Fine vita, tra diritto e coscienza

Fine vita, tra diritto e coscienza
Per una dignità della sofferenza, dopo la Legge Regione Toscana non si può più attendere
Occorre una legislazione unitaria sul fine vita
La Corte Costituzionale che con la sentenza n. 242/2019 aveva dichiarato illegittimo il divieto in vigore invitando il Parlamento a regolare la materia e dettando i requisiti per l’accesso al suicidio assistito. Con una successiva pronuncia, la sentenza n. 135/2024, la Consulta aveva poi precisato che tanto la nozione di trattamenti di sostegno vitale, (tra i requisiti per accedere al fine vita,) quanto le condizioni e le modalità di esecuzione dovessero essere verificate da strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. La stessa sentenza, aveva lanciato un appello stringente perché venisse garantita a tutti i pazienti una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza, come previsto dalla Legge n. 38/2010.
L’iniziativa legislativa promossa dall’Associazione Coscioni non ha avuto lo stesso successo in altre Regioni, come il Veneto che non ha approvato la legge, e la Lombardia che ha evitato perfino di discuterla in Consiglio Regionale. L’approvazione della legge toscana è avvenuta con 27 voti favorevoli di esponenti di PD Cinque stelle e Italia Viva, 13 voti contrari del centrodestra, nessun astenuto e un solo consigliere che non si è espresso.
In sei articoli, la Legge Regionale Toscana definisce i ruoli, le procedure e i tempi per il suicidio assistito.
I requisiti per accedere alla pratica, come individuati dalla sentenza n. 242/2019 della Consulta, e che devono sussistere in contemporanea, sono i seguenti:
la patologia irreversibile
la presenza di sofferenze fisiche o psicologiche che il paziente reputa intollerabili
la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale
la capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli.
Il paziente deve aver formulato il proprio desiderio di morire in modo “libero e autonomo, chiaro e univoco” e deve aver rifiutato qualsiasi soluzione terapeutica praticabile, compresa la sedazione profonda e continuativa, intesa come induzione dello stato di incoscienza fino al momento della morte.
Nella nozione di “trattamenti di sostegno vitale”, come chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 135/2024, rientrano i respiratori meccanici ma anche le terapie farmacologiche o i trattamenti in assenza dei quali il paziente morirebbe. Il requisito, come richiesto dalla Consulta nella citata sentenza, sarà sottoposto caso per caso al vaglio della commissione dell’azienda sanitaria locale secondo un iter molto cadenzato e verificato contenuto in un tempo massimo di 50 giorni.
“Non è corretto parlare di eutanasia – precisa il Presidente della regione Toscana – noi diamo conto secondo i criteri che ci detta l’ordinamento e non fa altro che dare atto di procedure rispetto ai farmaci usati e al percorso che si deve seguire”. Giani cita Paolo Malacarne, “per anni primario di terapia intensiva a Pisa, ci spiega e ci dice cosa è avvenuto dopo la sentenza della Corte dopo il 2019. Il nostro – prosegue Giani – è un messaggio, un’espressione di civiltà al livello nazionale. Dopo sei anni, non è possibile che il Parlamento non ascolti l’indicazione forte e precisa della Corte costituzionale”.
La Toscana è la prima Regione d’Italia ad introdurre una legge sul fine vita. Ci aveva già provato qualche mese fa il Consiglio Regionale del Veneto, dove la proposta di legge vantava anche il sostegno del suo Governatore, Luca Zaia. Il tema è delicato e sorprendentemente divisivo e mette in risalto, con prepotenza, una forte contrapposizione. Da un lato, il dolore e le sofferenze delle persone coinvolte, dei malati privati della dignità di esseri umani e dei loro familiari. Dall’altro, l’incapacità dello Stato, almeno fino a questo momento, di dare una risposta ai suoi cittadini.
