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Cassazione: esclusione dell'indennizzo in caso di incidente durante la pausa caffè

Luci
Ph. Anuar Arebi / Luci

Cassazione: no all’indennizzo per un rischio non legato al lavoro

Niente indennizzo alla lavoratrice che si fa male mentre sta andando o tornando dal bar per la pausa caffè; il rischio corso dalla dipendente di un ufficio giudiziario, infatti, in quanto risultato di «una scelta arbitraria» escluderebbe la possibilità di usufruire della copertura Inail per gli infortuni sul lavoro. Lo stabilisce una sentenza del 9 novembre con cui la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Inail contro un’impiegata della procura di Firenze alla quale era stata riconosciuta tutela assicurativa per essersi procurata un trauma al polso mentre, su autorizzazione del suo capo, lasciava l’ufficio al fine di recarsi al bar.

 

Cassazione: le motivazioni della decisione

La Cassazione accoglie dunque il ricorso dell’Inail che aveva invece perso i due precedenti gradi di giudizio. Sia il Tribunale sia la Corte d’Appello avevano, infatti, accolto il ricorso della lavoratrice. L’impiegata aveva ottenuto dall’Inail l’indennità di «malattia assoluta temporanea», oltre all’indennizzo per danno permanente del 10% dopo la caduta per strada avvenuta a luglio del 2010.

La decisione della Corte si basa sulla corretta interpretazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, secondo il quale l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro. A tal riguardo, è stato affermato che l'assicurazione infortuni, secondo l'intento del legislatore del 1965, non coprirebbe i cd. rischi generici, cui il lavoratore medesimo soggiace al pari di tutti gli altri cittadini, a prescindere cioè dall'esplicazione dell'attività lavorativa né ad apprestare una speciale tutela in favore del lavoratore per il solo fatto che al medesimo sia occorso, in attualità di lavoro, un qualsiasi evento che in qualche modo ne abbia leso l'integrità fisica o mentale.

L'indennizzabilità, si è detto, non consegue alla mera circostanza che l'infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa occorrendo, invece, come requisito essenziale, la sussistenza dell'anzidetto nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell'evento quanto l'esposizione a rischio dell'assicurato.

Il rischio può esser quanto meno "improprio" ma giammai "elettivo" scaturito cioè da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale, mosso da impulsi, e per soddisfare esigenze, personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente all'attività lavorativa, pur latamente intesa, con ciò stesso ponendo in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento.

Pertanto, non può essere ricondotta alla "occasione di lavoro" l'attività, non intrinsecamente lavorativa e non coincidente per modalità di tempo o di luogo con le prestazioni dovute che non sia richiesta dalle modalità di esecuzione imposte dal datore di lavoro o in ogni caso da circostanze di tempo e di luogo che prescindano dalla volontà di scelta del lavoratore.

Sulla scorta di tali principi, dunque, la Suprema Corte ha escluso l’indennizzabilità dell'infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell'ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè, posto che la lavoratrice, allontanandosi dall'ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente.