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Ancora sulla compensatio lucri cum damno per la rendita INAIL “ai superstiti”

Torino., maggio 2019
Ph. Fulvia Tilli / Torino., maggio 2019

L’ordinanza della terza sezione della Cassazione (del 18 ottobre 2019, n. 26647) che si annota ha l’innegabile pregio – come tutte le altre dello stesso Relatore – di essere chiara ma, a nostro avviso, non pienamente convincente e condivisibile, in quanto la decisione, nell’intento di ricondurre il caso in esame nell’alveo tracciato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di “interferenze” tra danno da infortunio o malattia professionale e “risarcimento  civile” e “indennizzo previdenziale”, svolge esaminando la singola fattispecie alcune considerazioni che non paiono avere valenza generale tale da poter essere estese sic et simpliciter ad altri casi analoghi.

Nella fattispecie si trattava – in sintesi e per quanto qui interessa – di un incidente stradale/infortunio sul lavoro mortale, occorso a una lavoratrice, a seguito del quale l’INAIL ha erogato la rendita “ai superstiti” a favore del marito e della figlia della vittima. Tutti i soggetti danneggiati, eredi ed Ente, hanno proposto azione giudiziaria nei confronti dei danneggianti e delle Assicurazioni per la RCA, infine tutti dichiarati parzialmente responsabili in concorso di colpa con la conducente deceduta.

La questione di diritto sulla quale si è espressa la Cassazione concerne la ripartizione del risarcimento, posto pacificamente a carico dei danneggianti per l’importo effettivamente liquidabile, tra i soggetti danneggiati e l’INAIL e si inserisce nella dibattuta problematica circa le interferenze tra danno “civile” e “previdenziale” che possono sorgere al momento della concreta ripartizione del risarcimento (per gli interessati, la materia trattata potrà essere approfondita con la lettura di altri contributi pubblicati su questo sito, impostando la “ricerca” a nome del sottoscritto relatore o per titolo: «La “nuova” azione di regresso dell’INAIL dal 2019>; “E’ ritornata “vecchia” dal 30/06/2019 - decreto crescita»).

Si ricorda che, tra le varie prestazioni economiche erogabili dall’INAIL, l’articolo 66 del DPR 1124/1965 prevede la rendita “diretta” (al n.2) e quella “ai superstiti” (al n. 4), nel prosieguo, per brevità, anche “rendita D” o “rendita S.”

La rendita D (artt. 78 e ss.) indennizza la riduzione della capacità lavorativa generica, da cui la legge correla presuntivamente una riduzione della capacità di guadagno (convenzionalmente chiamata danno patrimoniale) e, dopo il Decreto Legislativo n. 38/2000, anche la diminuzione dell’integrità psicofisica (convenzionalmente chiamata danno biologico). Per le menomazioni con grado invalidante permanente superiore al 15%, la rendita è data dalla somma delle predette due voci, patrimoniale e biologico, indennizzate con criteri prestabiliti dalla normativa INAIL, senza alcuna apprezzabile personalizzazione in quanto entrambi riferiti al cd. “lavoratore medio” che percepisce “retribuzioni medie”.

La rendita S è regolata dal successivo articolo 85 T.U., spetta ad alcuni prossimi congiunti (coniuge, figli minori o invalidi, ascendenti, fratelli/sorelle) qualora la morte derivi da infortunio o malattia professionale e, come si approfondirà in prosieguo, si discute se indennizzi i superstiti aventi diritto solo per un loro danno “patrimoniale” da perdita del sostegno retributivo del titolare, oppure anche per un danno “non patrimoniale” agli stessi spettante.

L’ordinanza in commento, partendo dalla fattispecie concreta in esame – nella quale, a quanto è dato desumere, la vittima svolgeva al momento del decesso un’attività lavorativa redditizia – opta senz’altro per la prima, motivando che “tali caratteristiche palesano che la rendita di cui si discorre (ndr: “S”) ha lo scopo solidaristico di sollevare i congiunti del defunto dallo stato di bisogno in cui la legge presume "juris et de jure” che essi verrebbero a trovarsi in conseguenza della perdita del contributo economico che il lavoratore deceduto apportava alla propria famiglia. La rendita, quindi, ha lo scopo di indennizzare un pregiudizio patrimoniale, e non certo un danno non patrimoniale. Ne consegue che le somme erogate dall'Inail per il suddetto titolo non possono essere defalcate dal credito risarcitorio spettante ai congiunti del lavoratore deceduto a titolo di ristoro del danno non patrimoniale patito - sotto qualsiasi forma - in conseguenza dell'infortunio”.

Il percorso logico svolto in motivazione è lineare: l’INAIL indennizza ai superstiti la perdita economica che la vittima, in vita, apportava alla propria famiglia; l’Ente, solo nei limiti di questo importo, può rivalersi nei confronti dei terzi responsabili; quindi, se non vi è nessun apporto patrimoniale, l’Istituto non ha nessun diritto di rivalsa; e ciò nonostante i superstiti abbiano diritto all’indennizzo pieno.

In pratica – per sintetizzare al massimo – se la vittima aveva un reddito da lavoro al momento della morte esiste il diritto dell’INAIL di surroga (nei confronti del danneggiato) e di azione (nei confronti del danneggiante) limitatamente all’importo del danno patrimoniale effettivo; nulla spetterebbe all’Ente in caso contrario, qualora la vittima al momento della morte non avesse (o non fosse possibile provare che avesse) un reddito da lavoro, dipendente o autonomo.

La motivazione dell’ordinanza consente anche di comprendere il motivo di tale conclusione:

dovendo scegliere tra le due interpretazioni contrapposte, dibattute negli anni dalla Cassazione per confrontare il danno “civile” (cioè il risarcimento) con quello “previdenziale” (cioè l’indennizzo), la terza sezione ha optato per quella cd. per “poste omogenee” anziché per “sommatoria integrale”;

inoltre, dovendo qualificare l’indennizzo INAIL per rendita S, ha optato per ritenerne la sua esclusiva natura di “danno patrimoniale”, escludendone totalmente quella “non patrimoniale”.

Entrambe queste scelte – verosimilmente improntate a garantire la maggior tutela dei superstiti – appaiono non pienamente convincenti, specialmente ipotizzandone l’estensione ad altre fattispecie nelle quali la vittima sia priva di reddito attuale, magari perché pensionato.

Circa la prima opzione, si ritiene opportuno un ulteriore, ancorché superficiale, chiarimento.

Il primo metodo, per “poste omogenee”, diminuisce il risarcimento civile del lavoratore danneggiato dell’importo delle (sole) corrispondenti voci di danno allo stesso indennizzate dall’INAIL: quindi, ad esempio, col raffronto per “poste omogenee” il lavoratore (o il superstite) conserva l’indennizzo dall’INAIL di un danno patrimoniale presunto, anche se non provato e quindi non risarcibile nel diritto civile dal danneggiante.

Il secondo metodo, per “sommatoria”, raffronta (non l’importo delle singole voci ma) gli importi complessivi risarciti/indennizzati.

La problematica – dibattuta in giurisprudenza da decenni – ha avuto anche un recente tentativo di regolazione da parte del legislatore che, per evitare possibili indebite locupletazioni del danneggiato, col comma 1126 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2019 (L. 145/2018, su G.U. 31/12/2018) aveva inequivocabilmente scelto il secondo metodo, quello della “sommatoria integrale”, prevedendo che il confronto danno civile/previdenziale dovesse essere effettuato tra “somme a qualsiasi titolo pagate”.

È vero che la predetta normativa (a meno di 6 mesi dalla sua entrata in vigore) è stata abrogata, con efficacia retroattiva, dal articolo 3 sexies della L. 28 giugno 2019, n. 58, di conversione, con integrazioni, del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, ma è altresì vero che la legge di bilancio 2019 – seppur in maniera confusa e atecnica – aveva pur sempre recepito l’indirizzo espresso in materia di compensatio lucri cum damno dalle SS.UU. con le recenti sentenze nn. 12564, 12565, 12566, 12567/2018 e, prima, dal C.di S.in Ad. Plenaria con sentenza n. 1/2018.

Infatti le Sezioni Unite (specialmente con la sentenza n. 12566/18 riferita proprio alla materia INAIL), dopo aver premesso che “la selezione tra i casi in cui ammettere o negare il diffalco deve essere fatta, dunque, per classi di casi, passando attraverso il filtro di quella che è stata definita la “giustizia” del beneficio e, in questo ambito, considerando la funzione specifica svolta dal vantaggio”, precisano che “il ristoro del danno coperto dall’assicurazione obbligatoria può presentare delle differenze nei valori monetari rispetto al danno civilistico. Nondimeno, la rendita corrisposta dall’INAIL soddisfa, neutralizzandola in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo, autore del fatto illecito, al quale sia addebitabile l’infortunio in itinere subito dal lavoratore”, per giungere a indicare il seguente principio di diritto: «L’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’INAIL per l’infortunio in itinere occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito».

