Il diritto di sciopero e le varie forme di protesta: il confine tra lecito ed illecito

sciopero
sciopero

Il diritto di sciopero e le varie forme di protesta: il confine tra lecito ed illecito

Con diritto di sciopero si intende l’astensione collettiva dal lavoro ed ha la finalità, per i lavoratori, di rivendicare i propri diritti e avanzare delle pretese, sia nei confronti del proprio datore di lavoro, sia nei confronti dello Stato, che deve riequilibrare il rapporto di lavoro, per natura squilibrato a favore del datore.

Lo sciopero è quindi un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 40 della Costituzione, ma in molti casi si è rappresentata l’esigenza di effettuare un bilanciamento con altri principi costituzionalmente protetti, ad esempio la libertà personale o l’incolumità di soggetti terzi.

Da sempre, infatti, ci sono state delle forme di protesta considerate al limite tra lecito ed illecito, tra cui il picchettaggio, che consiste nell’azione di presidio dei lavoratori davanti l’ingresso dei luoghi di lavoro, che potrebbe integrare  il reato di violenza privata ( 610 c.p.)[1].

Il picchettaggio “persuasivo”  è considerato libera manifestazione del pensiero se non improntato a violenza o minaccia nei confronti dei lavoratori che non aderiscono allo sciopero ma, laddove la condotta realizzata impedisce il libero movimento del soggetto passivo ponendolo nell’alternativa di non muoversi o muoversi con il pericolo di menomare l’integrità di se stesso o soggetti terzi, ai sensi della giurisprudenza, si integrerebbe l’elemento della violenza[2].

La Corte di Cassazione si era pronunciata in tal senso affermando che: “l'esercizio del diritto di sciopero comporta la legittimità, nell'ambito di quelle azioni sussidiarie che sono ritenute necessarie per la riuscita dell'astensione dal lavoro, dell'opera di propaganda e persuasione verso gli incerti e i dissidenti, che peraltro siano disposti ad essere informati sui motivi che inducono il lavoratore ad astenersi dal lavoro, purché con le suddette azioni non siano poste in essere modalità lesive di altri interessi primari penalmente tutelati, tali da integrare l'ipotesi criminosa della violenza privata. Si è fuori, infatti, in tali casi dall'ambito dell'esercizio legittimo del diritto di sciopero, venendosi a ledere diritti ed interessi di altri soggetti che, a loro volta, trovano protezione in fondamentali principi costituzionali, come il diritto di coloro che non intendono scioperare di non vedersi costretti, mediante costrizione fisica o morale, ad interrompere il proprio lavoro o comunque ad aderire contro la propria volontà allo sciopero.[3]

Pertanto, il delitto di violenza privata punisce chiunque con violenza o minaccia costringe taluno a fare od omettere qualcosa; in caso di protesta volta a impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa o la circolazione in una determinata strada, sarebbe in astratto configurabile il reato di cui all’art. 610 c.p. perché, nel bilanciamento tra interessi ugualmente tutelati, bisogna, per la giurisprudenza della Corte di Cassazione, non violare l’integrità fisica e morale dei terzi.

Data la possibilità che forme di protesta potessero esplicarsi mediante l’attuazione di blocchi stradali, già dal 1948 il legislatore non ha lasciato la loro disciplina solamente all’astratta  configurabilità del reato di violenza privata ma ha disciplinato, tramite l’art.1- bis del d. lgs n. 66 del 22.1.1948, anche la condotta di colui che impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, anche solamente ostruendola con il proprio corpo.

In un secondo momento si è realizzata una  parziale depenalizzazione in materia di blocco stradale dal d. lgs n 507 del 30 dicembre 1999, che ha attuato una riforma del sistema sanzionatorio in materia di circolazione stradale e si è considerato reato la condotta di colui che “al fine di impedire o ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ferrata” o di colui che “al fine di ostacolare la libera  navigazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti in qualsiasi zona portuale o nelle acque dei fiumi, canali o laghi o comunque le ostruisce o le ingombra”. Se lo stesso comportamento avviene in una strada ordinaria oppure in una strada ferrata ma senza il deposito di oggetti rileverà come illecito amministrativo. In questo modo per le condotte considerate maggiormente offensive la sanzione sarebbe stata penale, altrimenti amministrativa.

A seguito della riforma, la condotta di manifestanti che in corteo occupavano fisicamente le vie di comunicazione  ha costituito un illecito amministrativo, a meno che, come affermava la clausola di riserva, il fatto non avesse costituito un reato più grave[4].

