Formalismi e forme nell’era digitale del processo civile: la Cassazione mette un paletto all’improcedibilità

Silenzio dell'imputato e riparazione per ingiusta detenzione.
Cacciatore di attimi
Ph. Ermes Galli / Cacciatore di attimi

Formalismi e forme nell’era digitale del processo civile: la Cassazione mette un paletto all’improcedibilità

 

La sfida del processo telematico e le nuove forme di linguaggio giuridico. Algoritmi e decisioni automatiche al vaglio della Corte di Giustizia Europea

L’avvento del processo telematico ha comportato un radicale mutamento delle forme nei procedimenti giudiziari. Il canale fisico della comunicazione non è più la carta, ma sono le piattaforme, i files nativi, le firme elettroniche, una nuova rotta funzionale a indicare che il processo ha assunto la forma simbolica della contemporaneità.

La struttura linguistica si è adattata al nuovo sistema cibernetico, organizzando terminologie alternative in rapporto con una nuova visione dell’azione giudiziaria.

Siamo di fronte a una mutazione genetica delle forme del processo che a breve si legherà totalmente con l’intelligenza artificiale.

La forma, nella sua accezione semantica, rimane essenziale e nel contempo necessaria affinché certi comportamenti umani producano effetti giuridici, ma anche rappresentativa del modo esteriore in cui un dato atto si obiettivizza socialmente nell’ordinamento giuridico.

Il rischio è il sopravanzamento delle forme, quasi che, realizzata la forma, non solo non sia più necessario accertare che gli effetti corrispondano a ciò che si è voluto, ma anche diventi preclusa (o superflua) ogni ricerca e qualsiasi rimedio nell’ipotesi contraria, la sua inosservanza.

La forma, cioè, come auto rappresentazione del processo.

Non è un caso che la Corte di Giustizia Europea (caso C-203/22) con sentenza del 25 febbraio 2025 ha sancito il principio in base al quale il consumatore deve essere messo al corrente dell’algoritmo utilizzato in una procedura automatizzata di valutazione che comporti l’esclusione dall’accesso di beni o servizi. Il caso sollevato in una controversia nazionale austriaca era stato deciso dal Tribunale del luogo nel senso che non erano state fornite alla cliente informazioni significative sulla logica utilizzata nel processo decisionale automatizzato che aveva visto la medesima esclusa dalla possibilità di stipulare un contratto di telefonia mobile di soli 10 euro mensili, perché non solvibile. Il Giudice dell’esecuzione forzata definitiva ha sollevato la questione innanzi alla Corte di Giustizia Europea al fine di interpretare il GDPR e la direttiva sul segreto commerciale, per determinarsi in concreto.

La Corte di Giustizia Europea ha sancito che la mera comunicazione di un algoritmo non costituisce spiegazione esauriente, poiché per soddisfare i requisiti di trasparenza e intelligibilità occorre informare l’interessato dei principi e della procedura concretamente applicata in modo tale che si comprenda quali dei suoi dati personali siano stati utilizzati nel processo decisionale automatizzato e in che modo. E, inoltre, la società avrebbe dovuto informare l’interessato di come una variazione al livello dei dati personali presi in considerazione avrebbe condotto ad un risultato diverso.

La Corte ha infine precisato che nel caso in cui le informazioni da fornire contengano dati protetti di terzi o segreti commerciali, il GDPR osta all’applicazione di una disposizione nazionale che escluda, di regola, il diritto di accesso alle informazioni da parte del consumatore, e sarà l’Autorità di controllo o il Giudice a determinare la portata di accesso dell’interessato alle informazioni.

Appare evidente che gli algoritmi sono in grado di elaborare pluralità di dati e produrre decisioni automatizzate nel campo della pubblica amministrazione, il problema nasce laddove queste decisioni approdino poi nel vero territorio della giustizia, diventando di fatto gli algoritmi stessi una sorta di giudici “virtuali”. L’intelligenza artificiale non ragiona in modo autonomo ma su modelli probabilistici, utilizza schemi e paradigmi che ricorrono nelle sentenze, sino, forse, a poter fornire previsioni sull'esito di futuri procedimenti, svuotando, però, il criterio della discrezionalità del giudice che opera un distinguo sul caso singolo, calandosi sulla fattispecie concreta, operando un controllo giudiziale sull’autonomia contrattuale attraverso la meritevolezza dell'interesse perseguito dalle parti, la legittimità o conformità alla legge, la liceità o conformità agli scopi non riprovati o alle regole etiche condivise, del contratto, contribuendo a quel processo di formazione ed implementazione della regola giuridica anche per le innovazioni nel sistema delle fonti normative.

