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Quel pasticciaccio brutto delle dimissioni dall’Associazione nazionale magistrati

Le chat di Palamara
Le chat di Palamara

I. MERITO DEL DOTT. PALAMARA O DEMERITO DI ALTRI?

II. L’APPARATO NORMATIVO

III. LA VIA CRUCIS DELLE CHAT: DA PERUGIA AL COLLEGIO DEI PROBIVIRI

IV. IL ‘DÉNI DE JUSTICE’ DEL C.D.C.

 

I. MERITO DEL DOTT. PALAMARA O DEMERITO DI ALTRI?

1. Sembrava impossibile indurci a riconoscere qualche merito al dott. Palamara, espulso dall’A.N.M. e (con decisione non irrevocabile) dall’ordine della Magistratura. Eppure alcuni ci sono riusciti. Sono quei magistrati, non pochi, che, coinvolti nelle chat del dott. P., mediante le dimissioni sono riusciti a sottrarsi al giudizio disciplinare dell’A.N.M. Il demerito comparativo di costoro consente di riconoscere al dott. P. il ‘pregio’ di non essersi dimesso dalla A.N.M. per evitare di esserne espulso? È una vicenda che merita di essere esplorata perché coinvolge l’interpretazione dello statuto dell’A.N.M., la sua vitalità giuridica e l’impegno vanamente profuso dal suo organo deliberante permanente, il Comitato Direttivo Centrale (C.D.C.).

 

II. L’APPARATO NORMATIVO

2. Per rendersene conto, occorre premettere che la qualifica di magistrato ordinario (in servizio o in quiescenza), in uno al pagamento della tassa di iscrizione e del contributo annuo, è quanto basta per diventare socio dell’A.N.M., cui dunque non compete alcun apprezzamento o valutazione discrezionale; fermo restando (ovviamente) che i soci espulsi dal C.D.C. non possono esservi riammessi. Consegue che la destituzione dall’ordine giudiziario (per effetto di provvedimento del Consiglio Superiore della Magistratura) comporta l’espulsione dall’A.N.M. (art. 6 Stat.). Non è vero l’inverso: per esempio, seppure espulso dall’A.N.M., legittimamente il dott. P. continua a fare parte dell’ordine giudiziario, fino a quando non passi in giudicato il provvedimento del C.S.M. che ne ha decretato l’espulsione (art. 107 Cost.). In forza dell’art. 6 Stat., la qualità di socio dell’A.N.M. si perde:

a) per dimissioni: fatto salvo quanto si chiarirà in seguito (v. infra sub par. 3), niente esclude che, dopo le dimissioni, il magistrato voglia rientrare nel consesso associativo;

b) per cessazione della qualità di magistrato: normalmente le dimissioni del magistrato dall’ordine giudiziario non sono revocabili, sicché non avrebbe senso la sua permanenza nell’A.N.M.;

c) per espulsione: emesso dal C.D.C. in sede disciplinare, tale provvedimento di certo preclude la riammissione nell’A.N.M.;

d) per contemporanea iscrizione ad altra associazione di magistrati che si contrapponga all’A.N.M.: la dimostrata infedeltà del socio impedisce il suo rientro nell’A.N.M.

3. Ai sensi dell’art. 7 dello Statuto:

«Il socio può dimettersi in ogni tempo, ma le sue dimissioni non hanno effetto se non dalla data in cui sono accettate dalla Giunta Sezionale.

Il socio dimissionario è tenuto al pagamento della quota sociale per l’anno in corso.

Nel caso in cui il socio dimissionario sia sottoposto a procedimento disciplinare, il Comitato Direttivo Centrale può disporre che si sospenda di provvedere sull’accoglimento delle dimissioni fino all’esito del procedimento medesimo».

Non stupisce il rilievo assegnato alla Giunta Sezionale, in quanto essa rappresenta l’organo associativo di prossimità, presso cui, dunque, come si chiede di associarsi, così è più agevole presentare l’istanza di recesso (art. 42, 2° lett. e Stat.). È altrettanto certo che le dimissioni non hanno effetto immediato, perché devono essere accettate dall’A.N.M. e - per essa - dalla Sezione. La quale intanto è tenuta ad alcune incombenze.