Il caso sottoposto alle SS.UU. concerneva la compensatio della rendita diretta per infortunio in itinere subito da un lavoratore in attualità di lavoro (non pensionato), ma i principi enunciati sono validi, a maggior ragione, per gli infortuni avvenuti sul lavoro e ad assicurati pensionati, eventualmente già titolari di rendita D o che, pur non essendone titolari, decedono per causa di lavoro maturando il diritto alla rendita S. Anzi, proprio per quest’ultima categoria, dei pensionati, il collegamento tra perdita di reddito lavorativo e rendita INAIL non esiste.

L’ordinanza in commento attribuisce alla rendita S natura sostitutiva della perdita patrimoniale subita dai congiunti che, prima, beneficiavano del reddito lavorativo della vittima. Questo ragionamento non vale se la vittima era priva di reddito lavorativo, per esempio perché pensionata, e neppure pare equa la conclusione che, in questo secondo caso, i superstiti di una vittima pensionata debbano avere un trattamento diverso (e migliore) rispetto a quello spettante nell’altra ipotesi, di costanza di lavoro redditizio.     

Circa la seconda opzione, pare opinabile affermare – come è stato affermato – che la rendita ai superstiti indennizzi esclusivamente un danno “patrimoniale” (escludendo qualsiasi interferenza con quello “non patrimoniale”) solo perché è correlata alla retribuzione percepita in vita dall’assicurato.

È noto che la materia dell’indennizzo INAIL è regolata principalmente dal DPR 1124/1965 e dal Decreto Legislativo 38/2000. La rendita S, di cui qui si discute, non è stata oggetto della seconda legge (che riguarda soltanto la rendita D, estendendone la copertura anche al danno biologico) ed è ancor oggi disciplinata dall’articolo 85 del DPR del 1965 che la prevede a favore di alcuni prossimi congiunti (coniuge, figli minori o invalidi, ascendenti, fratelli/sorelle) qualora la morte del dante causa assicurato derivi da un infortunio o una malattia professionale.

La prestazione è corrisposta mensilmente per tutta la vita (salvo il venir meno dei presupposti di legge), è periodicamente rivalutata per assicurare l’adeguamento delle prestazioni previdenziali alla dinamica salariale e l’attualizzazione del suo importo viene effettuata mediante tabelle di capitalizzazione, aventi forza di legge, che tengono prevalentemente conto della vita presunta del beneficiario.

L’importo annuale/mensile è ragguagliato all’intera retribuzione percepita in vita dal lavoratore (articolo 1 comma 130 della legge 147/2013) entro un limite minimo e massimo predeterminato per legge e la somma complessiva corrisposta a tutti gli aventi diritto non può comunque superare quella spettante per la rendita diretta.

Il criterio di liquidazione della rendita S è correlato alla retribuzione (effettiva o convenzionale) percepita in vita dal lavoratore, che si presume fosse (allora) utilizzata a sostegno economico del proprio nucleo familiare; la sua natura – secondo l’indirizzo prevalente – è quella di indennizzo del danno jure proprio subito dai congiunti a seguito della morte dell’assicurato.

Sotto questo profilo, la rendita S è sempre stata considerata come prestazione del tutto autonoma rispetto alla rendita D; della quale i beneficiari sono titolari in base ad un diritto che loro spetta iure proprio e non iure successionis (Cass. 3069/2002; Cass. 11745/1997); in quanto il diritto alla rendita ai superstiti non appartiene al patrimonio del de cuius perché nasce alla morte dell’assicurato; il cui importo non si confonde con il patrimonio del defunto; tanto che la stessa compete anche se la rendita D non sia stata erogata (Cass. 10533/1996; Cass. 5398/1994) o sia stata liquidata all’assicurato in capitale (Cass. 5289/1999). Inoltre per la rendita S è stato escluso (articolo 73 L. n. 388/2000 - finanziaria 2001) il divieto di cumulo con la pensione di reversibilità dell’INPS (introdotto dall'articolo 1, comma 43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, per le pensioni di inabilità e l’assegno di invalidità).

Per chiarire il meccanismo previsto dal predetto DPR 1124/1965 per la liquidazione della rendita S, si precisa che la retribuzione, utilizzata come base di calcolo, può essere effettiva (articolo 116/1°) o media o convenzionale (articolo 118), comunque sempre contenuta tra un minimo e un massimo ex lege (articolo 116/3°), che per il 2019 oscilla da € 16.554,30 a € 30.743,70 annue, cioè da € 55,18 a € 102,48 giornaliere (DM.  Ministro del lavoro e delle politiche sociali 02/08/2019, n. 951).