Con l’IA siamo di fronte ad un dilemma della civiltà giuridica, il punto sarà mantenere quel costante dialogo tra norma e fatto, tra vita e bene collettivo, attraverso un processo ermeneutico.

 

Note minime a Cassazione 12 febbraio 2025, n. 3580 in tema di sanzione d’improcedibilità dell’appello: perimetro di azione, prove e limiti

La recente sentenza della Cassazione del 12 febbraio 2025, n. 3580 appare importante dentro questo nuovo paradigma di forme, poiché rompe definitivamente il rigido perimetro d’azione della sanzione di improcedibilità degli atti di gravame di fronte all’omessa prova in formato telematico della notifica dell'appello. Nel caso di specie, peraltro, non erano stati depositati telematicamente gli originali o i duplicati informatici dell'atto di citazione in appello, della relazione di notifica, delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna della notificazione, ma solo in via cartacea.

Per giungere a questo risultato, la Suprema Corte, in primo luogo, mette in luce la necessità di evitare un vulnus agli artt. 6 CEDU, 47 della Carta UE e 111 Cost., poiché il combinato disposto di queste norme concorre ad attribuire il massimo rilievo all'effettività dei mezzi di azione e difesa in giudizio, configurati come diretti al raggiungimento del principale scopo del processo, che è quello di pervenire a una decisione di merito.

Come diretto corollario, si è poi rilevata la necessità di privilegiare il principio di strumentalità delle forme processuali senza indulgere in vuoti formalismi, aggiungendo che le argomentazioni poste a sostegno della tradizionale giurisprudenza di legittimità in materia di procedibilità del ricorso si sono formate "in ambiente di ricorso analogico", sicché non appaiono del tutto compatibili "in ambiente di ricorso nativo digitale”.

La portata dei principi esposti dalla Suprema Corte per ribaltare la sentenza della Corte di Appello di Napoli è sicuramente rilevante poiché finisce per permeare il guscio dell’intero processo telematico, svuotandolo da un’accezione puramente formale e da innesti formalistici inadatti a governare un modello procedimentale moderno che deve mantenere quella sottile ma inossidabile linea di rispetto del diritto di azione, nella sua veste dinamica, cioè come strumento utilizzato al conseguimento effettivo di una decisione.

Mezzo procedimentale e azione che non dovrebbero subire ostacoli o inserimenti di schemi astratti tali da svuotare di contenuto la tutela giudiziaria.

Il labile confine tra forma e contenuto è dato dalla proporzionalità della sanzione. Il vissuto procedimentale tra tutela e sanzione, tra azione e paralisi dei diritti, deve essere visto nel suo asse orizzontale, e prima ancora di invocare il moderno principio del giusto processo, è opportuno ricordare che la legge sostanziale deve trovare nella legge processuale, quale essa sia nella mutevolezza dei tempi, una simmetria interna, una coerenza logica. Perché il processo determina la volontà concreta della legge, e ogni Stato moderno deve considerare il processo come luogo e campo visivo dove lo Stato esprime il carattere pubblico della giurisdizione rendendolo effettivo, quale conseguenza del divieto di ogni singolo di farsi giustizia con le mani proprie, da sé.

Il processo è l’unico mezzo idoneo per l’attuazione di un diritto, conseguentemente deve dare a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che ha diritto di conseguire.

Ogni Stato moderno deve considerare l’amministrazione della giustizia come funzione propria ed essenziale, motivo per cui la difesa contro il torto è assunta come un compito altissimo, determinato da finalità oggettive e generali. La volontà della legge tende ad attuarsi nel campo dei fatti fino alle estreme conseguenze praticamente e giuridicamente possibili.