3.1. La più elementare riguarda il pagamento dei contributi dovuti, che concorrono a formare il patrimonio dell’associazione (art. 3 Stat.). La norma non poteva essere più chiara: per perfezionare il recesso del socio mediante l’accettazione della Giunta è necessario che egli corrisponda la quota sociale per l’anno in corso; o, detto in altri termini, il socio non può – sol dimettendosi – legittimamente sottrarsi al pagamento di tale quota, imponendo all’A.N.M. il gravoso compito di recuperare il credito in sede giudiziaria. Se la ratio della clausola statutaria è quella inverata dall’art. 1460 c.c. (inadimplenti non est adimplendum), sembra legittimo concludere che a fortiori qualunque debito pregresso del socio dimissionario impedisca il perfezionamento del recesso sicché, fino al totale adempimento, egli resterà associato con le limitazioni imposte al socio moroso[1].

 3.2. La Giunta che riceve le dimissioni del socio ha un’altra importante incombenza prima di accettare le dimissioni: quella di accertare presso l’A.N.M. - e segnatamente presso il C.D.C. o la Giunta dei Probiviri - che il socio dimissionario non sia sottoposto a procedimento disciplinare. In tal caso, infatti, la Sezione ha l’obbligo di riferirne al C.D.C. (titolare del potere sanzionatorio, ai sensi dell’art. 11 Stat.), per permettergli di decidere se sospendere il perfezionamento del recesso del socio sino alla conclusione del procedimento disciplinare, come prevede l’ultimo comma del citato art. 7. La ratio della disposizione si dipana agevolmente mediante il seguente sorite:

- il rapporto tra gli associati è un vincolo giuridico plurisoggettivo, da cui sorgono diritti, obblighi patrimoniali e doveri comportamentali, tra cui l’osservanza del codice deontologico giuridicamente efficace per tutti i magistrati (perfino non associati all’A.N.M.);

- le situazioni soggettive (attive e passive) degli associati sono garantire dalla funzione disciplinare interna e a monte dal rispetto dello Statuto cui si sottomettono i soci;

- venuta meno, o annacquata, l’obbligatorietà intersoggettiva e la funzione disciplinare, si azzera la stessa causa giuridica dell’associazione;

- a tale azzeramento indurrebbe, ove consentita, la stessa possibilità per ogni socio di evitare il giudizio disciplinare dimettendosi per tempo dall’associazione, conservando paradossalmente addirittura la facoltà di riscriversi nuovamente alla stessa, giacché lo Statuto non prevede alcun filtro in ingresso a meno che il socio non sia stato espulso (v. sopra sub par. 2);

- dunque l’impossibilità di recedere dalla società, per il socio attinto da un procedimento disciplinare, costituisce presupposto ineliminabile della stessa vitalità giuridica dell’A.N.M., della sua serietà istituzionale e della sua ragion d’essere giuridica ‘associazione’: diversamente si tratterebbe di ... «quattro amici al bar», ma non di un’associazione giuridicamente eretta!

L’A.N.M. è l’unica associazione di magistrati ordinari che, prima delle recenti e sconsiderate fughe dalla responsabilità disciplinare (v. infra sub par. 9), raccoglieva il 90% dei magistrati ordinari, ha una storia gloriosa e deve avere un futuro ben più dignitoso di una ‘giostra’ da cui sia consentito scendere a piacimento, dopo averne guastato gli ingranaggi.

4. A questo punto anche le prolepsi si possono affrontare agevolmente.

4.1. La prima. L’interpretazione dell’art. 7 sopra sposata limita la libertà costituzionale di recedere in qualsiasi momento dall’A.N.M. (art. 18 Cost.)? Certamente no, perché la disposizione in commento, per un verso, concilia sapientemente (non il diritto di recedere, ma) l’efficacia delle dimissioni con l’adempimento degli obblighi liberamente assunti dal socio. Per altro verso, l’art. 7 si limita ad impedire al dimissionario la fuga dalle proprie responsabilità disciplinari (le uniche che conferiscono serietà e valore giuridico al vincolo associativo), escludendo che egli, sottoposto a procedimento disciplinare, possa riacquistare – dimettendosi - la compromessa virginità disciplinare, impedire il procedimento disciplinare e rientrare successivamente nel consesso associativo: effetti tutti che non fanno parte dell’esercizio del diritto di associarsi (e di dissociarsi) ma - se mai - del suo palese abuso. Si è già chiarito (retro sub par. n. 2) che (non il recesso volontario, ma) l’espulsione disciplinare impedisce la riammissione del socio. Che la questione sia originata dal rapporto tra dimissioni (in ipotesi volte a impedire il procedimento disciplinare pendente) e successiva riammissione è dimostrato dal modo con cui, in analoghi contesti associativi, tale rapporto è stato disciplinato. Non a caso l’art. 7 dello Statuto dell’Associazione Nazionale Magistrati Amministrativi (A.N.M.A.) prevede che:

