La Cassazione traccia la linea di confine tra il reato di stalking e quello di revenge porn
La Cassazione traccia la linea di confine tra il reato di stalking e quello di revenge porn
Nota a Cassazione Penale, sentenza n. 33320, SEZ. I PENALE, del 28 agosto 2024
Premessa
Nella vicenda oggetto del presente contributo, il ricorrente adiva la Suprema Corte contro la sentenza della Corte d'appello di Roma che lo aveva condannato per i reati di cui agli artt., 612-bis , primo comma, cod. pen., e 612-ter, secondo comma cod. pen. Tuttavia, avverso la sentenza della Quinta Sezione, del 22 febbraio 2023, che aveva rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, la difesa proponeva ricorso straordinario per errore di fatto, sottolineando che il ricorso per cassazione, per quanto presentato nei termini prescritti, non era stato preso in considerazione dalla sezione assegnataria, tanto che nella decisione intervenuta all'esito del giudizio, non era stata neppure indicata la presenza di un secondo difensore dell'imputato. Veniva, in conseguenza di ciò, richiesta la revoca della sentenza e la valutazione dei motivi sollevati nel ricorso. Richieste sostenute e rinnovate dal Sostituto Procuratore generale. In data 1° febbraio 2024, la Prima Sezione, con sentenza, dichiarava la fondatezza del ricorso straordinario; revocava la sentenza oggetto del ricorso e rinviava l'udienza per il giudizio rescissorio. In ossequio alla corretta applicazione del principio del contraddittorio, la Corte richiamava una recente pronuncia, secondo la quale: “ in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, il procedimento di correzione, nel caso in cui sia richiesto l'esame, in precedenza omesso, di un motivo di ricorso in funzione della sostituzione della decisione inficiata dall'errore, deve articolarsi nelle due distinte fasi dell'immediata caducazione del provvedimento viziato e della successiva udienza per la celebrazione del rinnovato giudizio sul ricorso per cassazione” (Sez. 1, n. 7189 del 13.02.2024).
I fatti contestati e il loro inquadramento giuridico
Per quanto l'argomento in premessa non rientri nell'analisi del presente scritto, deve sottolinearsi che il giudizio rescissorio ha, comunque, portato al rigetto del ricorso per una serie di motivazioni che saranno via via sviluppate. Quanto ai fatti di causa in senso stretto, il ricorrente veniva condannato alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione – in relazione ai reati di atti persecutori e di diffusione illecità di immagini e video sessualmente espliciti – perchè, a seguito della fine di una relazione extraconiugale con una donna, non accettando la decisione di troncare la frequentazione, aveva intrapreso azioni di molestia e di minaccia nei confronti della vittima. Nello specifico, inviava ai figli di quest' ultima foto dai contenuti sessualmente espliciti ( l' una la ritraeva a seno nudo e l'altra nell'atto di mimare un bacio), accompagnate da messaggi offensivi ed ingiuriosi. In conseguenza di tali comportamenti, la donna era stata costretta a mutare radicalmente le proprie abitudini quotidiane con l'interruzione della convivenza matrimoniale ed il trasferimento nell'abitazione della madre. Condannato in appello, il ricorrente sollevava ben quattro motivi di censura. Con il primo, eccepisce la violazione di legge, da parte della Corte d'appello, in relazione al rigetto della richiesta della difesa di rinnovazione dell'istruttoria, attraverso una perizia informatica sui telefoni dell'imputato, sull'erroneo presupposto che si trattasse di una prova non integrativa, come tale incompatibile con la scelta del rito abbreviato. Per la difesa, in realtà, il ricorrente aveva sollevato la necessità di assunzione della perizia sui dati informatici telefonici solo per accertare l'esistenza dello scambio di messaggi tra lui, la vittima e i figli di quest'ultima, a sostegno dell'insufficienza del quadro indiziario a suo carico.
