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Il silenzio dell’imputato nell’interrogatorio non è ostativo alla riparazione per ingiusta detenzione

Ingiusta detenzione
Ingiusta detenzione

Una recente sentenza della Corte di cassazione, resa dalla quarta sezione penale il 15 marzo 2022 n. 8616, è entrata nel vivo della questione attinente al silenzio dell’imputato tenuto nel corso dell’interrogatorio e della successiva domanda volta a ottenere un ristoro economico per ingiusta detenzione.

Il caso è approdato in Cassazione dopo il diniego opposto dalla Corte d’appello di L’Aquila che aveva rigettato la richiesta di riparazione sulla base della circostanza per cui il richiedente “per ben due volte in sede di interrogatorio, a fronte degli elementi emersi dalle indagini, non aveva offerto oggettivi e riscontrabili elementi di contrasto alla ricostruzione dei fatti in chiave accusatoria”. Inoltre, lo stesso “non aveva specificato la natura dei rapporti con i tre soggetti ripresi dalle telecamere” non aveva chiarito che la detenzione delle chiavi dell’auto utilizzata per la rapina era stata solo occasionale”.

Tali elementi erano stati dunque considerati ostativi alla domanda per l’indennizzo, e ciò anche in linea con gli ultimi approdi giurisprudenziali.

La Suprema corte, in premessa, ha ribadito che, in linea generale, il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (cfr. sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Rv. 259082).

Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo alla insorgenza del diritto azionato ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità̀ penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità̀ procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine, ribadendosi – con specifico riferimento alla rilevanza delle frequentazioni cc.dd. ambigue – che la condizione di connivenza e contiguità̀, pur penalmente insufficiente a fondare un’affermazione di responsabilità̀ a titolo di partecipazione associativa, costituisce effettivamente condotta valutabile a diversi fini (sul punto, cfr. sez. 4 n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Rv. 262436; 45418 del 25/11/2010, Rv. 249237; 37528 del 24/6/2008, Rv. 241218; 42679 del 24/5/2007, Rv. 237898).

In tale ottica, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purché̀ la loro utilizzabilità̀ non sia stata espressamente esclusa in dibattimento (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/2/2016, Rv. 266808) e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, e incensurabile in sede di legittimità̀ (cfr. Cass. Pen., sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, Hosni Hachemi Ben Hassen, Rv. 276458).

Quanto alla natura del comportamento ostativo, lo stesso può̀ essere integrato anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività̀ criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità̀ (cfr. Cass. Pen, sez. 4 n. 45418 del 25/11/2010, Rv. 249237; n. 37528 del 24/6/2008, Rv. 241218).

Tuttavia, secondo il nuovo pronunciamento della Cassazione, i giudici della riparazione non hanno condotto una compiuta verifica ai sensi dell’art. 314, c. 1, cod. proc. pen., avendo omesso di confrontare gli elementi valorizzati in sede cautelare con quelli rimasti accertati in sede di merito. La Corte territoriale, si legge, ha motivato il rigetto dell’istanza alla stregua del solo silenzio serbato dal richiedente nel corso di ben due interrogatori, ritenendone la capacità esplicativa di fatti emersi dalle indagini e il conseguente ostacolo all’accertamento dei fatti.

La Cassazione osserva che, tuttavia, è stato omesso di indicare quali comportamenti del richiedente, diversi dal silenzio, pur penalmente neutri e definitivamente accertati all’esito del giudizio di cognizione, siano etiologicamente collegati all’applicazione della misura e al suo mantenimento.

La giurisprudenza, infatti, ha avvertito la necessità di conciliare il diritto al silenzio e l’esercizio di facoltà riconosciute all’indagato/imputato con la incidenza che tale comportamento possa assumere in termini di condotta gravemente imprudente/negligente da parte di chi, pur a conoscenza di fatti potenzialmente idonei a neutralizzare la portata del quadro indiziario posto a fondamento del titolo cautelare, scelga di esercitare le facoltà di legge, ostacolando l’accertamento dei fatti e contribuendo, in tal modo, a ingenerare la falsa apparenza di un reato (cfr., sulla rilevanza del silenzio serbato dall’interessato e sui limiti di essa, Cass. Pen, sez. 4, n. 47047 del 18/11/2008, Marzola e altro, Rv. 242759; Cass. Pen n. 4159 del 9/12/2008, dep. 2009, Lafranceschina, Rv. 242760; Cass. Pen n. 7269 del 17/11/2011, dep. 2012, Berdicchia, Rv. 251928; Cass. Pen, sez. 3 n. 29967 del 20/4/2014, Bertuccini, Rv. 259941; Cass. Pen, sez. 4, n. 25252 del 20/5/2016, Ministero Economia Finanze e altro, Rv. 267393; Cass. Pen, sez. 3, n. 51084 del 11/7/2017, Pedetta, Rv. 271419).

La Corte territoriale aveva valutato come ostativo il silenzio serbato dall’imputato nel corso degli interrogatori, “ritenendone la capacità esplicativa di fatti emersi dalle indagini e il conseguente ostacolo all’accertamento dei fatti”.

Ma la novella legislativa in tema di presunzione di innocenza introdotta con il Decreto Legislativo 188 del 2021 e in vigore dal 14 dicembre scorso ha imposto una diversa valutazione nella prima decisione resa dalla Cassazione, che, ribaltando l’orientamento, ha evidenziato come l’articolo 314, comma 1, del cod. proc. pen. sia stato modificato dall’articolo 4, comma 4, lettera b), del Decreto Legislativo 188/2021, con l’aggiunta del seguente periodo “L’esercizio da parte dell’imputato della facoltà di cui all’articolo 64, comma 3, lettera b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo.”.

Il silenzio dell’indagato non può più considerarsi ostativo all’ottenimento del ristoro economico.

La Cassazione ha quindi sancito che è chiara l’opzione del legislatore che ha così inteso adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimento penali, con specifico riferimento, per quanto di rilievo nel caso all’esame, alla emanazione di norme comuni sulla protezione dei diritti procedurali di indagati e imputati (cfr. considerato n. 10 e n. 24 della Direttiva).

L’ordinanza della Corte di Appello è stata quindi annullata con rinvio per un nuovo giudizio in relazione alla necessaria verifica di elementi, rimasti eventualmente accertati all’esito del verdetto assolutorio, dai quali possa ricavarsi un comportamento dell’interessatodiverso dal silenzio serbato su circostanze ritenute rilevanti per neutralizzare la portata accusatoria degli elementi raccolti nel corso delle indagini, idoneo a comportare la condizione ostativa di cui all’art. 314, c. 1, come modificato dal D. Lgs. n. 188 del 2021”.