Lavoro: il datore di lavoro e l’omessa comunicazione in caso di licenziamento collettivo
Lavoro: il datore di lavoro e l’omessa comunicazione in caso di licenziamento collettivo
Abstract:
Nella materia dei licenziamenti collettivi entrano in gioco interessi contrapposti che l’ordinamento ha sempre cercato di bilanciare. Se da un lato la scelta del datore di lavoro è libera, dall’altro si deve tenere conto degli interessi pubblici e dell’interesse dei lavoratori di mantenere la propria occupazione. Sia l’ordinamento europeo che nazionale ha, allora, previsto dei vincoli procedimentali, che consistono nell’informazione e consultazione dei sindacati, che rappresentano gli interessi dei lavoratori. Di recente, a seguito dell’avvio di diverse procedure di licenziamento collettivo e della cessazione dell’attività produttiva in varie aziende si è posto in primo luogo il problema dell’osservanza degli obblighi procedurali da parte del datore di lavoro e delle eventuali conseguenze in caso di violazione dei suddetti. Ruolo fondamentale, in tale contesto, è stato quello della giurisprudenza nonostante sia emersa l’evidente necessità di un disegno compiuto in materia, per evitare che sia il solo art. 28 Statuto dei Lavoratori a prevedere tutela in situazioni di tal genere.
Nel tempo, il denominatore comune tra le varie norme nazionali ed europee emanate in materia di licenziamento collettivo – la tutela dei lavoratori – si è giocato sul piano del controllo e della partecipazione delle rappresentanze dei lavoratori. Già nel passaggio dalla disciplina interconfederale a quella legislativa si realizza un salto di qualità nel rapporto tra rappresentanze sindacali ed imprenditori e si è passati dal “conflitto alla partecipazione”[1].
Ma è soprattutto con l’influenza europea e già con la direttiva 75/129/CE che il legislatore nazionale ha dovuto rafforzare il controllo sindacale per prevedere garanzie per i lavoratori ed evitare situazioni che potessero ledere la concorrenza tra i vari Stati Membri.
Il fulcro delle tecniche di tutela ha sempre riguardato la procedimentalizzazione dei poteri dell’imprenditore. Essa <<è stata in qualche misura la via attraverso la quale il nostro ordinamento si è aperto, più o meno coscientemente, alla sottile penetrazione dei valori partecipativi>>[2].
La legge 223/91 opera una “centralizzazione” del ruolo del controllo del sindacato in relazione alle scelte datoriali, grazie alla procedura di informazione e consultazione scandita nelle forme, tempi e contenuti minimi essenziali. Dottrina e giurisprudenza, infatti, hanno lasciato confluire e dissolvere nel controllo giudiziale degli adempimenti procedurali il controllo causale e di complessiva legittimità dell’operazione di riduzione di personale. La forte accentuazione del ruolo garantistico del procedimento e l’affievolimento dei profili causali, hanno trasformato l’adempimento degli obblighi procedurali in requisito – pressocché esclusivo – di validità dei licenziamenti collettivi[3].
L’avvio della procedura di mobilità è formalmente individuato nella comunicazione preventiva di cui all’art.4 co 2 della legge n.223/91. E’ un atto formale scritto, con cui il vertice aziendale porta a conoscenza delle rappresentanze sindacali l’intenzione di licenziare un certo numero di dipendenti o la necessità di far fronte a un problema organizzativo-gestionale connesso ad un’eccedenza di personale per cui si chiede la collaborazione della controparte.
La comunicazione è rivolta ai soggetti sindacali, in particolar modo alle associazioni di categoria. In mancanza, le confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, il cui coinvolgimento è residuale. Secondo parte di dottrina e giurisprudenza, la comunicazione va fornita oltre che alle rsu anche alle rsa, se esistenti[4].
La comunicazione riguarda dati precisi, individuati nel comma 3 dell’art.4, tra cui i motivi dell’eccedenza e dell’intenzione di licenziare, le caratteristiche quantitative e professionali del personale in esubero, i tempi di attuazione del programma di mobilità. Le rappresentanze sindacali devono, cioè, conoscere il problema organizzativo.