Il decreto legge 113/2018 ha reintrodotto, infine, il reato di blocco stradale e se il fatto è commesso da più persone, è punito con la reclusione da 2 a 12 anni. Ad oggi, la legge 132/2018 ( legge di conversione del d.l. 113/2018) sanziona come reato di blocco stradale la condotta di chi  depone congegni ed oggetti su strada o di chi ostruisce ed ingombra una strada ordinaria o ferrata in qualsiasi modo, prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni, raddoppiati se il fatto è commesso da più persone. Lasciando ritenere che con la  nozione di “ostruzione” ed “ingombro”,  si faccia riferimento altresì alla condotta dei manifestanti che con il proprio corpo occupano una strada.

Le forme di protesta esplicantesi nell’ambito del diritto di sciopero, il più delle volte, si manifestano su strada pubblica, anche con la forma del sit- in, che si realizza posizionandosi sul terreno occupandolo  con il proprio corpo “ da seduto”, condotta che rientrerebbe nell’ambito di applicazione del reato di blocco stradale. A tal proposito, nell’ambito di una controversia sollevata davanti al Giudice di Pace[5] , quest’ultimo ha tuttavia affermato: “è noto come il Decreto Legge 113/18 (c.d. Decreto Sicurezza) abbia reintrodotto il reato di blocco stradale, ed introdotto altresì l'ipotesi più lieve di cui all'art. 1 bis Decreto Legge 66/48, che sanziona chi mediante “l'ingombro” del proprio corpo ostacola la libera circolazione stradale. La norma è inserita in un contesto più grave che tutela la libera circolazione ferroviaria e di navigazione, e che in tale tutela trova la prova ratio ed il proprio orientamento teleologico. Risulta di tutta evidenza come tale previsione normativa non possa incidere sull'esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, quali, come nella presente fattispecie, l'esercizio del diritto di sciopero di cui all'art. 40 Costituzione, ed il diritto di manifestare.”  

Nel caso di specie, il ricorrente partecipava ad una manifestazione, regolarmente indetta dal sindacato, senza condotte violente o impeditive della sfera di libertà altrui e la Giudice di Pace ha ritenuto che tale esercizio legittimo del proprio diritto allo sciopero e tale partecipazione non avesse comportato nessun ostacolo alla libera circolazione e ha dichiarato che tale diritto risulta tutelato da una norma costituzionale di rango superiore e preminente. Ed ancora: “La manifestazione determina fisiologicamente l'ingombro con il proprio corpo, e come è ben noto il diritto allo sciopero viene esercitato tramite diverse attività, delle quali la più “classica” e risalente consiste nel c.d. “picchettaggio” all'ingresso della azienda, nell'ambito del quale ben può ricadere la effettuazione di un “sit in” . Discende che la violazione contestata non sussiste né si è verificata, altrimenti, a contrario, si dovrebbe ritenere che le manifestazioni costituzionalmente garantite possano essere inibite o limitate dalla tutela, anche se necessaria ma di rango inferiore, della libera circolazione sulle strade (...)”.

La Giudice di Pace ha effettuato una valutazione del diritto di sciopero come diritto preminente rispetto a quello della libera circolazione, andando a considerare anche la forma di protesta del “picchettaggio” come legittima, perché rientrante nelle forme di sciopero costituzionalmente garantite e che non è possibile limitare dalla norma che sanziona il blocco stradale.

Durante la vigenza del decreto lgs 66/1948, in diverse occasioni, invece, il giudicante aveva  ritenuto che si potesse configurare il reato di blocco stradale anche se l’occupazione della strada fosse solo un mezzo per raggiungere la finalità di rendere maggiormente visibile una protesta; il reato prevedeva, infatti, l’elemento soggettivo della coscienza e volontà di impedire la libera circolazione. Tale elemento si sarebbe configurato  anche nel caso in cui l’agente avesse concepito la limitazione dell’altrui libertà fatto meramente strumentale per il raggiungimento di fini ulteriori[6]. La Suprema Corte ha considerato, infatti, irrilevante il movente dell’agente[7].

In merito al reato di blocco stradale vengono alla luce diverse considerazioni: in primo luogo, oggi la legge 132/2018 prevede una pena molto elevata per il reato di blocco stradale( da 2 a 12 anni se il fatto è commesso da più persone), di gran lunga più elevata rispetto alla pena prevista dall’art. 610 c.p. ( reclusione fino a quattro anni), ed emerge la sproporzione della pena che va a contrastare anche con l’art. 27 della Costituzione e con la finalità rieducativa della pena; se la sanzione penale risulta manifestamente eccessiva si ravvisa, infatti, una palese sproporzione del sacrificio della libertà personale.

Se osserviamo le pene previste per altri delitti contro la persona, disciplinati dal codice penale, come ad esempio l’art 609 c.p., che disciplina la violenza sessuale, la pena edittale massima è dodici anni, uguale al caso di blocco stradale compiuto da più persone. Allora appare dubbio il rispetto del principio di proporzionalità su cui si fonda il nostro sistema penale, che sancisce che la pena debba essere proporzionale al fatto commesso.

