Lavoro digitale e organizzazione sindacale
Lavoro digitale: un rapporto asimmetrico
Le nuove asimmetrie di potere tra capitale e lavoro che si manifestano nel lavoro algoritmico sono al centro dell’analisi svolta dall’ INAPP nel suo ultimo Report dal titolo Lavoro e relazioni sindacali nella transizione digitale: sfide e opportunità.
La rivoluzione digitale in corso che, con l’avvento dell’intelligenza artificiale ha registrato un nuovo e sorprendente balzo in avanti, sembra infatti aver eroso, negli ultimi decenni, quel bilanciamento fra produttività e vantaggi per la collettività (in particolare per i lavoratori) che con la precedente regolazione socio-economica si era faticosamente riusciti ad ottenere.
Secondo l’INAPP tale erosione ha prodotto un’asimmetria a svantaggio dei lavoratori che si confrontano con processi di digitalizzazione che hanno radicalmente modificato l’organizzazione del lavoro, ridefinendone tempi, spazi e modalità.
La questione emerge molto chiaramente se si guarda ai lavoratori digitali che svolgono attività tramite piattaforme (food delivery, ride hailing, ecc.), di cui i rider sono diventati i più noti rappresentanti.
Le piattaforme digitali utilizzano algoritmi per distribuire il lavoro, monitorare le performance dei lavoratori e determinarne i guadagni; tuttavia, nonostante ‹‹la pretesa di oggettività tecnica e neutralità››, questa gestione algoritmica del lavoro è sempre ‹‹il frutto di scelte proprietarie e organizzative molto precise e mirate›› che puntano ad un controllo penetrante sulla prestazione di lavoro (nonostante la supposta autonomia dei lavoratori).
L’algoritmo, infatti, premia chi accetta rapidamente i task e li esegue con efficienza, spingendo i lavoratori ad essere quanto più performanti possibile per assicurarsi un guadagno decente. Ciò porta a correre rischi fisici e psicologici (stress) per rispettare i tempi richiesti dalle piattaforme: in questo modo il lavoratore è costretto, di fatto, a scegliere fra il rispetto delle scadenze imposte e la tutela della propria salute. Il tutto in una cornice fatta di condizioni di lavoro precarie e forme contrattuali che non assicurano le fondamentali tutele (malattia, ferie, previdenza, ecc.), tipicamente ancora pienamente riconosciute ai soli lavoratori dipendenti.
Così la facilitazione nell’accesso al mercato del lavoro (che indubbiamente le piattaforme digitali assicurano) viene pagata al caro prezzo di una sempre più diffusa precarizzazione del lavoro e di un preoccupante abbassamento della soglia delle tutele.
Rappresentanza e organizzazione della “nuova” working class
Il punto di equilibrio (o presunto tale) nel rapporto tra capitale e lavoro individuato nel secolo scorso (in era fordista) viene, così, messo pesantemente in discussione dai fenomeni di digitalizzazione del lavoro in corso.
È bene ricordare che quel punto di equilibrio è stato anche il punto di arrivo di un lungo percorso conflittuale che ha visto protagoniste forze politiche e sindacali che rappresentavano i lavoratori dell’epoca (in prevalenza operai).
Queste organizzazioni erano riuscite a radicarsi nella classe operaia anche grazie a condizioni ambientali favorevoli: gli operai si concentravano in grandi strutture manifatturiere, lavoravano al loro interno a contatto diretto e costituivano una collettività molto omogenea. Inoltre ‹‹in diversi Paesi […] vi era la presenza di governi riformisti, in prevalenza di ispirazione socialdemocratica, che funzionavano come una sponda istituzionale››.
Oggi l’esigenza di tutela dei lavoratori all’interno del rapporto di lavoro non è di certo venuta meno (anzi) ma, come evidenzia l’INAPP, il quadro si è decisamente complicato e, di conseguenza, anche l’organizzazione dei lavoratori è diventata più complessa.
La “vecchia” classe operaia si è ridimensionata nei numeri (anche a seguito della terziarizzazione dell’economia), mentre è andata crescendo sempre più una “nuova” working class costituita da lavoratori impiegati in attività perlopiù esecutive, germogliate ‹‹principalmente nei servizi a bassa produttività e in tanti 'lavoretti', generalmente poco tutelati e con salari inadeguati››.
Questa “nuova” classe operaia è piuttosto disomogenea (giovani, donne, migranti, ecc.) ed è, a differenza dell’altra, poco sindacalizzata e sottorappresentata: i lavoratori digitali, a cominciare dai rider, ne costituiscono (a torto o a ragione) il simbolo.
Sono dunque venute meno quelle condizioni favorevoli che, nel secolo scorso, avevano consentito la crescita ed il radicamento delle organizzazioni dei lavoratori: ‹‹le imprese sono fluide e sfuggenti, i lavoratori parcellizzati e dispersi, il processo produttivo spezzettato e difficile da ricomporre››.