L’obbligo di informare in maniera compiuta le rappresentanze incontra il limite della tutela della riservatezza dell’azienda e giungere al giusto bilanciamento non è semplice. Si può sostenere che la comunicazione aziendale debba permettere di stabilire un nesso di causalità tra l’esigenza gestionale denunciata dall’impresa e il licenziamento collettivo, per consentire un vaglio consapevole sulla necessità di quest’ultimo ma, in linea di massima, <<l’impresa non dovrebbe essere tenuta a svelare, nei dettagli, tecniche innovative circa l’organizzazione e l’attività produttiva, tali da poter essere utilizzate dalla concorrenza[5]>>; tuttavia, se quei dati potrebbero essere utili alla ricerca delle soluzioni delle eccedenze, allora si potrebbe ritenere che quel diritto possa cedere e che la tutela della riservatezza diventi una responsabilità del sindacato.
L’orientamento prevalente sostiene che le informazioni somministrate debbano essere precise e dettagliate e non generiche e senza oggettività e certezza, censurando l’utilizzo di “formule stereotipate”. Nello stesso tempo, l’azienda deve evitare che la precisione eccessiva porti ad un’anticipata individuazione dei dipendenti da licenziare con violazione dell’art.5 sui criteri di scelta[6].
L’inottemperanza degli obblighi di comunicazione iniziale è considerata dalla giurisprudenza maggioritaria come inadempimento essenziale, poiché <<l’inosservanza della procedura collettiva incide sullo stesso potere dell’imprenditore di ridurre il personale in modo da causare l’inefficacia dei singoli licenziamenti, tale inefficacia ben potendo esser fatta valere da ciascun lavoratore interessato (…)[7]>>.
La Cassazione, con sentenza 5 giugno 2003 n.8998[8], sposta l’attenzione sulla fase successiva alla comunicazione e sugli accordi raggiunti con il sindacato che costituiscono surrogato e prova dell’informativa di avvio della procedura, nel senso che le notizie al sindacato possono essere fornite anche in sede di trattative. La stipulazione di un accordo implica il confronto sui dati offerti al sindacato, che altrimenti non avrebbe trattato e ratificato l’operazione di riduzione del personale.
Il rispetto della procedura è requisito di validità del licenziamento a garanzia del lavoratore, ma si richiede una prova che il vizio abbia inciso sulla trattativa, non avendo consentito una piena congiunzione dei dati da parte del sindacato[9].
La norma intende, quindi, realizzare l’interesse alla partecipazione sindacale e soltanto attraverso quest’ultima, l’interesse individuale alla conservazione del posto di lavoro. Se da un lato, il legislatore ha inteso tutelare il singolo lavoratore attribuendogli un diritto di azione autonomo, dall’altro lato, laddove venisse data prevalenza alla posizione del singolo lavoratore rispetto ai sindacati, l’assetto di equilibri raggiunto nell’accordo potrebbe rischiare di essere inficiato anche in presenza di mere irregolarità formali[10].
La comunicazione iniziale deve indicare i motivi che determinano l’eccedenza di personale, ossia le ragioni che hanno determinato la riduzione o trasformazione dell’attività o lavoro. Il datore deve riferirsi alle condizioni cui versa l’impresa nel momento in cui instaura la procedura. In questo modo le organizzazioni sindacali hanno la possibilità di controllare l’effettività e l’attualità delle esigenze aziendali, il nesso tra queste e i lavoratori da licenziare e la possibilità di una diversa utilizzazione del personale eccedente. Si presuppone <<un ben preciso piano strategico-aziendale, che contempli appropriati motivi tecnico-organizzativi e produttivi sottesi alla decisione, nel tentativo di una razionale ed adattiva cooperazione[11]>>. La giurisprudenza di merito ha ritenuto sufficiente che la comunicazione iniziale contenga un progetto di massima anche se nel corso della procedura subisce radicali cambiamenti. Non è ipotizzabile, tuttavia, un obbligo datoriale di indicare tutti i rimedi alternativi “astrattamente” idonei, perché questi non si riferiscono alla situazione della singola azienda e, quindi, deve ritenersi sufficiente esporre i motivi per cui, nel preciso contesto aziendale, non sono più praticabili le misure a cui di solito si ricorre per evitare la dichiarazione di esubero del personale. È la fase della consultazione sindacale a prendere in esame tutte le soluzioni praticabili.