Inoltre, se analizziamo gli elementi costituitivi del reato di blocco stradale e di violenza privata notiamo come nel caso di blocco stradale non c’è riferimento all’impedimento della libera circolazione con gli elementi costitutivi della violenza e minaccia, che invece rilevano nel caso di violenza privata; conseguentemente, sembrerebbe contraddittorio che, pur non prevedendo gli elementi di violenza e minaccia, il reato di blocco stradale sia punito ancora più gravemente rispetto alla violenza privata.

Nel caso del diritto di sciopero, altra norma  che viene ad essere presa in considerazione è l’art. 340 c.p. . che punisce chi, fuori dai casi previsti dalla legge, cagiona un’interruzione o turba la regolarità di un ufficio e servizio pubblico o di pubblica necessità e viene aumentata la reclusione da uno a due anni nel caso in cui la condotta si consuma nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.

Rapportando l’art. 340 c.p. con il vecchio art. 1 del d.lgs del 1948, quest’ultimo per la consumazione del reato non prevedeva  necessariamente un impedimento assoluto alla circolazione, ma questa doveva essere resa solamente più difficile o non agevole, indipendentemente che l’obiettivo dell’ostacolo alla circolazione fosse realizzato oppure no. Si riferiva, quindi a qualsiasi ostacolo oggettivo della sede stradale. L’art. 1 configurava così un reato di pericolo, essendo sufficiente la probabilità di impedimento o ostacolo alla libera circolazione.

Inoltre, il blocco stradale non era un reato a forma vincolata, essendo sufficiente la presenza di un insieme di soggetti diretta ed idonea ad attentare la libertà di circolazione e richiedeva come elemento soggettivo il dolo specifico di impedire od ostacolare la circolazione, a differenza dell’art. 340 c.p. che richiede il dolo generico; l’interruzione di un pubblico servizio, infatti, è un reato di danno e protegge l’ordinato svolgimento di un ufficio o servizio pubblico, riguardando una compromissione apprezzabile anche se temporanea di un settore dell’attività pubblica e punisce la condotta che si inframette, con apprezzabile idoneità di disturbo, nel regolare svolgimento dell’ufficio[8].

Tenuto conto dell’integrazione, in astratto, di diverse tipologie di reati nel caso dell’attuazione di alcune forme di protesta, bisogna  analizzare la possibilità, nel caso di esercizio del diritto di sciopero, della configurabilità della causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p. ( esercizio di un diritto)[9]. La Corte di Cassazione ha affermato che l’esercizio del diritto di sciopero se travalica e lede altri diritti fondamentali non può più essere considerato legittimo, escludendo l’applicazione dell’esimente[10]. Anche con sentenza n.21228 del 07.02.2001 ha ritenuto ravvisabile il delitto di violenza privata, nella condotta di colui che insieme ad ingombrare od ostruire una strada assumi comportamenti intimidatori nei confronti della persona offesa. Anche la Corte Costituzionale ha affermato che la lesione di posizioni giuridiche prioritarie rispetto al diritto di sciopero si traduce in una violazione dei suoi limiti esterni, cioè quei limiti che nascono dal contemperamento con altri principi costituzionalmente garantiti[11]. Da ciò rileva che il diritto di sciopero non può considerarsi illimitato[12].

L’esercizio di un diritto si basa sulla ratio che l’ordinamento non può punire le attività che autorizza, ma presenta dei limiti, che possono essere interni, ovvero quelli riguardo la funzione dello sciopero (non è considerato diritto lo sciopero volto a sovvertire l’ordine costituito, essendo lontano dalla finalità dello sciopero stesso, ossia l’astensione collettiva dei lavoratori per le proprie rivendicazioni). Limiti esterni possono essere di altra natura ( diritto alla vita, diritto all’ incolumità fisica).

Lo sciopero è tendenzialmente uno strumento volto a creare dei disagi, che potrebbero anche oltrepassare il mero arresto dell’attività produttiva, ma se esercitato nel rispetto dell’integrità e dell’incolumità dell’altra persona, dovrebbe essere considerato interesse prioritario.

Sarebbe necessario valutare le diverse situazioni: nel caso di picchettaggio svolto senza violenza  fisica nei confronti dei lavoratori, il diritto di sciopero, essendo diritto alla rivendicazione dei propri diritti, dovrebbe forse essere considerato preminente. Nel caso di blocco stradale svolto in occasione dello sciopero, in un’ ottica di depenalizzazione e di diritto penale come extrema ratio, si potrebbe affermare che la norma prevista dalla legge 132/2018 non va ad aggiungere nulla se non un trattamento sanzionatorio più pesante e  sproporzionato rispetto all’offesa recata al bene giuridico.

