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Perdita del congiunto: per il danno rivolgersi alle tabelle di Roma

Prevalenza delle Tabelle di Roma per la liquidazione della perdita del rapporto parentale
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Agata Christie era solita dire: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”.

La recentissima decisione della Corte di Cassazione n° 20.292 del 23 giugno 2022 richiama espressamente – e lo ribadisce – il principio di diritto già espresso nella sentenza n° 10579 del 21 aprile 2021.

Ebbene, l’impressione che si ricava dal recente provvedimento è che, diversamente dalla celebre frase di Agata Christie, questa non sia affatto una coincidenza, bensì la prova di un fondamentale cambio di rotta in tema di liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto.

Nel caso oggetto della decisione di cui si parla, la Corte non si addentra in complicate analisi giuridiche né in ricostruzioni teoriche ma, al contrario, con un provvedimento piuttosto sintetico e lineare, va dritta al punto e indirizza il futuro del danno alla persona con istruzioni chiare e precise.

La Corte, senza mezze misure, riafferma la prevalenza delle Tabelle di Roma per la liquidazione della perdita del rapporto parentale: “…al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del danno parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, … l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi”.

Non possono più sussistere dubbi, queste affermazioni della Corte di Cassazione stabiliscono la preminenza delle Tabelle di Roma per la liquidazione del danno da perdita del congiunto.

Ciò a scapito del diverso sistema utilizzato dalle tabelle di Milano le quali, invece, prevedono soltanto valori minimi e massimi, “tra i quali ricorre peraltro una assai significativa differenza” (così Cass. 10.597/2021), entro i quali il Giudice è chiamato ad esercitare la propria discrezionalità, con evidente sacrificio della funzione per la quale le tabelle sono state concepite “che è quella dell’uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di uguaglianza” (così, ancora, Cass. 10.597/2021).

Se, per caso, ci fosse ancora qualcuno non del tutto convinto, la Corte di Cassazione conclude dicendo: “le tabelle milanesi non rispondono ai requisiti indicati in punto di perdita di rapporto parentale”.

Impossibile fraintendere.

Nel prosieguo della decisione, comunque, la Suprema Corte apre la strada alla futura coesistenza dei due grandi nemici nel sistema del danno non patrimoniale alla persona, ovvero le tabelle milanesi e quelle romane.

La Cassazione, infatti, con la medesima chiarezza di cui si è detto sopra, dimostra di non voler abbandonare completamente le tabelle milanesi ma, anzi, di continuare a considerarle il migliore strumento per quanto concerne il danno biologico, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga di discostarsene.

Nel paragrafo successivo dell’Ordinanza, infatti, si afferma che “resta fermo che, per la liquidazione del danno biologico, il giudice di merito deve fare applicazione della tabella elaborata dal Tribunale di Milano. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di danno non patrimoniale, i parametri delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti…”.

Ebbene, se all’indomani di Cass. 10.579 del 21 aprile 2021 ci si poteva chiedere se il principio evolutivo affermato in quella decisione si sarebbe consolidato, portando a un ripensamento dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto, la nuova affermazione dello stesso principio e, anche, l’esplicito linguaggio adottato dalla Suprema Corte, lasciano pensare che da ora in avanti per l’interprete la strada maestra sia segnata e sia facile da seguire.