Per l’indicazione del numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale non è sufficiente l’indicazione della categoria e qualifica ma devono essere indicate anche le mansioni svolte e l’inquadramento contrattuale. Non si devono indicare i nominativi o i criteri di scelta, considerando che il datore non può sceglierli unilateralmente.
Deve indicare, però, le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze del licenziamento sul piano sociale.
I motivi economici alla base delle scelte imprenditoriali — irrilevanti sotto il profilo delle giustificazioni di tali scelte — sono oggetto specifico dell’obbligo di informazione; in questo modo, la scelta in sé libera diventa suscettibile di essere condizionata dal confronto sindacale nei propri esiti finali, in particolar modo dal concreto assestarsi dei “rapporti di forza, delle reciproche convenienze ed interessi che si muovono su un piano antecedente ed esterno alla causa del recesso[12]”.
Le problematiche che maggiormente sono emerse dalla disciplina legislativa in materia di obblighi procedurali, e in particolar modo in merito alla comunicazione iniziale, hanno riguardato soprattutto l’eventuale violazione dei suddetti. In tal senso si è pronunciata più volte la giurisprudenza.
È opportuno, quindi, proseguire la trattazione analizzando nello specifico i casi in cui le prescrizioni sul punto non vengono puntualmente rispettate.
Per quanto riguarda la procedura di mobilità, la posizione del prestatore di lavoro si caratterizza per la carenza del profilo attivo tipico del diritto soggettivo. In dottrina si è ritenuto che la posizione del datore non integra un obbligo nei confronti del prestatore di lavoro, a cui la norma non garantisce un potere di azione per soddisfare una pretesa a che siano fornite le informazioni al sindacato.
Si potrebbe infatti sostenere che il datore di lavoro ha la posizione di chi, per conseguire un risultato a lui favorevole, è tenuto a conformare la sua condotta a delle specifiche regole giuridiche. Si tratta di un onere, situazione soggettiva la cui caratteristica risiede nell’imposizione di un comportamento che il soggetto deve tenere per esercitare un potere e soddisfare un suo interesse. In mancanza di quel comportamento ci sarà il mancato conseguimento del risultato utile che il soggetto si era prefisso; in questo caso sarebbe l’inefficacia dell’atto di recesso intimato senza l’osservanza delle procedure di informazione ed esame[13]. Dal lato passivo, il sindacato ha un pieno diritto all’informazione e allo svolgimento dell’esame; diritto tutelabile attraverso lo strumento giudiziario dell’art.28 Statuto dei Lavoratori.
L’art.28 dello Statuto dei Lavoratori si occupa della tutela delle condotte antisindacali e potrebbe essere opportuno richiamarlo in questa materia per sottolineare la rilevanza assegnata all’interesse collettivo all’interno della procedura di mobilità. La violazione degli obblighi di informazione ed esame nelle procedure di mobilità può, infatti, integrare i presupposti di una condotta antisindacale ex art.28.
Nel caso della violazione delle procedure sindacali, alcuni ritengono possibile attivare la tutela collettiva di cui all’art.28 dello Statuto, con eventuali effetti demolitori degli atti di recesso, consentendo un avvicinamento con la “tutela reale” piuttosto che “obbligatoria”[14].
