Le statistiche della Cassazione penale: spunti per una riflessione

Italy’s High Criminal Court Statistics: Food for Thought.

cassazione penale
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Abstract

Lo scritto illustra i dati éditi dall’Ufficio Statistico della Corte di Cassazione, di cui svolge una sintetica analisi e dai quali prende le mosse per una breve riflessione sulla attuale situazione del giudizio di legittimità e sui possibili rimedi per ridurne l’utilizzo.

The paper is based on data published by the Statistical Office of the High Court. A concise data analysis is followed by a brief reflection on the current status of the Legitimacy Judgment and on the possible remedies to limit its use.

 

Indice:

1. Introduzione e premessa

2. Iscrizioni

3. Iscrizioni per voci di reato

4. Definizioni

5. Durata

6. Conclusioni

 

1. Introduzione e premessa

Il presente contributo si basa sui dati numerici offerti dall’Ufficio Statistico della Corte di Cassazione[1] e intende offrire uno spunto di riflessione per soluzioni de iure condito e de iure condendo, sia dal punto di vista sostanziale che processuale.

Verte sull’analisi di dati assoluti e percentuali relativi al giudizio di legittimità, permettendo di cogliere elementi talvolta ben noti (l’enorme ricorso alle dichiarazioni di inammissibilità), talvolta sorprendenti se confrontati con la vulgata pubblica (l’impalpabile ammontare delle pronunce di prescrizione), comunque utili all’interprete che si interroghi sullo stato del sistema e sui possibili rimedi per attribuirgli efficienza.

L’analisi dei soli dati provenienti dalla Suprema Corte non rende evidentemente possibile una valutazione complessiva del sistema della giurisdizione penale, per la quale sarebbe necessario lo studio delle statistiche relative ai giudizi di merito e alla sorte dei fascicoli di indagine.

Si pensi al rilievo della prescrizione (un report dell’Unione delle Camere Penali Italiane[2] ha rivelato come, percentualmente, la maggior parte delle prescrizioni si verifichi nel corso delle indagini preliminari, con quanto se ne può dedurre quanto a efficienza della fase inquirente da un lato ed effettività del principio di obbligatorietà dell’azione penale dall’altro) ma si pensi anche alla concreta incidenza di soluzioni innovative quale quella prevista dall’articolo 131 bis Codice Penale, di comune impiego in fase di indagini e nei gradi di merito, o la Messa alla Prova, istituti per i quali, considerato il periodo trascorso dalla loro introduzione, già sarebbe possibile una prima valutazione di impatto.

Lo studio prende in prevalente considerazione i dati relativi al 2019, anno che – considerato il singolare andamento avuto dal 2020 a causa delle misure anti-Covid – conserva a tutt’oggi attualità ai fini delle presenti riflessioni.

 

2. Iscrizioni

Le iscrizioni nella cancelleria penale della Corte di Cassazione nel periodo 2015/2019 si sono mantenute costantemente oltre le 50.000 (50.801 nel 2019) e oltre tale cifra sono state anche le definizioni (in taluni anni – 2016 e 2018 – significativamente superiori alle sopravvenienze).

Domina il ricorso ordinario, che nel 2019 ha superato il 60% delle iscrizioni (30.864 su 50.801 pari al 60,8% complessivo), mentre oltre la soglia delle mille istanze si collocano le invocazioni alla Suprema Corte in materia di misure cautelari personali (4.166, l’8,2% del totale), i ricorsi contro sentenze di patteggiamento (3.267 – 6,4% del totale), le impugnazioni di provvedimenti della Magistratura di Sorveglianza (2.228 – 4,4% del totale), le questioni relative al patteggiamento in appello (1.774 – 3,5% del totale), le impugnazioni in materia di esecuzione della pena (1.356 – 2,7% del totale), le misure cautelari reali (1.242 – 2,4%) e gli incidenti di esecuzione (1.477 – 2,9%, cui vanno aggiunti gli incidenti di esecuzione relativi a leggi speciali, conteggiati separatamente e che ammontano a 233, pari allo 0,5% complessivo).