Fra le tante ragioni che rendono oggi più complicata l’organizzazione e la rappresentanza, in particolare per i lavoratori delle piattaforme, preme sottolinearne alcune individuate nel Report:
§ l’assenza di luoghi fisici di lavoro (come fabbriche e uffici), che limita la socializzazione fra i lavoratori e la nascita di reti di solidarietà;
§ la competizione indotta dalle piattaforme (se si rifiuta un task sarà subito accettato da un altro), che fa percepire la cooperazione come meno vantaggiosa;
§ la diffusione di forme ibride di lavoro al confine tra autonomia e subordinazione; e ciò sia con riferimento al singolo rapporto di lavoro, sia con riferimento al possibile svolgimento di diverse attività per più piattaforme contemporaneamente, ma con differente inquadramento contrattuale (lavoro autonomo e dipendente).
Si tratta di elementi che ricostruiscono esperienze lavorative piuttosto estranee al consueto perimetro d’azione dei sindacati tradizionali, ancora (nonostante meritevoli sforzi) perlopiù coincidente col mondo del “classico” lavoro dipendente; d’altra parte organizzazioni storicamente e rigidamente strutturate (per categorie e territorio) attorno ai settori industriali/economici tradizionali non possono che far fatica ad intercettare le esigenze di tutela di questa nuova, disomogenea ed intercategoriale classe operaia moderna.
Digitalizzazione e diritti sindacali: strategie e prospettive future
Oltre all’analisi delle dinamiche emergenti, l’INAPP si pone anche l’obiettivo di proporre strumenti interpretativi e soluzioni di policy utili per affrontare contesti lavorativi sempre più digitalizzati, nel tentativo di bilanciare rapporti di lavoro che, come visto, presentano evidenti squilibri in danno dei lavoratori
Dal punto di vista sindacale, si legge nel Report, ‹‹appare evidente che per operare un’azione efficace di aggregazione e di rappresentanza sono necessarie due condizioni, che al momento sembrano entrambe deboli››:
1) il rapporto diretto con questi lavoratori per conoscerne domande ed aspettative, che non necessariamente coincidono con quelle dei lavoratori tradizionali;
2) un’operazione di sintesi tra i diversi gruppi e i problemi emergenti che, tramite un’intermediazione intelligente, si traduca in un percorso largamente fondato sulla contrattazione collettiva, oltre che sull’influenza nei confronti delle istituzioni pubbliche.
In merito al primo punto è utile ricordare recenti e valide esperienze che potrebbero segnare il percorso da seguire. Si pensi alle strutture messe a disposizione di rider e driver in alcune città italiane (Firenze, Bologna, Roma, Bari, ecc.): una sorta di rifugi urbani dove poter ricaricare il proprio telefonino, utilizzare dei servizi igienici, ripararsi in caso di condizioni meteo avverse, effettuare piccole riparazioni dei mezzi; ma anche luoghi di incontro e condivisione per una categoria di lavoratori che soffre la mancanza di luoghi di socializzazione.
Anche in merito al secondo punto è utile guardare alle esperienze contrattuali già sul terreno. La prima è l’accordo sottoscritto qualche anno fa da Assodelivery e Ugl: un contratto controverso e contestato che considera i rider lavoratori autonomi; la seconda è l’accordo integrativo aziendale siglato il 29 marzo 2021 con Just Eat, che inquadra i rider come lavoratori subordinati all’interno del Ccnl Logistica, Trasporto Merci e Spedizione.
Due esperienze sicuramente diverse negli esiti, ma che riconoscono entrambe nella contrattazione collettiva uno strumento utilizzabile anche al di fuori del mondo del lavoro “classico”, nel più vasto universo lavorativo della nuova working class.
D’altra parte, si legge nel Report, ‹‹un aspetto centrale della discussione sulla rappresentanza e sulle rivendicazioni per il lavoro piattaformizzato è la mancanza di riconoscimento per tale tipologia di lavoratori››. Difatti, nonostante il carattere flessibile e autonomo dell’attività, i lavoratori sono fortemente dipendenti dalle piattaforme e ‹‹la precarietà delle loro condizioni lavorative rende consapevoli i lavoratori di una necessaria estensione delle tutele, con poca attenzione verso la forma classificatoria››.
Proprio nel senso di un’estensione delle tutele si è mossa l’UE con la Direttiva 2024/2831 relativa al miglioramento delle condizioni nel lavoro mediante piattaforme digitali, che introduce una presunzione di lavoro dipendente per quanti lavorano con le piattaforme e riversa l’onere della prova contraria sui titolari delle piattaforme stesse.
D’altra parte, secondo l’INAPP, ‹‹il futuro del lavoro digitale richiederà un equilibrio tra flessibilità e protezione, garantendo che i benefici della tecnologia non vengano ottenuti a scapito del benessere dei lavoratori›› e ciò imporrà soluzioni nuove e decisi cambi di paradigma.
La sola dimensione collettiva e negoziale del lavoro dipendente, su cui sembra ancora incentrato il sistema delle relazioni industriali, non pare più aderente alla mutata realtà del lavoro. Quest’ultima sembrerebbe imporre, invece, il passaggio ad un sistema di relazioni “professionali” all’interno delle quali trovino pieno diritto di cittadinanza ‹‹dinamiche di regolazione, rappresentanza e tutela che interessano anche il lavoro autonomo, le professioni intellettuali, le forme di lavoro ibrido e le piattaforme digitali››.