L’art.28 dello Statuto dei Lavoratori si occupa della situazione in cui il datore di lavoro pone in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale e del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse. Con decreto, viene imposto al datore di lavoro la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. In questo caso, il comportamento illegittimo non è individuato in base alle sue caratteristiche strutturali, ma per la sua idoneità a ledere “beni” protetti. Il comportamento datoriale, per essere qualificato come antisindacale, deve ledere oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario uno specifico intento lesivo da parte del datore. Il giudice deve accertare l’oggettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l’effetto che l’art.28 intende impedire. Requisito necessario risulta essere l’attualità della presunta condotta antisindacale o il perdurare dei suoi effetti, per consentire al giudice di valutarne la portata e, eventualmente, di pronunciarsi in favore della cessazione della condotta illegittima[15].
Il riferimento all’art.28 dello Statuto dei Lavoratori è stato utilizzato dalla giurisprudenza anche di recente. Il Tribunale di Firenze[16], con sentenza del 20/09/2021 n.1685, ha dichiarato fondata la domanda avanzata dal sindacato per condotte antisindacali. Nel caso di specie, infatti, risultava pacifico che il sindacato avesse avuto notizia della volontà dell’azienda di cessare definitivamente l’attività produttiva - con conseguente cessazione di tutti i contratti di lavoro - solo a seguito della recezione della lettera di avvio della procedura di licenziamento collettivo.
Il sindacato assumeva che il datore avrebbe così violato gli obblighi di informazione, mentre la parte datoriale replicava di aver tempestivamente comunicato al sindacato la propria decisione di cessare l’attività, negando alcun obbligo informativo sul processo formativo e sull’analisi della decisione stessa.
La sentenza ricorda che l’art.9 del CCNL prevede che le Direzioni delle aziende che occupano almeno 50 dipendenti devono fornire annualmente alle Rappresentanze Sindacali Unitarie e Organizzazioni sindacali territoriali dei sindacati informazioni sulla situazione, struttura e andamento prevedibile dell’occupazione e le eventuali misure di contrasto nel caso di rischio per i livelli occupazionali e, nel corso di un apposito incontro, informazioni sulle modifiche del sistema produttivo che investono in modo decisivo le tecnologie adottate o l’organizzazione complessiva del lavoro, il tipo di produzione in atto e che influiscono sull’occupazione e sulle operazioni di decentramento permanente, al di fuori dello stabilimento, di fasi importanti dell’attività produttiva. È necessario anche rispettare la legge n.223/91 sulla procedura di informazione e consultazione.
Già a partire dalla norma contrattuale è evidente che le informazioni a cui è tenuto il datore di lavoro non si limitano alla comunicazione della decisione assunta, ma devono estendersi alla fase di formazione della decisione stessa. La parte datoriale deve condividere non solo una serie di dati - l’andamento prevedibile dell’occupazione, le previsioni di rischio per i livelli occupazionali - ma anche ogni valutazione effettuata in merito ai suddetti.
Nel caso specifico, inoltre, l’obbligo di informare il sindacato sull’esistenza di condizioni che inducano l’azienda ad effettuare i licenziamenti risulta dall’accordo stipulato dalla convenuta, la multinazionale GKN, con la parte sindacale, in cui si era impegnata al confronto con la rsu in caso di mutamento delle attuali condizioni di mercato. La GKN si era, quindi, impegnata ad effettuare le proprie scelte solamente dopo aver adeguatamente informato il sindacato, per consentire a quest’ultimo di esercitare al meglio le proprie funzioni, tra cui quella di condizionare le future determinazioni e scelte gestionali dell’azienda. Il Tribunale conclude affermando la violazione degli obblighi di informazione da parte della multinazionale.
La lettera di apertura al procedimento, di cui all’art.24 della legge 223/91, dimostra che la decisione di chiudere lo stabilimento è stata il risultato di una complessa analisi dato che <<le stime al ribasso dei volumi di vendita dell’unità produttiva di Campi Bisenzio avevano reso non conveniente il mantenimento della suddetta produzione>>. Nonostante ciò, al sindacato non era stata fornita alcuna informazione in merito al carattere allarmante dei dati relativi all’aziende e sulle conseguenti cadute occupazionali.