 

Il principio di strumentalità delle forme processuali e la sua ratio

 Venendo all’analisi della sentenza, la Corte d’Appello di Napoli aveva osservato che la prova non poteva essere ricavata nemmeno dal comportamento delle parti appellate, dal momento che le medesime, pur non avendo svolto contestazione alcuna sulla regolarità della costituzione degli appellanti, non avevano depositato telematicamente l'originale o il duplicato informatico dei messaggi di posta elettronica certificata ricevuti, essendosi a loro volta costituiti in parte attraverso la forma cd. cartacea.

In realtà, la Suprema Corte aveva già avuto modo di affermare, proprio in un caso pressoché identico a quello in esame, che in caso di notificazione dell'appello a mezzo PEC e di costituzione della parte appellante in modalità analogica, l'omesso deposito degli originali o duplicati telematici dell'atto d'impugnazione e della relativa notificazione non determina l'improcedibilità dell'appello, atteso che il destinatario della notifica telematica, venuto in possesso dell'originale dell'atto, è in grado di effettuare direttamente la verifica di conformità, dovendosi privilegiare il principio di strumentalità delle forme processuali senza vuoti formalismi, alla luce del rilievo attribuito dagli artt. 6 CEDU, 47 della Carta UE e 111 Cost. all'effettività dei mezzi di azione e difesa in giudizio, configurati come diretti al raggiungimento di una decisione di merito (v. Cass., 12.03.2024, n. 6583).

Già in precedenza, la Suprema Corte aveva rilevato che la tempestiva costituzione dell'appellante, con il deposito di copia cartacea dell'atto di appello notificato a mezzo PEC, anziché mediante deposito telematico dell'originale, non determina l'improcedibilità del gravame ai sensi dell'art. 348, comma 1, c.p.c., ma integra una nullità per vizio di forma, come tale sanabile con il raggiungimento dello scopo dell'atto (v. Cass., 15.11.2022, n. 33601).

Con ampia motivazione, le Sezioni Unite con sentenza n. 8312 n. 2019 hanno affermato che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2.

A fondamento di tale principio la decisione da ultimo citata ha ripreso e valorizzato argomentazioni contenute nel precedente arresto a Sezioni Unite n. 22438 n. 2018 ed ha sottolineato l'esigenza di pervenire ad un'interpretazione delle regole processuali maggiormente improntata a salvaguardare il diritto fondamentale di azione e, quindi, anche di impugnazione e difesa in giudizio (art. 24 Cost.), che guarda come obiettivo il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione coopera, in quanto principio "mezzo", il giusto processo dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull'Unione Europea, art. 6 CEDU).

In particolare, poi, la precedente sentenza delle Sezioni Unite n. 22438 del 2018 aveva affermato che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità ai sensi dell'art. 369 cod. proc. civ. sia nel caso in cui il controricorrente, anche tardivamente costituitosi, depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 82 del 2005, non ne abbia disconosciuto la conformità all'originale notificatogli.

Nel porre tale principio, le Sezioni Unite hanno precisato di voler proseguire sulla strada tracciata da Cass. n. 30918 del 2017 e Cass., Sez. Un., n. 10266 del 2018, con la finalità di dare una ancora più intensa applicazione ai principi del giusto processo e, in particolare, della durata ragionevole di esso (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull'Unione Europea), nonché all'art. 6 CEDU, secondo l'indirizzo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in base al quale il diritto di accesso a un giudice, pur prestandosi a limitazioni implicitamente ammesse, in particolare per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità di un ricorso, viene leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall'autorità giudiziaria competente (v. Corte EDU, 16.06. 2015, Mazzoni c. Italia, e 15.09.2016, Trevisanato c. Italia, nonché la recente Corte EDU, 23.05.2024, Patricolo e altri c. Italia).

Nella citata sentenza n. 22438 n. 2018, in particolare, diversamente da quel che accade "in ambiente analogico", il destinatario della notifica telematica del ricorso per cassazione predisposto in forma di documento informatico e sottoscritto con firma digitale è in grado di effettuare direttamente la verifica di conformità, perché viene in possesso dell'originale dell'atto.

