Art. 392 - Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose
1. Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 516 (1).
2. Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.
3. Si ha, altresì, violenza sulle cose allorché un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico (2).
(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.
(2) Comma aggiunto dall’art. 1, L. 547/1993.
Rassegna di giurisprudenza
Il bene giuridico tutelato dall'art. 392 si identifica con l'interesse a garantire l'esclusiva riconducibilità all'autorità giudiziaria della risoluzione di controversie tra soggetti depositari di pretese contrapposte ed in conflitto ed il nucleo fondante del comportamento sanzionato dal legislatore è tipizzato in funzione del risultato di autotutela diretta perseguito dal soggetto agente con la sua condotta.
Peraltro, perché attinga la soglia del penalmente rilevante, l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose deve pur sempre comportare un intervento modificativo dello stato dei luoghi che sia apprezzabile come concretamente idoneo ad ostacolare l'esercizio del diritto altrui che si intende arbitrariamente comprimere. A tanto conduce sia il principio di offensività, sia l'esigenza di confinare nel "giuridicamente indifferente" i comportamenti costituenti violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, inidonei – pur tuttavia – a rappresentare un reale elemento di turbamento per la controparte (Sez. 6, 35876/2019).
Le regole che disciplinano nel nostro ordinamento i negozi giuridici con causa illecita e la relativa mancanza di azione nel caso di prestazione geneticamente irripetibile si pongono come integratrici del precetto penale contenuto negli artt. 392 e 393, nella parte in cui si rimanda alle norme che accordano la possibilità di azione giudiziaria e l’ignoranza o l’errore sulle regole stesse costituiscono ignoranza o errore di diritto, e sono pertanto penalmente irrilevanti (Sez. 1, 2290/1971).
Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere commesso, ai sensi degli artt. 392 e 393, come soggetto agente, unicamente da chiunque ... si faccia arbitrariamente ragione da sé medesimo: detta espressa previsione impone di ritenere che l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) rientra tra i cc.dd. reati propri esclusivi o di mano propria, che si caratterizzano in quanto la loro esecuzione implica l’intervento personale e diretto del soggetto designato dalla legge; la condotta tipica oggetto di incriminazione assume rilievo penale nell’ambito della norma incriminatrice che la prevede e punisce, soltanto se posta in essere personalmente da un determinato soggetto attivo.
Si può affermare quindi che, se la condotta tipica di violenza o minaccia – come nel caso di specie – è posta in essere da un terzo estraneo alla pretesa civilistica asseritamente vantata nei confronti della parte offesa, essa potrà assumere rilievo soltanto ex art. 629 (Sez. 2, 46288/2016).
Nel tempo si è verificato un mutamento nell’ambito della giurisprudenza di legittimità in tema di distinzione concettuale tra reato di estorsione e di ragion fattasi. Una prima linea interpretativa ritiene che, poiché nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta violenta o minacciosa non è fine a sé stessa, ma è strettamente connessa alla finalità dell’agente che intende far valere il preteso diritto, essa non può mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza.
Anche la minaccia, se si realizza in forme di tale forza intimidatoria da trascendere ogni ragionevole intento di far valere un diritto e da non lasciare alternative alla persona offesa, produce effetti condizionanti di assume di per sé i caratteri dell’ingiustizia; pertanto, pur avendo ad oggetto il prospettato esercizio di un diritto esistente, ossia di una pretesa legale e riconosciuta dall’ordinamento, può integrare il delitto di estorsione se le modalità denotano soltanto una volontà ricattatoria particolarmente intensa (Sez. 5, 19230/2013).
Più di recente si è però affermata la tesi che, constatata l’identica descrizione dell’azione da parte delle due norme incriminatrici degli artt. 393 e 629, individua il carattere distintivo nell’elemento psicologico: nella prima, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nella seconda, invece, l’agente intende conseguire un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia.
Secondo quest’ultimo orientamento (Sez. 2, 44674/2015) le disposizioni incriminatrici a raffronto prevedono sul piano oggettivo il compimento di azione violenta o minacciosa in termini identici e senza nessun riferimento all’intensità della forza coercitiva impiegata dal soggetto agente, la cui graduazione secondo un criterio di crescente capacità coartante non può utilizzarsi a fini definitori. Un preciso ostacolo a tale operazione è rinvenibile sul piano sistematico nell’art. 393, comma 3, il quale considera specifica circostanza aggravante la commissione di violenza o minaccia alle persone con armi, che viene ritenuta dal legislatore una possibile forma della fattispecie base a giustificare una punizione più severa.
E tuttavia nel tempo anche questa affermazione ha trovato dei correttivi, laddove si è affermato che delitto di estorsione è configurabile quando la condotta minacciosa o violenta, anche se finalisticamente orientata al soddisfacimento di un preteso diritto, si estrinsechi nella costrizione della vittima attraverso l’annullamento della sua capacità volitiva; è, invece, configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando un diritto giudizialmente azionabile venga soddisfatto attraverso attività violente o minatorie che non abbiano un epilogo costrittivo, ma più blandamente persuasivo (Sez. 2, 36928/2018).
Secondo l’orientamento prevalente è configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, in presenza di una delle seguenti condizioni relative alla condotta di esazione violenta o minacciosa di un credito: a) la sussistenza di una finalità costrittiva dell’agente, volta non già a persuadere ma a costringere la vittima, annullandone le capacità volitive; b) l’estraneità al rapporto contrattuale di colui che esige il credito, il quale agisca anche solo al fine di confermare ed accrescere il proprio prestigio criminale attraverso l’esazione con violenza e minaccia del credito altrui; c) la condotta minacciosa e violenta finalizzata al recupero del credito sia diretta nei confronti non soltanto del debitore ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale (Sez. 2, 11453/2016) (riassunzione dovuta a Sez. 2, 9303/2019).
L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose o alle persone integra il reato di rapina se si estrinseca con modalità violente che denotano la volontà di impossessarsi comunque di una cosa, qualora ricorrano gli elementi richiesti dalla norma incriminatrice (Sez. 7, 821/2019).
L’elemento distintivo del delitto di rapina da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone risiede nell’elemento soggettivo, perché nel primo caso l’autore agisce al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa (Sez. 6, 23678/2015).
Il delitto di estorsione è configurabile quando la condotta minacciosa o violenta, anche se finalisticamente orientata al soddisfacimento di un preteso diritto, si estrinsechi nella costrizione della vittima attraverso l’annullamento della sua capacità volitiva; è, invece, configurabile il delitto dì esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando un diritto giudizialmente azionabile venga soddisfatto attraverso attività violente o minatorie che non abbiano un epilogo costrittivo, ma più blandamente persuasivo (Sez. 2, 36928/2018).
In caso di contestazione del delitto di estorsione, qualora l’imputato eccepisca di aver agito al fine di esercitare un preteso diritto, l’accertamento dell’elemento psicologico impone il previo esame della pretesa vantata dall’agente, onde verificare se essa presenti i requisiti dell’effettività e della concretezza che la rendono azionabile in giudizio (Sez. 2, 52525/2016).
Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’azione violenta o minacciosa che, indipendentemente dall’intensità e dalla gravità della violenza o della minaccia, abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria (Sez. 2, 24478/2017), in quanto siffatto profilo costituisce il primo ed essenziale criterio di selezione delle condotte astrattamente riconducibili alle fattispecie in esame che il giudice è tenuto a verificare (Sez. 2, 52525/2016), di talché – ove difetti il requisito della tutelabilità della pretesa – la condotta è destinata a refluire univocamente nel paradigma dell’estorsione (Sez. 2, 9343/2019).
Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l’elemento intenzionale che, qualunque sia stata l’intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’AG (Sez. 2, 5249/2019).
È configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando ad un’iniziale pretesa di adempimento di un credito effettuata con minaccia o violenza nei riguardi del debitore seguano ulteriori violenze e minacce di terzi estranei verso il nucleo familiare del debitore, sicché l’iniziale pretesa arbitraria si trasforma in richiesta estorsiva, sia a causa delle modalità e della diversità dei soggetti autori delle violenze sia per l’estraneità dei soggetti minacciati alla pretesa azionata (Sez. 5092/2018).
Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con violenza alle persone o minaccia, e quello di estorsione si distinguono non già tanto, e soltanto, in relazione all’esistenza o meno di una legittima pretesa creditoria, bensì con riferimento alle modalità oggettive dell’azione, risultando integrato il delitto di estorsione anche quando le condotte violente o minatorie si manifestino in forme tali da trasformare una plausibile richiesta di pagamento in un ingiusto profitto.
Quel che rileva non è tanto l’intensità o la gravità delle condotte in discorso (essendo compatibili con il delitto di ragion fattasi anche modalità di particolare forza intimidatrice, come quelle connesse all’uso di armi, che può aggravare il reato di cui all’art. 393, quanto l’effetto che ne deriva, rimanendo integrata la fattispecie più grave quando si verifichi un epilogo francamente costrittivo, che di fatto annulli la capacità volitiva della vittima, e ricorrendo la fattispecie meno grave in presenza di un epilogo meramente induttivo (Sez. 1. 8235/2019).
La violenta privazione della libertà personale della parte offesa, per un rilevante periodo di tempo, al fine di ottenere la corresponsione di una somma di denaro in relazione sinallagmatica con la prospettata liberazione, esclude ogni ragionevole intento di far valere un presunto diritto, con la conseguenza che è da ritenere insussistente l’ipotesi di cui all’art. 393, e integrato il sequestro estorsivo (Sez. 6, 47533/2013).
Al fine di potere ipotizzare l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, qualificante risulta essere il fine di esercitare un preteso diritto, da intendersi quale pretesa tutelabile davanti all’autorità giudiziaria; qualora, infatti, si tratti di pretesa anche solo parzialmente non tutelabile davanti all’AG, la condotta deve qualificata come estorsione (Sez. 2, 1901/2017).
Deve ritenersi configurabile, invero, il reato di estorsione sussistendo l’elemento della ingiustizia del profitto ogni qualvolta il diritto sia sfornito di una azione, come nell’ ipotesi delle obbligazioni naturali menzionate nell’art. 2034 CC, apparendo, pertanto, priva di fondamento la testi dei ricorrenti circa l’assenza del requisito della ingiustizia del profitto nella fattispecie in esame.
Appare, invero, condivisibile la tesi, propugnata da autorevole dottrina, secondo cui sussiste “ingiusto profitto” anche in ipotesi di tutela indiretta rappresentata dalla soluti retentio attraverso la quale l’ordinamento riconosce una pretesa – a trattenere quanto corrisposto per l’obbligazione naturale o contraria al buon costume – solo dopo che una delle parti abbia spontaneamente adempiuto; prima di quel momento l’ordinamento non riconosce alcuna tutela, con la conseguenza che il relativo profitto deve, comunque, considerarsi “ingiusto” (fattispecie avente ad oggetto debiti di gioco) (Sez. 2, 9295/2019).
Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di cui all’art. 612, che contiene egualmente l’elemento della minaccia alla persona, non nella materialità del fatto che può essere identica in entrambe le fattispecie, bensì nell’elemento intenzionale: nel reato di ragion fattasi l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che tale pretesa sia realmente fondata, ma bastando che di ciò egli abbia ragionevole opinione; il reato di minaccia, invece, che tutela la libertà psichica o morale che viene garantita nei confronti di influenze intimidatrici estranee, è titolo generico e sussidiario rispetto al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (compreso tra i delitti contro l’amministrazione della giustizia) e rispetto ad altre ipotesi delittuose che contengono come elemento costitutivo la minaccia alle persone ed, atteso il suo carattere generico e sussidiario, resta escluso, in base al principio di specialità, allorché la minaccia sia stata usata per uno dei fini particolari previsti per la “ragion fattasi” (Sez. 2, 920/2019).