai superstiti.

La Corte di Cassazione a SS.UU. del 2018 (n. 12566/2018 per INAIL, oltre tre coeve) per tentare di risolvere la dibattuta questione delle sovrapposizioni esistenti tra indennizzo e risarcimento e per arginare evidenti locupletazioni e indebiti arricchimenti che alcune interpretazioni giurisprudenziali della normativa vigente rendevano possibili, ha indicato la linea interpretativa dell’istituto compensatio lucri cum damno, enunciando conclusivamente, a risoluzione del contrasto di giurisprudenza, il seguente principio di diritto: «L’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’INAIL per l’infortunio in itinere occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito». Tale principio è estensibile ovviamente a tutti gli eventi infortunistici occorsi in occasione di lavoro e indennizzati dall’Istituto.

Per ritornare alla legge di bilancio 2019 - dopo questa, riteniamo opportuna, premessa – l’intenzione originaria del legislatore dovrebbe risultare più chiara: riequilibrare – riavvicinandoli a quelli originari - i rapporti economici intercorrenti tra i tre soggetti del rapporto di assicurazione sociale obbligatoria gestita dall’INAIL al verificarsi di un evento infortunistico lavorativo (sia esso infortunio o malattia professionale).

Cioè quello di attuare un ragionevole ed equo bilanciamento del risarcimento del danno alla salute (nel rapporto tra lavoratore-assicurato e datore-assicurante) e dell’indennizzo dello stesso (nel rapporto tra INAIL-assicuratore e lavoratore assicurato), utilizzando lo strumento del regresso (nel rapporto tra INAIL e datore di lavoro).Astrattamente e in teoria la questione sembra semplice: il responsabile deve sborsare tutto e non oltre l’importo del risarcimento (“danno civile”), versandolo per una parte direttamente all’INAIL che lo ha già anticipato all’infortunato-assicurato (“danno previdenziale”) e per la rimanenza direttamente al lavoratore (danno “differenziale” e “complementare”).

Però l’intenzione legislativa si realizza con la norma e qui – come si suol dire – “la questione si complica” col testo, novellato, degli articoli 10 e 11 del DPR 1124/1965, che risultano poco chiari nel loro tenore letterale, in quanto si prestano a (almeno) due interpretazioni.

La prima, esclusivamente letterale, porterebbe a escludere per il danneggiato il risarcimento per la parte eccedente l’indennizzo. Per utilizzare i termini convenzionali sopra illustrati, il danno “civile” e quello “previdenziale” coinciderebbero col limite massimo del secondo.

Infatti, il comma 6 dell’articolo 10 (le modifiche sono in grassetto) oggi così dispone: “Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo, complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell'indennità a qualsiasi titolo e indistintamente che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto”.

Questa interpretazione ben difficilmente – riteniamo - supererebbe il vaglio di legittimità costituzionale, per i motivi, sopra riassunti, di violazione del principio generale dell’integrale risarcimento del danno da fatto ingiusto e di eguaglianza tra danneggiati e danneggianti, in quanto le due categorie avrebbero differente trattamento se assicurati o meno con INAIL.

La seconda, letterale e logico sistematica, partendo dal presupposto che il danno alla salute è l’oggetto comune sia del risarcimento (nel diritto civile) che dell’indennizzo (nel diritto previdenziale), porterebbe a confrontare l’importo complessivo del primo, liquidabile al danneggiato o ai suoi eredi, col danno “previdenziale” erogabile all’assicurato per le voci di danno  oggetto dell’assicurazione sociale (indennità per invalidità temporanea, spese sanitarie e protesiche, valore capitale della rendita, ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo).

Quindi, il danno “differenziale” – liquidato per le stesse voci di danno - sarà dato dalla differenza tra il “civile” e il “previdenziale”, sarà di esclusiva pertinenza del danneggiato e a esclusivo carico del datore di lavoro.

Questa interpretazione – a nostro avviso –  è la sola costituzionalmente orientata per mantenere in vita la norma ed è anche avvalorata dal 7 comma dell’articolo 10 novellato (le modifiche sono in grassetto) per cui “Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell’articolo 13, secondo comma lettera a) e b), del decreto legislativo n. 38 del 2000.

Altro discorso si impone per il danno “complementare”, già definito come la differenza (del danno “civile” rispetto al “previdenziale”) non versata dall’INAIL per voci di danno non costituiscono oggetto dell’assicurazione sociale quindi neanche liquidate: queste voci sono certamente di esclusiva pertinenza del lavoratore-danneggiato.

Quindi, conclusivamente, per una legittima, logica, equa e costituzionalmente orientata interpretazione al comma 1126 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2019, si ritiene che, in pratica, l’operatore o il giudice dovrebbe procedere a fasi successive.

  1. Liquidare l’importo del danno “civile” complessivo concretamente risarcibile nel caso di specie (quindi considerando anche la riduzione per l’eventuale concorso di colpa del danneggiato), determinato con i consueti criteri in uso (di norma, tabelle milanesi, a volte romane, ormai eccezionalmente altre).
  2. Accertare l’importo del danno “previdenziale” chiedendo informazioni all’INAIL (anche ex articolo 213 cpc), tra le voci elencate ai numeri da 1 a 6 dell’articolo 66 del DPR 1124/1965 (indennità giornaliera “temporanea”; rendita “permanente”; assistenza personale continuativa; rendita “ai superstiti”; cure mediche, chirurgiche, accertamenti; apparecchi protesici”.

Questo importo è di esclusiva pertinenza dell’INAIL e potrà essere richiesto in regresso (con i limiti dell’articolo 11) al datore di lavoro, in quanto già pagato o in corso di versamento ai danneggiati.

  1. Accertare l’importo del danno “differenziale” (A – B).

Questo importo è di esclusiva pertinenza del danneggiato.

  1. Accertare l’importo del danno “complementare”, indicando quali sono le voci escluse dall’indennizzo dell’Ente (danno morale/esistenziale soggettivo non correlato al biologico; danno alla alle cose, ecc.).

Questo importo è di esclusiva pertinenza del danneggiato, in aggiunta al danno “differenziale”.