Anche se la GKN ha sostenuto la mancanza di un obbligo informativo in assenza di un’esplicita richiesta del sindacato, sia l’accordo sindacale sottoscritto con la rsu, sia lo svolgimento dei fatti dimostravano l’esistenza della richiesta da parte del sindacato. Questo è stato posto dinanzi al fatto compiuto ed è stato privato della facoltà di intervenire sull’iter di formazione della decisione imprenditoriale e ciò configura una evidente violazione dei suoi diritti.
Il Tribunale, senza mettere in dubbio la discrezionalità dell’imprenditore rispetto alla decisione di cessare l’attività di impresa, sottolinea il necessario rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede e del ruolo e prerogative del sindacato. Il Tribunale riscontra, peraltro, la sussistenza del “dolo antisindacale”, ossia della coscienza e volontà del datore di lavoro di realizzare suddetto comportamento. È, infatti, ravvisato un “precipuo intento di delegittimare il sindacato”.
La rimozione degli effetti implica l’obbligo per l’azienda di rinnovare correttamente l’informativa omessa e l’obbligo di revoca del procedimento ex art.24 della legge 223/91, iniziato sulla base di una decisione presa senza il confronto, non vincolante ma necessario, con il sindacato.
La consultazione e l’informazione sono, quindi, gli strumenti tramite cui il sindacato informa i propri affiliati e si confronta con il datore di lavoro. Nel caso che ha coinvolto la GKN è evidente che da un lato, ricorrono gli interessi alla produttività e competitività dell’azienda, dall’altro l’esigenza di tutela dei lavoratori e dell’occupazione grazie agli strumenti contrattuali esistenti che, in questo caso, non sono stati utilizzati. Il diritto all’informazione, in caso di modifiche sul sistema produttivo che possono avere effetti sull’organizzazione complessiva del lavoro o sul tipo di produzione in atto e sull’occupazione, era inoltre già indicato nel 1987 nel CCNL Metalmeccanici.
Il contratto collettivo a cui fa riferimento il Tribunale di Firenze recepisce alcuni provvedimenti legislativi: il d lgs 6 febbraio 2007, n.25 che attua la direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale sull’informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, il d lgs 22 giugno 2012, n.113 in attuazione della direttiva 2009/38/CE sull’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di impresa in ambito europeo. Questi provvedimenti pongono regole e obiettivi in riferimento alle relazioni sindacali in un quadro generale di leale collaborazione tra le parti sociali. Contemporaneamente, la legge 223/91 procedimentalizza il licenziamento collettivo in attuazione della normativa europea.
Sicuramente bisogna interrogarsi sul confine tra condotta legittima e illegittima sanzionabile, considerato che non tutti i comportamenti contrastanti con gli interessi del sindacato e dei lavoratori posti in essere dal datore sono “antisindacali”; potrebbero inserirsi in una quotidiana logica di interessi conflittuali delle parti sociali. L’azienda è libera di procedere a ridimensionamenti aziendali, licenziamenti o ricollocamenti, ma avrebbe dovuto informare le organizzazioni sindacali di questa eventualità, in una dimensione di confronto con le stesse[17].
Ancora, il Tribunale di Firenze, con sentenza del 24/11/2021 n.781[18], su un caso concernente la società Deliveroo Italy srl, si è pronunciato sulla domanda avanzata dalle parti sindacali per l’omessa informativa in merito alla decisione di risolvere anticipatamente tutti i contratti in essere con i riders e l’omessa successiva consultazione da parte della società. In questo caso si aggiungeva l’illegittima attività di promozione, agevolazione e sostegno in favore di un’organizzazione sindacale, Ugl Rider, con danno dei sindacati ricorrenti, tramite l’improvvisa risoluzione di tutti i rapporti di lavoro al fine di condizionare la prosecuzione dei rapporti all’accettazione dell’unico contratto firmato da Assodelivery con Ugl Rider.
