Conversazioni sul luogo di lavoro: legittima la registrazione se utile a difendersi in giudizio

Conversazioni sul luogo di lavoro: legittima la registrazione se utile a difendersi in giudizio
La Cassazione Civile con Ordinanza n. 20487 del 20.05.2025 si è pronunciata in modo parzialmente favorevole nel giudizio afferente la registrazione di una conversazione avvenuta tra colleghi, nei locali aziendali, tra il direttore del personale e una dipendente dello stesso ufficio.
CONVERSAZIONI SUL LUOGO DI LAVORO: LA VICENDA
Veniva proposto ricorso avverso la decisione della Corte di Appello di Ancona che aveva dichiarato legittima la sanzione conservativa della sospensione dal lavoro per la dipendente di una azienda marchigiana che aveva registrato una conversazione avvenuta sul luogo di lavoro tra il direttore e un’addetta HR.
Nelle predette conversazioni emergeva l’atteggiamento livoroso del direttore che invitava a chiare lettere la dipendente ad andarsene (cfr. “Se non ha voglia di lavorare che se ne vada”), seguito poi da una nota di demerito a danno della stessa.
CONVERSAZIONI SUL LUOGO DI LAVORO: LA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE
Prendendo le mosse da quanto già discusso dal secondo Giudice marchigiano, per cui la ricorrente aveva registrato le conversazioni senza che avessero alcuna valenza processuale, la Cassazione ha evidenziato che vi è una fondamentale deroga per la registrazione delle stesse in difetto di assenso, la possibilità di utilizzare tali registrazioni se il fine esclusivo è la difesa in sede giudiziaria di un proprio diritto.
Vieppiù, evidenziava la suprema Corte, la registrazione è lecita solo se si partecipa attivamente alla conversazione e non si possono registrare colloqui in luoghi privati o divulgare il contenuto esternamente.
Tuttavia, come emerge dagli atti processuali, l’interlocuzione avveniva nei locali adibiti allo svolgimento dell’attività lavorativa, in presenza del solo direttore e della collega dell’ufficio risorse umane.
Sub species, dunque, vi era una lesione del diritto alla privacy del direttore e della impiegata delle HR atteso che gli stessi si erano resi partecipi di considerazioni sull’operato della collega in assenza della stessa.
Il fatto oggetto di giudizio, in effetti, riguardava una registrazione della durata di due ore, in un’epoca in cui non vi era alcun contenzioso tra l’azienda e la dipendente.
La stessa era – poi- servita per agire in giudizio contro l’azienda per una sanzione assai risalente nel tempo e per richiedere il risarcimento del danno.
Di converso, dunque, deve valutarsi integrata la lesione del dettame previsto dall’art. 24 della Costituzione e degli articoli 4, 13, 23 e 24 della lg. 196/03 (c.d. Codice della Privacy), in quanto – si ribadisce- la mera finalità delle registrazioni dovrebbe essere quella di poter resistere in giudizio avverso le sanzioni comminate alla ricorrente, con gli invalicabili limiti della presenza della presunta persona offesa e la contiguità temporale con il giudizio.
Evidenzia, altresì, la Suprema Corte come vi siano ulteriori pronunce che avallano la necessità di bilanciare il diritto alla riservatezza con la tutela giurisdizionale; pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio (sic, Cass. SS.UU. n. 3034/2011).
La registrazione de qua, dunque, rientrando nel genus delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., avrebbe natura di prova ammissibile tanto nel processo civile, quanto in quello penale (Cass. N. 27424/2014) solo se realizzata in pendenza di un procedimento giurisdizionale o in vista di una sua imminente introduzione.
Pertanto, deve essere giudicata inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, essendo tale diritto coperto dalla scriminante di cui all’art. 51 cod.pen.
Nella fattispecie de qua, invece, emerge con lapalissiana evidenza il carattere meramente esplorativo della stessa e in nessun modo interferente con fatti posti alla base dell’originaria sanzione disciplinare; vieppiù, poiché realizzata attraverso queste modalità e finalità costituiva – invece- una violazione degli obblighi contrattuali di correttezza e fedeltà, rendendo de facto legittima e proporzionata l’irrogazione della sanzione conservativa.