L’aggregato non rende possibile conoscere quali siano state le lamentele più ricorrenti. Se, ad esempio – e come verosimile – la non indifferente mole di impugnazioni contro le sentenze di patteggiamento (classico o ex articolo 599 bis Codice Procedura Penale) abbiano riguardato per lo più l’applicazione di sanzioni accessorie o misure di sicurezza ovvero siano state impugnazioni “di bandiera”, finalizzate a stabilizzare medio tempore la situazione dell’imputato, mantenendolo agli arresti domiciliari ovvero per procrastinare il giudicato in caso di imputato libero.

Stupisce invece lo scarso numero di impugnazioni in materia di misure di prevenzione (380 quelle relative alle misure di prevenzione di stampo mafioso, 140 quelle in materia di misure di prevenzione reali o personali) a fronte di un impiego viepiù massiccio di tale strumento da parte del legislatore, che ne sta progressivamente allargando il campo di applicazione.

Sono state appena 145 le impugnazioni in materia di arresto o fermo. Ancor meno, 104, quelle relative alle misure di sicurezza.

Stupefacenti le appena 3 impugnazioni in materia di riparazione dell’errore giudiziario.

Curiosità: nel 2019 è stato proposto un solo ricorso per saltum.

 

3. Iscrizioni per voci di reato

L’Ufficio di Statistica della Corte di Cassazione suddivide le iscrizioni per macroaree di reato.

La fanno da padrone i delitti contro il patrimonio e quelli in materia di stupefacenti, che nel 2019 hanno costituito complessivamente il 38,7 delle nuove iscrizioni complessive (furti 4.092, altri delitti contro il patrimonio 8.796, stupefacenti 6.081, mentre sono state 644 le iscrizioni relative ad associazione ex articolo 74 DPR 309/90).

Seguono, per importanze e limitandoci alle macroaree che raggiungono le mille iscrizioni:

i delitti contro la Pubblica Amministrazione (2.333 nuove iscrizioni – 4,6% del totale),

i delitti contro l’amministrazione della giustizia (1.923 – 3,8% del totale),

le associazioni per delinquere, ordinaria o mafiosa (1.178 – 2,3%),

la macroarea che raccoglie assieme – un po’ misteriosamente – istigazione al suicidio, percosse, omicidio preterintenzionale, rissa e abbandono di minori (1.558 – 3,1%),

i delitti contro la famiglia (1.601 – 3,2%),

i delitti contro la libertà morale (1.370 – 2,7%),

i delitti contro la pubblica fede (1.334 – 2,6%),

i reati in materia di circolazione stradale (1.219 – 2,4%),

i delitti in materia di libertà sessuale (1.231 – 2,4%),

i reati fallimentari (1.236 – 2,4%), omicidi e lesioni colpose (1.047 – 2,1%).

Va detto peraltro che la suddivisione per macroaree di reato sconta ragionevolmente una inevitabile approssimazione dovuta alla classificazione sotto un’unica voce di imputazioni spesso plurime ed eterogenee, tali da poter rientrare in diverse macroaree. La somma finale della tabella restituisce un valore esattamente identico alle nuove iscrizioni, indice della riconduzione di ciascun fascicolo entro un’unica macroarea.

Non può non segnalarsi come per talune macroaree – alcune delle quali connotate da un rilevante impatto mediatico o da notevole attenzione del legislatore – l’approdo in Cassazione sia piuttosto raro: il riferimento è

ai delitti di prostituzione e contro moralità pubblica e buon costume, che superano di poco le 200 impugnazioni (0,43% del totale);

alla violazione delle disposizioni in materia di antiriciclaggio, con appena 124 nuovi fascicoli (lo 0,2% del totale);

ai reati di maltrattamenti o impiego illecito di animali (19 ricorsi – 0,04%);

ai reati sorretti da discriminazione razziale (appena 6 impugnazioni, pari allo 0,01% complessivo).

 

4. Definizioni

Quanto alle definizioni, va premesso che i dati esaminati riportano in aggregato tutti i provvedimenti conclusivi, senza distinguere fra impugnazioni di sentenze e impugnazioni in materia cautelare. Ciò inevitabilmente “inquina” i dati finali, soprattutto per quanto riguarda la suddivisione in macroaree di reato. È infatti ragionevole ritenere che in materia cautelare la “ripartizione” fra inammissibilità, annullamenti con rinvio e annullamenti senza rinvio possa essere significativamente diversa rispetto a quella relativa alle decisioni relative alle sentenze.

Ciò detto, non è certo una sorpresa che fra le definizioni predomini l’inammissibilità: nel 2019 ha falcidiato il 67,8% dei ricorsi, inserendosi in una tendenza che nell’ultimo decennio non ha mai visto scendere tale soluzione sotto il 60% e, anzi, nel 2018 l’ha vista superare il 70%. Quasi il 60% delle declaratorie di inammissibilità è appannaggio della settima sezione e riguarda in misura massiccia le impugnazioni delle parti private (94,8%) e segnatamente dell’imputato (46.982 su 48.731), mentre attinge in minima parte quelle del PM (appena il 4,5%).

Nel 2019 gli annullamenti con rinvio sono stati l’11,7% del totale (il secondo dato più elevato dell’ultimo decennio), gli annullamenti senza rinvio il 9,1% e i rigetti il 9,9% (dato più basso dell’ultimo decennio). Le impugnazioni in qualche modo accolte superano dunque di poco il 20%, secondo dato più alto dell’ultimo decennio.

La distribuzione di annullamenti, rigetti e inammissibilità per macroaree di reato restituisce dati interessanti. Un andamento assolutamente singolare hanno i reati fallimentari, nella cui trattazione domina l’annullamento con rinvio (nel 60,1% dei casi: è una conseguenza della declaratoria di incostituzionalità dell’articolo dell’articolo 216, ultimo comma L.Fall. sulla durata della sanzione accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale?) ed è molto bassa la percentuale delle inammissibilità (20,5%).

Le inammissibilità dominano invece con valori percentuali superiori all’80% delle macroaree delitti contro il patrimonio (80%), furti (83%), delitti contro l’amministrazione della giustizia (84,6%) e delitti contro la famiglia (84,8%). Sono viceversa relativamente basse nelle macroaree omicidi e lesioni colpose (36,4%) e delitti contro l’onore (36,5%).

Quanto agli annullamenti, quelli con rinvio sono stati complessivamente 6.017 e attingono prevalentemente stupefacenti e associazione ex articolo 74 DPR 309/90 (12,5% e 20,4% rispettivamente), associazioni per delinquere, ordinaria o mafiosa (20,2%), omicidi e lesioni colpose (20,8%), immigrazione (19%) ed edilizia e urbanistica (12,5). Pur senza possedere dati relativi alle ragioni di annullamento – e, dunque, senza poter valutare con una qualche attendibilità l’incidenza di elementi non sistematici ma addebitabili al singolo giudice di merito, quali le carenze motivazionali – per talune macroaree le ragioni del (relativamente) elevato numero di annullamenti con rinvio potrebbe essere dovuta a declaratorie di incostituzionalità (il ricordato articolo 216, ultimo comma L.Fall.[3]), modifiche normative (ad esempio quella dell’articolo 73 co. 5 DPR 309/90[4]), orientamenti giurisprudenziali innovativi (Sezioni Unite su ingente quantità[5], su articolo 73 co. 5 DPR 309/90 [6]). La materia fallimentare segna invece una singolare inquietudine interpretativa a fronte di dati normativi tutto sommato stabili, al netto della ricordata, innovativa presa di posizione della Corte Costituzionale sulle sanzioni accessorie.

Gli annullamenti senza rinvio (4.674 complessivi, nel 2019) sono distribuiti prevalentemente nelle aree della circolazione stradale (21,5% delle impugnazioni), omicidi e lesioni colpose (19,4%), delitti contro l’onore (33,7%), sicurezza pubblica interna e internazionale (23,3%), contravvenzioni in materia di ordine pubblico e tranquillità pubblica (25,6%), violazione di sigilli (22,6%) e beni culturali e ambientali (21,4%). Va segnalato che fra gli annullamenti senza rinvio, le declaratorie di estinzione del reato per prescrizione sono ridottissime: 47 su 276 annullamenti senza rinvio e su 1.283 definizioni complessive nel 2019, ad esempio, nella materia della circolazione stradale.

In generale, solo i delitti contro il patrimonio diversi dai furti hanno visto nel 2019 più di 100 annullamenti per prescrizione, essendo rimaste tutte le altre macroaree al di sotto (per lo più abbondantemente al di sotto) di tale soglia. Il totale complessivo delle prescrizioni è stato, nel 2019, di appena 861 su 51.420 definizioni (l’1,7% dei procedimenti definiti): magie della mancata instaurazione di un valido rapporto processuale…

Quanto, infine, alle declaratorie di rigetto, svettano in negativo l’associazione ex articolo 74 DPR 309/90 (24,1% di rigetti), omicidi e lesioni colpose (22,8%) e associazioni per delinquere, ordinaria o mafiosa (21,6%, a fronte peraltro della già rilevata elevata percentuale di annullamenti con rinvio), macroaree connotate dai più bassi livelli di inammissibilità. Svettano invece in positivo i delitti contro l’amministrazione della giustizia (3,5%) e i delitti contro la famiglia (4,7%), i quali, viceversa, scontano percentuali di inammissibilità più elevate.

 

5. Durata

La durata media dei procedimenti (periodo compreso fra iscrizione e definizione) è stata nel 2019 di 167 giorni. Sul dato incidono però in maniera significativa la durata – ontologicamente limitata – dei procedimenti in materia cautelare, di estradizione e di Mandato di Arresto Europeo nonché, ça va sans dire, la fulminea definizione delle inammissibilità ex settima sezione.

 

6. Conclusioni

Varie le riflessioni che l’analisi del dato statistico offre all’interprete.

6.1 In prima battuta va detto che – come premesso – il dato relativo al giudizio di legittimità è necessariamente parziale. Una analisi “di sistema” imporrebbe una valutazione, quantomeno a campione, relativa a esiti e durata dei giudizi durante i gradi di merito, non oggetto del presente contributo e, comunque, di non agevole maneggiabilità[7].

6.2 Ciò premesso, l’analisi dei dati statistici provenienti dalla Suprema Corte permette comunque una qualche riflessione.

Già si è segnalato il particolare andamento dei processi penali relativi a violazioni in materia fallimentare, andamento che, proprio per la sua singolarità, rappresenta un unicum nell’ambito del giudizio di legittimità.

Vi sono poi macroaree di reati che appaiono attinte molto marginalmente da impugnazioni di legittimità. Talora si tratta di reati su cui si appunta l’attenzione sociale, come i reati di maltrattamento o impiego illecito di animali, che hanno al loro attivo appena 19 iscrizioni nel 2019, o come i reati di discriminazione razziale, che vantano lo straordinario numero di 6 iscrizioni.

Marginali appaiono i reati di prostituzione, che non raggiungono la soglia delle 200 iscrizioni. Marginalissimi quelli in materia di proprietà intellettuale, con 39 iscrizioni, e men che marginali i reati relativi a scommesse clandestine (9 iscrizioni), privacy e titoli di credito (attinti da 8 iscrizioni ciascuno) e violazioni allo Statuto dei Lavoratori (2 iscrizioni).

Non inutile notare che per quasi tutte queste macroaree il numero di iscrizioni è non solo basso ma in costante calo nell’ultimo quinquennio.

Difficile individuare le ragioni di numeri così esigui in difetto di statistiche più dettagliate. Possono azzardarsi solo alcune ipotesi.

Per alcune macroaree il ridotto approdo in sede di legittimità è sicuramente la conseguenza della progressiva marginalizzazione di alcuni comportamenti o di precise scelte legislative (su tutte – e per entrambi gli aspetti – la vicenda dei titoli di credito). Per altre macroaree vi è probabilmente la scelta di impiegare lo strumento penale per reprimere condotte di scarso allarme e che potrebbero essere perseguite con strumenti diversi, per quanto debba ricordarsi come l’opzione della criminalizzazione sia talora figlia di precise indicazioni europee (privacy, reati in danno di animali). Vi sono poi categorie di reati che colpiscono prevalentemente e notoriamente cittadini extracomunitari, meno attrezzati culturalmente ed economicamente per una efficace e prolungata difesa.

Quanto ai reati che, viceversa, sono caratterizzati da “grandi numeri”, svettano – come accennato in precedenza – quelli contro il patrimonio e in materia di stupefacenti. Sono entrambe categorie che si caratterizzano per una tendenza bipolare: alla sostanziale “non gravità” della maggior parte delle condotte fanno da contraltare un notevole rigore sanzionatorio (complice anche uno strumentario di aggravanti che ha assunto proporzioni quasi imbarazzanti: fra articolo 61, articolo 61 bis e articolo 625 un furto ne conta – nominalmente e senza considerare la scomposizione di talune delle aggravanti in diverse ipotesi – ben 23!) e una ridottissima – o, nel caso degli stupefacenti, del tutto assente – possibilità di configurare le condotte quali reati punibili a querela di parte.

6.3. Ancorché tutelato costituzionalmente, l’accesso al giudizio di legittimità è a oggi ancora sostanzialmente indiscriminato. Il ricorso allo strumento dell’inammissibilità è solo un aggiramento del problema a monte, rappresentato dall’enorme mole di interpelli alla Suprema Corte.

Paradossalmente, tuttavia, non sembra poter essere il restringimento delle maglie per accedere a tale giudizio (in parte già attuato con la modifica dell’articolo 606 Codice Procedura Penale) a poter costituire soluzione adeguata. A spingere verso il giudizio di legittimità sono, riteniamo, fondamentalmente due fattori.

Da un lato l’incertezza degli approdi interpretativi, testimoniata dall’ingente numero di questioni demandate alle Sezioni Unite: sino a che il ricorrente troverà un appiglio giurisprudenziale (o un testo normativo ambiguo) il suo ricorso avrà una ragione più che legittima per essere proposto. Sotto altro profilo, il rinvio dell’esecuzione della pena in attesa della definizione del processo costituisce ovvio incentivo a procrastinare il passaggio in giudicato della condanna a pena non sospesa.

La soluzione al primo problema è affare interno alla Suprema Corte (ma non può chiamarsene fuori il legislatore, padre di norme sovente incerte, mal scritte, mal coordinate, prive di indicazioni di diritto intertemporale e chi più ne ha più ne metta).

La soluzione al secondo potrebbe trovarsi nel potenziamento o nell’introduzione ex novo di pene diverse da quelle tradizionali e, forse, nella possibilità per il Giudice di determinati reati di concedere misure alternative alla detenzione già in sentenza. Sotto quest’ultimo profilo può ricordarsi l’ormai risalente tentativo del legislatore di affidare al Giudice del merito la concessione già in sentenza dell’affidamento in prova per alcuni reati stradali, ex articolo 57 L. 29 luglio 2010 n. 120 («In luogo della misura detentiva dell’arresto prevista dall’articolo 116 del decreto legislativo n. 285 del 1992 e dagli articoli 186, 186-bis e 187 del decreto legislativo n. 285 del 1992 … a richiesta di parte può essere disposta la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali di cui all’articolo 47 della Legge 26 luglio 1975, n. 354»). La norma è rimasta sostanzialmente disapplicata, eppure l’esperienza della sospensione del processo con messa alla prova dimostra che metodi di definizione riecheggianti le forme dell’esecuzione penale trovano grande fortuna nella pratica e ancor più potrebbero trovarne se il legislatore invogliasse alla scelta di tale via con strumenti premiali che permettano di incidere anche sulle sanzioni accessorie.

 

[1] https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/La_Cassazione_penale_-_Annuario_statistico_2019.pdf

[2] https://www.camerepenali.it/cat/10150/no_alle_mistificazioni_la_verita_sulla_prescrizione.html

[3] Corte Costituzionale, sentenza 5 dicembre 2018 n. 222, in Foro it., 2019, I, c. 6.

[4] Modifica operata dall’articolo 1, co. 24 ter, lett. a) D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito , con modificazioni, dalla L. 16 maggio 2014, n. 79.

[5] Cassazione penale sez. un., 24 maggio 2012, n. 36258, in Cassazione penale, 2013, 2, 515 e, più di recente, Cassazione penale sez. un., 30 gennaio 2020, n. 14722, in Guida al diritto, 2020, 25, 92.

[6] Cassazione penale sez. un., 27 settembre 2018, n. 51063, in Cassazione penale, 2019, 5, 1975; Cassazione penale sez. un., 26 giugno 2015, n. 46653, in Cassazione penale, 2016, 2, 476

[7] la Direzione Generale di Statistica e Analisi Organizzativa del Ministero della Giustizia mette a disposizione una notevole mole di dati al seguente link: https://webstat.giustizia.it/SitePages/StatisticheGiudiziarie/penale/Area%20penale.aspx