La retribuzione così determinata viene poi capitalizzata in base alla previsione di vita presunta ex lege del superstite avente diritto (articolo 39 e D.M. Ministro del lavoro e delle politiche sociali 22/11/2016, in G.U. n. 295 – S.O. n. 56), il cui montante determina il valora capitale della rendita.

Per meglio chiarire le due opzioni, valga un esempio simile a quello sviluppato nell’ordinanza.

Si ipotizzi che:

  • la rendita INAIL ai superstiti sia complessivamente 100 (80 al vedovo + 20 all’orfana);
  • il contributo economico della vittima ai due familiari sia 120, o 60, o zero, a seconda che la stessa avesse un reddito lavorativo alto, o medio, o nullo, per esempio in quanto pensionata.

Quindi:

operando per “poste omogenee”:

  • l’INAIL, in relazione alle tre casistiche, potrebbe chiedere in surroga al responsabile rispettivamente 100, oppure 60, oppure zero in quanto, secondo il principio di diritto enunciato, la rendita S “non può essere defalcata dal risarcimento del danno non patrimoniale”;
  • i superstiti, sommando l’indennizzo INAIL al risarcimento del danneggiante, percepirebbero, sempre in relazione alle tre casistiche, complessivamente 120 (in caso di reddito lavorativo alto); oppure sempre 100 (in caso di reddito lavorativo basso/nullo). In questi ultimi due casi la surroga dell’INAIL nei confronti del danneggiante avrebbe il limite di 60 oppure di 0 (in caso di reddito lavorativo nullo, in quanto l’assenza di danno lavorativo escluderebbe qualsiasi rivalsa dell’Ente);

operando per “sommatoria integrale”:

  • l’INAIL, in relazione alle tre casistiche, potrebbe chiedere in rivalsa al responsabile sempre 100;
  • a loro volta i superstiti, sommando l’indennizzo INAIL al risarcimento del danneggiante, percepirebbero, sempre in relazione alle tre casistiche, complessivamente 120, cioè 20 dal danneggiante + 100 dall’INAIL (in caso di reddito lavorativo alto); oppure sempre 100 dall’INAIL (in caso di reddito lavorativo basso/nullo); con diritto dell’Ente di rivalsa di 100 nei confronti del danneggiante il quale, per converso, vedrebbe ridotto di pari importo il suo debito verso il danneggiato.

Ora, è di evidenza matematica che i superstiti, operando per “poste omogenee”, nella seconda o terza ipotesi, otterrebbero una locupletazione, rispettivamente, di 40 (100 – 60), oppure di 100 (100 – 0), in disparità di trattamento rispetto alla prima ipotesi nella quale non avrebbero alcuna locupletazione in quanto (tra INAIL e danneggiante) riceverebbero soltanto l’effettivo ripristino economico di 120 (100 + 20).

Nessuna locupletazione, invece, operando per “sommatoria integrale” in quanto i danneggianti sborserebbero il danno effettivamente risarcibile (patrimoniale + non patrimoniale); i superstiti otterrebbero il risarcimento e l’indennizzo nella misura massima loro spettante (100 dall’Ente + eventuale eccedenza patrimoniale e non patrimoniale dal danneggiante); l’INAIL otterrebbe 100 in rivalsa dal danneggiante).

Quindi, adottando il criterio della “sommatoria integrale” (anziché per “poste omogenee”) e ritenendo che la rendita INAIL ai superstiti non indennizzi esclusivamente il “danno patrimoniale” (assente – si sottolinea –nella maggioranza dei casi di morte di pensionati, specialmente per malattie professionali, magari manifestatasi dopo l’abbandono del lavoro), si potrebbe giungere a conclusioni anche diverse, ritenendo che, in pratica, l’operatore o il giudice, per ripartire tra INAIL e danneggiato poste di danno risarcibile, potrebbero riconoscere all’Ente, oltre al danno patrimoniale effettivamente risarcibile ai superstiti della vittima, anche l’eventuale differenza fino a concorrenza del valore capitale della rendita S, in un’ottica di equo bilanciamento degli interessi economici contrapposti, ferma comunque la tutela del danneggiato che, comunque, percepirebbe sempre l’integrale risarcimento dovuto.