Dall'anzidetta constatazione le Sezioni Unite hanno desunto che, per quel che concerne la procedibilità del ricorso, è necessario un adattamento delle regole applicabili, onde evitare che l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità, sulla base dei principi tradizionali nati "in ambiente di ricorso analogico", risulti irragionevole o sproporzionata nel diverso "ambiente digitale". Infine, con la citata sentenza n. 22438 del 2018 le Sezioni Unite hanno dimostrato di intendere i principi ivi affermati, in quanto correlati alla necessità di garantire nella maniera più elevata possibile la tutela del diritto ad un equo processo, come dotati di una efficacia espansiva, che li rende idonei a plurime applicazioni, e dunque ad essere riferibili anche al caso qui esaminato.

La declaratoria di improcedibilità dell'appello, dopo non aver rilevato alcunché in sede di prima udienza ex art. 350 cod. proc. civ. e dopo aver rimesso la causa sul ruolo ex art. 101, comma 2, cod. proc. civ., senza tuttavia consentire agli appellanti la ragionevole possibilità di essere rimessi in termini per produrre i documenti nativi digitali, è eccedente rispetto al fine di garantire la certezza del diritto e la retta amministrazione della giustizia, e si traduce nella ingiustificata creazione di una barriera che ha impedito alle parti di ottenere una determinazione nel merito della loro causa (in tal senso, v. la citata sentenza Patricolo).

 

Riforme del processo e ruolo di garanzia del giudice

Il diritto di azione, dunque, esiste solo in caso di tendenziale permanenza del diritto sostanziale fatto valere, quale essa sia poi la decisione nel merito, attraverso tutti quei rimedi interni al processo.

Lo Stato deve garantire la sussistenza degli anticorpi in vitro, capaci, cioè, nella loro portata espansiva, di reagire, sorpassare o espungere meri vizi formali.

Le regole del processo non sono fini a sé stesse, ma hanno una funzione teleologica, di strumentalità ai diritti, ai torti, al diritto di difesa, alla parità di armi delle parti. Le forme processuali sono asservite alle garanzie, e la violazione di una di esse può arrivare a produrre la sanzione della nullità o della improcedibilità solo se ne scaturisca un effettivo vulnus alla difesa.

Prende corpo il principio del pregiudizio effettivo, radicato nell’ordinamento francese dal XVII secolo, pas de nullité sans grief, e connaturato alla esigenza di oltrepassare regole prefissate laddove non siano essenziali ai fini della tutela dei poteri processuali delle parti.

Principio di offensività, prova, subordinazione della forma alla funzione dell’atto processuale, sono tutti termini essenzialmente legati che ruotano attorno al potere del giudice, alla lezione dettata dalla giurisprudenza: trova spazio, infatti, la fattispecie costitutiva del potere-dovere del giudice di adottare i provvedimenti di ripristino del circuito del contraddittorio dalla sommatoria tra violazione di regole formali e offensività.

Diametralmente opposto è il principio di legalità delle nullità, che si contrappone, lo precede storicamente, e il dibattito si incontra su due termini: il formalismo categorico e la marginalizzazione delle forme per evitare un pregiudizio d’ingiustizia, ossia una lesione del diritto di difesa e del contraddittorio che abbiano avuto riflessi sulla decisione di merito.

Il giudice è garante del contraddittorio e del giusto processo ammantato dai principi sovranazionali, perché assume una posizione di interlocutore, quale espressione dell’esercizio pubblico dell’attività giudiziaria.

La catena che lega atto, processo, forma e contenuto, va riannodata anche nell’altro versante, quello della norma intesa come strumento idoneo a governare la perenne oscillazione tra libertà delle forme e congruità delle forme allo scopo.

Le riforme del processo e i correttivi sono parte di quell’ingegneria meccanica forgiata per la disciplina delle azioni e dei diritti, delineano l’ordine giuridico, lo cesellano, e nella produzione legislativa attuale si scorgono anche norme ipertrofiche, non sempre in linea con quella tensione plastica che serve a concretizzare la giusta aspirazione del cittadino alla verità materiale dentro un giusto processo.