«1. Può essere escluso il socio che abbia fatto opera contraria ai fini dell’Associazione.

2. L’esclusione ai sensi del primo comma del presente articolo e la riammissione del socio escluso sono deliberate dal Consiglio direttivo a maggioranza assoluta dei suoi membri. Contro il deliberato del Consiglio è ammesso reclamo all’ Assemblea generale, entro 30 giorni dalla notifica del deliberato medesimo».

E l’art. 4, 3° dello Statuto dell’associazione Magistrati della Corte dei Conti detta che «Il socio può essere riammesso previo favorevole riesame delle cause che hanno determinato l'esclusione dalla Associazione.».

 A questo punto è più che manifesta la ratio e la legittimità costituzionale dell’art. 7 dello Statuto A.N.M.:

  • la riammissione è esclusa (non dalle dimissioni, ma) ovviamente dal provvedimento espulsivo adottato dal C.D.C.;
  • proprio per questo il procedimento delle dimissioni volontarie può essere legittimamente sospeso dal C.D.C. se contro il socio dimissionario sia pendente un procedimento disciplinare, con i seguenti corollari:
    • se tale procedimento si concluda con l’espulsione, resterebbe assorbito e travolto il recesso e il socio espulso non potrà essere giammai riammesso, consentendo all’A.N.M. di riaffermare, anche nei confronti degli altri soci, la giuridicità dei propri fini e la vincolatività dei precetti statutari;
    • altrimenti, il socio sarà considerato (se ne sussistano gli altri presupposti) legittimo dimissionario e potrà nuovamente iscriversi all’associazione.
  • in nessun caso, dunque, la Giunta Sezionale legittimamente può conferire efficacia e validità alle dimissioni, omettendo di verificare presso gli Organi centrali competenti (non solo eventuali morosità, ma anche) la pendenza di eventuali procedimenti disciplinari nei confronti del dimissionario e senza attendere le determinazioni del C.D.C. Il quale non solo non può essere condizionato dalle illegittime decisioni della Giunta, ma è di certo tenuto anche a (fare) rispettare il menzionato art. 7 Stat., se non altro perché esso (a differenza delle Giunte Sezionali) ha competenza esclusiva in materia disciplinare (artt. 11 e 30, 1° lett. h Stat.).

4.2. La seconda prolepsi fa capo a un’ulteriore obiezione. È noto che il potere disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura presuppone il perdurante rapporto di servizio, cessato il quale (specialmente per raggiunti limiti di età, che operano automaticamente) si estingue il procedimento disciplinare dianzi avviato, in qualunque fase esso si trovi[2]. Si sostiene allora che in guisa non diversa, allorché il socio dell’A.N.M. ne receda il C.D.C. non potrebbe più sanzionarlo, anche se fosse stato promosso il procedimento disciplinare da parte del Collegio dei Probiviri. É un accostamento doppiamente errato. In primo luogo perché le dimissioni dall’ordine comportano di per sé anche la cessazione della qualità di socio dell’A.N.M. (v. retro sub par. 2), estinguendo il procedimento disciplinare in corso. In secondo luogo, e più radicalmente, perché un conto è dimettersi dall’A.N.M. (restando in servizio come magistrato), ovviamente altro conto è dimettersi definitivamente dall’ordine giudiziario: soltanto nel secondo caso le colpe personali non sono più imputabili all’Ordine.

5. In questo garbuglio giuridico un solo rilievo conforta. I tentativi di evitare ad oltranza il procedimento disciplinare associativo con le strumentali dimissioni dall’A.N.M. testimoniano che la sanzione dell’espulsione è considerata in qualche modo disdicevole o addirittura infamante, non soltanto in ambito associativo. Il che fa ben sperare sul futuro dell’A.N.M. e della Magistratura; se non fosse che - come tosto si chiarisce - è stato proprio il C.D.C. a deludere le aspettative (v. infra sub par.11).

 

III. LA VIA CRUCIS DELLE CHAT: DA PERUGIA AL COLLEGIO DEI PROBIVIRI

6. Le conversazioni telematiche estratte dal cellulare del dott. P. coinvolgono numerosi soci dell’A.N.M. e molte di esse astrattamente possono avere rilievo disciplinare dal punto di vista associativo perché, contenendo autopromozioni o raccomandazioni rivolte a consiglieri del C.S.M., violano l’art. 10 del codice deontico dei magistrati[3]. Acquisite nel giudizio penale instaurato dalla Procura perugina nei confronti del dott. P., per oltre un anno sono state pubblicate e assai negativamente commentate dagli organi di stampa, aumentando a dismisura lo sdegno dei cittadini nei confronti della Magistratura tutta.

7. In ragione del loro rilievo anche propriamente disciplinare, doverosamente la P.R. di Perugia ha immediatamente trasmesso il testo di tali conversazioni al P.G. presso la Suprema Corte e al Ministro della Giustizia (contitolari del potere d’iniziativa propriamente disciplinare) nonché (per quanto attiene al profilo dell’incompatibilità ambientale o funzionale) al Consiglio Superiore della Magistratura. Ma la risposta istituzionale non è stata adeguata al clamore mediatico suscitato, perché non si ha notizia che taluna delle predette raccomandazioni / promozioni sia stata sanzionata dal C.S.M. in quanto tale. Neppure il dott. P. è stato punito per le sue raccomandazioni dall’A.N.M. (con la delibera che lo ha espulso dall’Associazione) e dal C.S.M. (con la sentenza non definitiva che lo ha radiato dall’Ordine).

8. Il ‘tragitto’ da Perugia al Collegio dei Probiviri dell’A.N.M., titolare del potere di esperire (davanti al C.D.C.) l’azione disciplinare nei confronti dei soci, è stato oggettivamente reso impervio da un duplice inciampo.

8.1. Provvedendo sull’istanza dell’avv. prof. F. Mucciarelli, incaricato di costituirsi parte civile per A.N.M., il P.R. di Perugia, con provvedimento del 3 settembre 2020, dopo avere sostenuto che per gli organi disciplinari dell’A.N.M. non sussistevano ragioni di riservatezza impeditive all’accesso, riteneva (tuttavia) che era necessario contemperare accesso e riservatezza. Perciò autorizzava il richiedente a prendere visione in segreteria delle chat, subordinando l’effettivo rilascio della copia alla puntuale specificazione, per ciascuna chat, delle «ragioni rilevanti per la costituzione in giudizio o per l’esercizio di altre situazioni giuridicamente rilevanti». Trattandosi di circa 60.000 pagine di messaggi, l’Avvocato e l’A.N.M. ritennero di non potere materialmente esercitare, alle predette iugulatorie condizioni, il proprio diritto.

 8.2. A seguito di successiva richiesta, con provvedimento del 25 febbraio 2021 il G.U.P. perugino autorizzava il rilascio delle chat a condizione che l’A.N.M. depositasse un elenco aggiornato dei magistrati attualmente iscritti, affinché un consulente tecnico appositamente nominato potesse (a spese del richiedente) effettuare una mirata estrapolazione dal complesso materiale delle chat intercorse con i soli magistrati iscritti all’associazione.

9. A seguito di un ‘parto’ così distocico, l’A.N.M. è finalmente riuscita ad ottenere le chat. Ma in realtà il provvedimento adottato dal G.U.P. (interpretato alla stregua di un ...suggerimento) ha oggettivamente consentito ai magistrati coinvolti dalle chat non solo di evitare l’eventuale provvedimento disciplinare (dimettendosi dall’A.N.M. nelle more della C.T.U. disposta), ma addirittura di eclissare le chat stesse dall’universo giuridico, facendo loro recuperare una verginità che potrebbe consentire addirittura una nuova iscrizione all’associazione.

10. Si ha notizia che, essendosi dimessa dalla carica la Presidente della Giunta dei Probiviri, soltanto qualche giorno fa il C.D.C. ha provveduto alla sua sostituzione; il che rallenterà ulteriormente le procedure sanzionatorie dell’A.N.M., che comunque non potranno attingere i soci astutamente dimessisi per tempo.

 

IV. IL ‘DÉNI DE JUSTICE’ DEL C.D.C.

 11. Convocato proprio per decidere sull’interpretazione del citato art. 7 Stat., il C.D.C non è stato in grado di offrirne una qualunque interpretazione operativa, smentendo così la sua stessa ragion d’essere. Ma – a quanto sembra – nel dubbio ha fatto molto peggio: ha convalidato la regolarità delle dimissioni accettate dalle Giunte in violazione dell’indicata disposizione, come sopra interpretata. Il bilancio finale? L’A.N.M. perde non solo credito nell’opinione pubblica, ma anche associati e forza contrattuale[4]. E la Magistratura? I Magistrati? E, soprattutto, l’Utente finale della Giustizia?

 

[1] «Entro il 15 gennaio di ogni anno il tesoriere deve trasmettere alle sezioni ed alle sottosezioni l’elenco dei soci che non hanno versato direttamente o attraverso delega le quote relative agli anni precedenti.

I soci che non risultano in regola con le quote relative ai tre anni precedenti sono automaticamente sospesi dall’esercizio dei diritti sociali, compreso il diritto di voto. Il socio moroso che effettui il pagamento, per intero, delle quote dovute è riammesso nell’esercizio dei diritti sociali, compreso il diritto di voto.

I nuovi soci, per esercitare i diritti sociali, devono aver versato l’intera quota relativa all’anno in corso o aver firmato la delega per la riscossione automatica mensile» (art. 8 stat.).

[2] Cass, Sezioni Unite, sent. nn. 15878/ 2011, in motivazione: «Occorre altresì rilevare che la "cessazione del rapporto di servizio del magistrato" influisce sullo stesso esercizio del potere disciplinare tanto che l'intervenuta cessazione dell'appartenenza all'Ordine Giudiziario" determina - come correttamente dichiarato con l'ordinanza impugnata - l'estinzione del procedimento disciplinare anche innanzi al Consiglio Superiore della Magistratura per esserne venuto meno il presupposto del perdurante rapporto di servizio dell'incolpato (in tali sensi, tra le tante, ordinanze del CSM 8/2/2001 n. 23; 22/12/2010 n. 192; 18/11/2010 n. 168)». In senso conforme S.U. sent. n. 16980/2019.

[3] Art. 10 - Obblighi di correttezza del magistrato

Il magistrato non si serve del suo ruolo istituzionale o associativo per ottenere benefici o privilegi per sé o per altri.

Il magistrato che aspiri a promozioni, a trasferimenti, ad assegnazioni di sede e ad incarichi di ogni natura non si adopera al fine di influire impropriamente sulla relativa decisione, né accetta che altri lo facciano in suo favore.

Il magistrato si astiene da ogni intervento che non corrisponda ad esigenze istituzionali sulle decisioni concernenti promozioni, trasferimenti, assegnazioni di sede e conferimento di incarichi.

Si comporta sempre con educazione e correttezza; mantiene rapporti formali, rispettosi della diversità del ruolo da ciascuno svolto; rispetta e riconosce il ruolo del personale amministrativo e di tutti i collaboratori.

[4] Purtroppo non sembra perciò condivisibile l’apprezzamento secondo cui «...quando si riguarderà questa vicenda [N.R.: quella innescata dalle chat di Palamara] in una prospettiva di più ampio respiro, si dovrà prendere atto che la magistratura – a differenza di altri settori della politica e della classe dirigente del Paese – non ha avuto alcun atteggiamento di indulgenza o di copertura verso i suoi membri.» (N. ROSSI, L’etica professionale dei magistrati: non un’immobile Arcadia, ma un permanente campo di battaglia, in Questione Giustizia, 2019, n. 3/ 2019, pag. 44 e segg.