Quello del fine vita è un tema complesso che, proprio per la delicatezza degli interessi coinvolti, merita di essere approfondito. Ne avevamo già parlato in un precedente articolo , dopo la pubblicazione della sentenza 135/2024 della Corte costituzionale. Di quell’articolo riprendiamo qui alcuni punti chiave, per agevolare la comprensione del contenuto della legge regionale toscana appena approvata.
Quando si parla di fine vita dobbiamo distinguere:
l’eutanasia, cioè la morte procurata intenzionalmente attraverso la somministrazione di farmaci. In questo caso, è la persona a scegliere di morire in un momento in cui è cosciente e in grado di capire le conseguenze della sua richiesta. In Italia l’eutanasia è un reato (omicidio del consenziente – art. 579 c.p.);
il suicidio assistito, invece, è la pratica che conduce alla morte di una persona che ne fa richiesta e che si somministra da sola il farmaco letale. Come per l’eutanasia, chi fa la richiesta deve essere nel pieno possesso delle sue capacità. In Italia, il suicidio assistito è consentito solo grazie ad una sentenza della Corte costituzionale ( 242/2019) i cui principi sono stati ribaditi da un’altra sentenza della Corte costituzionale (la sent. 135/2024).
La Corte costituzionale è intervenuta nel noto caso DJ Fabo, soprannome di Fabiano Antoniani, che aveva chiesto di morire perchè affetto da tetraplegia e cecità. Il suo desiderio è stato realizzato grazie all’intervento di Marco Cappato, attivista per i diritti civili dell’associazione Luca Coscioni, che nel 2017 lo ha accompagnato in Svizzera. Al ritorno in Italia, però, Marco Cappato si è presentato dai Carabinieri per autodenunciarsi e nei suoi confronti è iniziato un procedimento penale. L’attivista è stato accusato del reato di istigazione al suicidio, previsto dall’art. 580 c.p.
Con la sentenza 242/2019 la Corte ha quindi stabilito che, in determinate condizioni, l’aiuto al suicidio, che normalmente, come abbiamo visto, è un reato, non è punibile. Tali condizioni sono:
l’irreversibilità della patologia;
la presenza di sofferenze intollerabili del paziente, che deve sopportare dolori fisici o psicologici che reputa insopportabili;
la dipendenza da macchinari o terapie di sostegno vitale;
la capacità di prendere decisioni in modo libero e consapevole. Il paziente deve essere in possesso della capacità di intendere e volere e deve prendere decisioni autonome e informate.
In assenza di una legge approvata dal Parlamento, che da decenni tentenna sull’argomento, con questa cruciale sentenza la Corte costituzionale ha dato a persone che convivono da anni con terribili patologie la possibilità di scegliere se vivere o morire dignitosamente.
Dunque, dal 2019, chi soffre per una patologia irreversibile, dipende da macchinari ma ha ancora la capacità di esprimere il consenso in modo libero e consapevole può essere aiutato a morire e chi gli presta aiuto non rischia di subire una condanna. La domanda è come queste persone possono accedere al suicidio assistito: in altre parole, qual è la procedura da seguire e soprattutto quali sono i tempi.
Il presidente della Conferenza episcopale toscana, arcivescovo di Siena - Colle di Val d’Elsa - Montalcino e vescovo di Montepulciano - Chiusi-Pienza, in una lunga conversazione con i media vaticani scende ancora una volta in campo per difendere il principio dell’inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale. E per esprimere un timore: «Quello che questa legge possa rappresentare la discesa di un crinale dal quale non sarà più possibile risalire. Adesso altre regioni si porranno la domanda se procedere nella stessa direzione. E poi credo che lo stesso parlamento dovrà assumersi la responsabilità di esprimersi in merito».
Anche se le norme contenute nel provvedimento partono da un principio che il presule reputa legittimo, quello di evitare che il suicidio assistito si compia nell’ombra, la risposta toscana per il cardinale Lojudice non è la soluzione: «È un po’ come l’aborto clandestino: certo che creare una situazione in cui non ci sia più nessun aborto clandestino è teoricamente sensato ma in realtà noi dobbiamo fare in modo che non si legalizzi ciò che non è oggettivamente giusto».