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Art. 610 - Violenza privata

1. Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.

2. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

Ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 610, è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo, che si consuma nel momento in cui si realizza la limitazione coattiva della libertà di determinazione della vittima, essendo irrilevante che gli effetti della imposizione si protraggano nel tempo e l'offeso possa successivamente eliminarli (Sez. 5, 18693/2021).

Il reato di cui all’art. 610 è un reato di evento che si perfeziona nel momento in cui avviene la costrizione della vittima a fare, tollerare, omettere qualche cosa. Nel caso in cui l’evento non si realizzi, si permane nella sfera del delitto tentato, per la cui configurabilità non è necessario che la minaccia abbia effettivamente intimorito il soggetto passivo determinando una costrizione, ancorché improduttiva del risultato perseguito, ma è sufficiente che essa sia idonea ad incutere timore e sia diretta a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volontà, la condotta pretesa dall’agente (Sez. 5, 34999/2020).

Il delitto di cui all’art. 610 non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta: l’evento del reato, nell’ipotesi di ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all’integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all’aggressione fisica subita.

Per altro verso, va rilevato come, ai fini dell’integrazione del delitto di violenza privata è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o ad influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà (Sez. 5, 10360/2019).

L’elemento oggettivo del delitto di violenza privata è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata; in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata; ne deriva che il delitto di cui all’art. 610 non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta (Sez. 5, 47575/2016).

L’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 610 è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di «qualcosa» di diverso dal «fatto» in cui si esprime la violenza, sicché la coincidenza tra violenza e l’evento di «costrizione a tollerare» rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all’art. 610 (SU, 2437/2009).

Ai fini dell’integrazione del delitto di violenza privata è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o ad influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà (Sez. 5, 1786/2017).

Il carattere commissivo del delitto di cui all’art. 610 non può che implicare la possibilità concettuale del tentativo, qualora il costringimento non si sia realizzato (Sez. 5, 6413/1974).

Il delitto di violenza privata, che garantisce la libertà psichica dell’individuo e, quindi, si realizza quando l’agente, col suo comportamento violento o intimidatorio, eserciti una coartazione, diretta o indiretta, sulla libertà di volere o di agire del soggetto passivo, così da costringerlo ad una certa azione, tolleranza od omissione, il che presuppone la preesistenza di una libertà di determinazione e di azione di chi subisce la condotta criminosa, fa sì che il reato deve ritenersi consumato nel momento in cui il soggetto passivo, a seguito della violenza o della minaccia, sia rimasto costretto contro la sua volontà a fare, tollerare o omettere qualche cosa, mentre si ha soltanto tentativo allorché non sia stato raggiunto l’effetto voluto, per causa indipendente dalla volontà del soggetto agente, come nel caso in cui il soggetto passivo non adotti la condotta cui era preordinata la violenza o la minaccia, pur sussistendo l’idoneità dell’azione (Sez. 5, 40782/2013).

Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere sia in violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima, o di violenza cosiddetta impropria che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione e che la coscienza e volontà di costringere taluno, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa con la consapevolezza dell’illegittimità di tale costrizione, rappresenta l’elemento differenziale della violenza privata rispetto al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che presuppone, invece, la coscienza di fare cosa giusta nella sostanza sebbene ingiusta nella forma (Sez. 5, 4779/2019).

Nell’ambito della fattispecie criminosa del delitto di cui all’art. 610, il requisito della violenza s’identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (Sez. 5, 48369/2017).

In tema di violenza privata (art. 610), costituisce elemento della condotta materiale del reato la privazione coattiva della libertà di determinazione e di azione della persona offesa dal reato, costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, mentre è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo (Sez. 5, 3403/2004).

Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, è necessaria l’estrinsecazione di una qualsiasi energia fisica immediatamente produttiva di una situazione idonea ad incidere sulla libertà psichica (di determinazione e azione) del soggetto passivo. Ne consegue che esula dalla fattispecie delittuosa un comportamento meramente omissivo a fronte di una richiesta altrui, quando lo stesso si risolva in una forma passiva di mancata cooperazione al conseguimento del risultato voluto dal richiedente (Sez. 5, 15651/2014).

In tema di delitto di violenza privata, integra l’elemento della violenza la condotta che impedisca il libero movimento del soggetto passivo, ponendolo nell’alternativa di non muoversi oppure di muoversi con il pericolo di menomare l’integrità di altri, compreso l’agente (Sez. 5, 27150/2018).

Ai fini della configurabilità del tentativo di violenza privata non è necessario che la minaccia abbia effettivamente intimorito il soggetto passivo determinando una costrizione, ancorché improduttiva del risultato perseguito, essendo sufficiente che si tratti di minaccia idonea ad incutere timore e diretta a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volontà, la condotta pretesa dall’agente (Sez. 5, 40782/2013).

 

Rapporti con altre fattispecie

La differenza tra il reato di cui all’art. 610 e quello di cui all’art. 629 risiede nella necessità che quest’ultima figura delittuosa sia qualificata da un ingiusto profitto – che può anche non essere di natura patrimoniale – con altrui danno che, invece, deve consistere in una deminutio patrimonii, vale a dire in un nocumento di rilevanza economica: diversamente, se il danno non è qualificabile in tali termini, ricorre la diversa fattispecie di cui all’art. 610, che tutela la libertà di autodeterminazione dell’individuo al di fuori di qualsiasi limite o condizione che non sia legittimamente posta (Sez. 2, 7304/2019).

Il reato di estorsione ha, tra i suoi componenti, la violenza o la minaccia esercitata contro la persona al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto; la violenza privata comprende gli stessi elementi della violenza o della minaccia, esercitate al fine di costringere altri a fare, tollerare o omettere qualche cosa. Si tratta, all’evidenza, di figure di reato largamente sovrapponibili, con la particolarità che l’estorsione ha in sé l’elemento specializzante dell’ingiusto profitto, mancante all’altra figura di reato.

Ne consegue che, contestata l’estorsione, è ben possibile  senza incorrere nella violazione degli artt. 521 e 522 CPP  che venga ritenuta, a tutto vantaggio dell’imputato, la violenza privata, giacché, escluso il fine dell’ingiusto profitto, permangono  nella condotta dell’imputato  tutti gli elementi del reato di cui all’art. 610 (Sez. 5, 2896/2019).

Tra il reato di violenza privata, di cui all’art. 610, e quello di lesioni personali volontarie, di cui all’art. 582, è configurabile il concorso formale, essendo diversi i beni giuridici tutelati: la libertà morale nel primo reato, e l’integrità fisica nel secondo (Sez. 5, 21530/2018).

Ai fini di una netta demarcazione tra i reati di violenza privata e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, va rammentato che, secondo gli arresti giurisprudenziali più recenti, non sono integrati i presupposti del reato di cui all’art. 393, bensì quelli del reato di violenza privata, allorché il diritto rivendicato non coincida con il bene della vita conseguito attraverso la condotta arbitraria (Sez. 5, 10133/2018).

Il delitto di violenza privata, preordinato a reprimere fatti di coercizione non espressamente contemplati da specifiche disposizioni di legge, ha in comune con il delitto di sequestro di persona l’elemento materiale della costrizione, ma se ne differenzia perché in esso viene lesa la libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passivo, mentre nel sequestro di persona viene lesa la libertà di movimento (Sez .7, 44710/2018).

 

Casistica

Il delitto di violenza privata si consuma invero ogni qual volta l’autore con la violenza o con la minaccia lede il diritto del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, costringendolo a fare, tollerare od omettere qualcosa. Al contrario della minaccia, che ha natura formale, la violenza privata è un reato di danno, nel quale la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui e l’evento lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l’ha subita (Sez. 6, 25239/2018).

Integra il reato di violenza privata la condotta di chi  il marito nei confronti della moglie  impedisce l’esercizio dell’altrui diritto di accedere ad un locale o ad una delle stanze di un’abitazione, chiudendone a chiave la serratura (Sez. 5, 48369/2017).

Integra il reato di violenza privata la condotta di chi sostituisce della serratura della porta di accesso di un vano-caldaia, con mancata consegna delle chiavi al condomino e inibizione dell’esercizio del diritto di servitù gravante sul locale (Sez. 5, 11907/2010).

Integra il delitto di violenza privata la condotta di chi, alla guida del proprio veicolo, compie deliberatamente manovre tali da interferire significativamente nella guida di altro utente della strada, costringendolo ad una condotta diversa da quella programmata (Sez. 5, 33253/2015).

La condotta di guida scorretta è sufficiente ad integrare il delitto di violenza privata, se in grado di cagionare una significativa limitazione alla libertà di movimento del soggetto passivo (Sez. 5, 44016/2010).

Il compimento di atti osceni in luogo pubblico o esposto al pubblico non comporta la configurabilità del reato di violenza privata in danno dei soggetti che si trovino ad assistere agli stessi, senza esservi in alcun modo costretti: tanto perché  si è spiegato , ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 610 è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o ad influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà (Sez. 5, 1786/2017).

Se è vero che prospettare ai soci l’estromissione da una cooperativa in caso di mancato pagamento della quota dovuta non costituisca di per sé una minaccia ingiusta, quest’ultima possa, invece, configurarsi allorché l’imputato richieda senza addurre alcuna giustificazione il pagamento di somme genericamente afferenti il rapporto sottostante, non consentendo neppure ai soci di consultare la documentazione contabile e di comprendere le ragioni del dovuto pagamento. In sostanza, chiedere un versamento «al buio», accompagnando tale richiesta con ingiurie e minacce continue e pressanti di un male che non appare giustificato, configura a tutti gli effetti il reato di violenza privata (Sez. 6, 49950/2018).