Il Tribunale ritiene pacifico che la società abbia inviato a tutti i ciclofattorini una comunicazione nella quale veniva affermato che, se non avessero firmato il contratto di collaborazione entro una data specifica, non avrebbero più potuto consegnare con Deliveroo. E veniva aggiunto che quell’email sarebbe stata preavviso formale della risoluzione del contratto di lavoro. Questa comunicazione non era stata, però, preceduta da alcuna attività di informazione e consultazione. Si sarebbero dovute rispettare le procedure di cui alla legge 223/91.
L’altro punto — ossia che l’imposizione del contratto concluso con Ugl Rider avrebbe il carattere dell’antisindacalità data la natura di “sindacato di comodo” — è ritenuta fondata. La vicinanza di detto sindacato alle posizioni datoriali è evidente dall’assenza di vertenze individuali e collettive portate avanti da Ugl in favore dei riders e per il contenuto del contratto sottoscritto che dimostrano la natura non rappresentativa del sindacato e discriminatoria dei privilegi concessigli, non giustificati dalla sua forza contrattuale.
Il Tribunale conclude ordinando all’azienda di attuare le informative omesse e dichiarando come inefficaci i recessi. Inoltre, la convenuta avrebbe dovuto astenersi dall’applicare il contratto stipulato tra Assodelivery e Ugl Rider[19].
Non sono mancati casi in cui, invece, la giurisprudenza ha ritenuto non applicabile l’art.28 dello Statuto dei Lavoratori.
Nel caso della Whirpool[20], le ricorrenti sostenevano di aver siglato un’ipotesi di accordo quadro relativo al piano industriale 2015/2018 dinanzi al MISE, in cui veniva confermato l’incremento della capacità produttiva dei siti e venivano fissate alcune mission che gli stabilimenti avrebbero dovuto conseguire. Sin dall’inizio del 2018, la società mostrava difficoltà nell’attuazione del piano e le sigle sindacali iniziavano a lamentarne i ritardi. Un’altra ipotesi di Accordo Quadro venne siglata in relazione al nuovo Piano Industriale relativo agli anni 2019-2021. Il 31 maggio 2019, però, la società, in un incontro, annunciava di voler chiudere il sito di Napoli nell’ottobre dello stesso anno e nel settembre del 2019 decise di cedere il ramo d’azienda con l’invio delle comunicazioni dell’avvio della procedura. Successivamente, il 30 ottobre 2019 la società ritirava la procedura per la cessione e nel gennaio 2020 manifestò la volontà di chiudere lo stabilimento entro il 21 ottobre 2021.
Dopo il periodo di blocco dei licenziamenti, il 30 giugno 2021 la società inviava la comunicazione di avvio della procedura di cui alla legge 223/91 per tutti i dipendenti occupati nello stabilimento di Napoli. A seguito di domanda avanzata dalle rappresentanze sindacali per condotta antisindacale, il giudice ha rilevato la piena legittimità dell’operato datoriale. Innanzitutto, ha ritenuto che gli Accordi Quadro e i Piani Industriali non sono fonte diretta di obblighi nei confronti delle parti, costituendo un documento illustrativo. La modifica, quindi, del piano industriale deve ritenersi lecita, in quanto esplicazione dell’art.41Cost. Il giudice non ha ritenuto sussistenti i caratteri propri della lesione della libertà sindacale, dell’azione sindacale e del diritto di sciopero ed ha quindi rigettato la domanda[21].
L’applicazione, da parte della giurisprudenza, dell’art.28 Statuto dei Lavoratori è dipesa dai casi di specie che le sono state sottoposte e ha riguardato la possibilità di tutelare la procedura di mobilità per consentire un corretto coinvolgimento della parte sindacale. Non sono venute meno le problematicità inerenti alla materia, essendo rimaste prive di tutela diverse situazioni giuridiche, che è il legislatore a dover opportunamente affrontare operando un equo bilanciamento, laddove il ricorso all’art.28 non è possibile né efficacemente attuabile.