Bisognerebbe forse lasciare l’applicazione delle sanzioni penali, nel caso di violenza o minaccia alla persona, alle norme già previste dal nostro ordinamento giuridico.

Necessario considerare anche la possibilità di applicare l’art. 392 c.p. e 393 c.p. che riguardano l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose o persone. La Corte di Cassazione[13] riguardo all’art. 393 c.p. pone l’attenzione sull’elemento soggettivo ovvero, al di là dell’avere effettivamente diritto, sulla coscienza di essere titolare di una situazione giuridica soggettiva da poter far valere, in astratto, dinanzi al giudice. In caso di esercizio di diritto di sciopero, in particolar modo in caso di rivendicazioni da parte dei lavoratori nei confronti del proprio datore di lavoro, bisognerebbe vagliare la possibilità della configurazione del reato di cui agli artt. 392 o 393 a seconda della condotta consumata, piuttosto che del reato di violenza privata.

Nel caso di blocco stradale non legato alla manifestazione del diritto di sciopero si potrebbe, invece, ricorrere all’art. 610 c.p., omettendo il comportamento di chi ostruisce la strada, la libera circolazione (sempre se svolto con violenza o minaccia).

La proliferazione di leggi speciali, in materie più disparate, ha comportato l’utilizzo del diritto penale come strumento maggiormente utilizzato, laddove si sarebbero potute utilizzare altre aree del diritto (amministrativo o civile), e ha comportato un allontanamento dal principio del diritto penale come extrema ratio; anzi talvolta è sembrato che il ricorso ad esso quasi avesse una finalità dimostrativa e di repressione piuttosto che di effettiva necessità. Il blocco stradale, se commesso senza violenza, comporta sicuramente dei disagi e per questo deve essere regolamentato, per tutelare la libertà di tutti i cittadini, ma sembra lecito chiedersi se la previsione di una sanzione così pesante ( soprattutto se il blocco è dovuto a motivi di protesta) possa essere davvero utile se rapportato alla finalità rieducativa della pena.  

Tenuto conto del labile confine tra lecito ed illecito in materia di diritto di sciopero, non è sempre semplice il bilanciamento di interessi contrapposti e costituzionalmente tutelati ma, nella disciplina delle forme di protesta, risultano evidenti le perplessità in merito all’introduzione di nuove fattispecie penali in materia.

 

Note:

[1] Simona Paola Bracchi, Noterella in tema di diritto allo sciopero. Riflessioni sul cosiddetto “sit-in” e violazione delle norme che assicurano la libera circolazione sulle strade ordinarie, in Judicium, Pacini Giuridica.

[2] Cass. Pen., sez. V, sentenza 15 ottobre 2008-5 novembre 2008, n. 41311, CED 242328.

[3] Cass. Pen., sez. V, sentenza 25 gennaio 1978-18 aprile 1978, n. 4544, CPMA 80, 111.

[4] de Gioia Valerio, Attuata la depenalizzazione dei reati minori e la riforma del sistema sanzionatorio- Commento, in Diritto Penale e Processo,3, 1 marzo 2000, 312.

[5] [5] il Giudice di Pace, dott.ssa Serenella Monachesi, ha emesso sette sentenze nelle cause di opposizione, ex artt. 22 e 23 Legge n. 689/81 e succ. mod., avverso l'ordinanza della Prefettura di Fermo per la violazione di cui all'art. 1-bis Decreto Legislativo 22 novembre 1948, n. 66, come modificato dal Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, accogliendo il ricorso, annullando il provvedimento impugnato e revocando la sanzione amministrativa applicata (con compensazione delle spese di opposizione)

[6] Naronte Giampaolo, Note sulla configurabilità del dolo specifico nel delitto di blocco stradale, GI, 7, 1 luglio1996, 1280.

[7] Cass, 31 ottobre 1986, Pret. Velletri, in Riv. Pen.1987, 977.

[8] [Nota sulla linea di demarcazione fra il delitto dell’art. 340 c. p. e quello (ora depenalizzato) dell’art. 1 D. Lgs. 22 gennaio 1948, n. 66] Giurisprudenza Italiana, n. 2, 1 febbraio 2003, p. PAG 511.

[9] Tribunale di Verona, 8.11.1993

[10] Cass., Sez. VI, 27 novembre 1998, Magnanelli, in C.E.D. Cass., n. 214755.

[11] Nota sull’esclusione dell’operatività della scriminante del diritto di sciopero nel caso del reato di blocco stradale, GI, 4,1 aprile 1997, 1243.

[12] Cass. Pen.18.12.1978 in dejure.it

[13] Cass, sent.29541/2020, in www.italgiure.it