La Cassazione considera il motivo di censura manifestamente infondato e formulato in maniera tale da richiedere una valutazione nel merito, riguardo alla consistenza del quadro probatorio scaturente dall'accesso al rito abbreviato, non consentita nel giudizio di legittimità. A parere degli ermellini, la richiesta di perizia avrebbe portato solo ad una ingiustificata rivalutazione dei fatti e delle dichiarazioni già accertate e, paradossalmente, riconosciute dalla stessa difesa in quanto la richiesta di perizia verteva proprio sull'approfondimento dei tempi e delle modalità, ai figli della persona offesa, da parte dell'imputato, di foto che ritraevano la madre anche a seno nudo ( con ciò contraddicendo la stessa tesi della difesa dell'uomo, secondo la quale l' invio dei messaggi non era finalizzata alla diffusione di immagini intime). Inoltre, la doglianza, mal si concilia con la giurisprudenza di legittimità la quale ammette la prova integrativa nell'ambito del giudizio abbreviato solo laddove abbia i requisiti della novità e della decisività. Inevitabile il richiamo alla sentenza n. 44711 del 27.10.2004 nella quale, le Sezioni Unite, in tema di giudizio abbreviato hanno cristallizzato un principio imprescindibile ai sensi del quale, la prova richiesta dall'imputato, con la scelta condizionata di accesso al rito, che dev'essere integrativa e non sostitutiva rispetto al materiale già raccolto ed utilizzabile, può considerarsi necessaria quando risulta indispensabile ai fini di un solido e decisivo supporto logico-valutativo per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della regiudicanda.
Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, si denunciano, rispettivamente, la violazione di legge riguardo all'affermazione di responsabilità del ricorrente per il delitto di cui all'art. 612-ter c.p., in violazione del canone al di là di ogni ragionevole dubbio; e l'insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis c.p. La Corte ha ritenuto anche questi motivi inammissibili perchè manifestamente infondati e perchè meramente rivalutativi della prova in atti, rivalutazione non consentita in sede di legittimità. Nel caso de quo, la Corte d'appello, in linea con la decisione di primo grado, ha sufficientemente supportato la propria decisione sulla base di solide argomentazioni: riguardo al reato di atti persecutori, la persona offesa ha offerto dichiarazioni chiare e precise che hanno ricevuto immediato riscontro dai figli, loro malgrado coinvolti nelle condotte delittuose dell'imputato e dall'amica della donna, alla quale l'uomo aveva, altresì, inviato messaggi offensivi. La lamentata insussistenza degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis c.p. è chiarita dalla Corte con il richiamo all'orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità: “ il realizzasi di uno degli eventi alternativi descritti dalla fattispecie di atti persecutori è evincibile in ogni caso anche dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente per come risulta accertata, senza che sia necessario che la vittima prospetti tali eventi espressamente o li descriva con esattezza”.
La soluzione fornita dalla Cassazione: il reato di stalking non assorbe quello di revenge porn
Nel rigettare il secondo ed il terzo motivo del ricorso, la Corte ha evidenziato che la condotta attuata dall'imputato ricade, senza dubbio alcuno, nel delitto di atti persecutori in quanto i comportamenti molesti, ai danni della vittima e dei suoi familiari, si sono ripetuti nel tempo, accompagnati dalla minaccia, anch'essa ripetuta eppoi realizzata, di un male ingiusto, consistito nella rivelazione della relazione extraconiugale, al marito e ai figli della donna, funzionale al danneggiamento dell'immagine e della reputazione della persona offesa e al deterioramento, poi realizzatosi, dei rapporti familiari.
Il delitto di atti persecutori si consuma al verificarsi anche di uno solo degli eventi altervativi previsti dalla norma incriminatrice, ciascuno dei quali, preso singolarmente, è idoneo a realizzare il reato e che disegnano la tipicità oggettiva della fattispecie di stalking e si completano per accumulo di condotte reiterate le quali, si legge in sentenza, “integrano minacce e molestie verso taluno, tanto da provocargli un grav stato di ansia e di paura ovvero da ingenerare fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero ancora da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita”. Nel caso di specie, la persona offesa ha rappresentato, descrivendole meticolosamente, le condotte vessatorie subite dall'imputato: offese ingiuriose e minacciose tramite messaggi telefonici insistenti ed offensivi che hanno indotto la donna a “bloccare” il numero telefonico dell'uomo sulla propria utenza personale. L'imputato, perciò, spostava la propria attenzione sui figli della donna, uno dei quali minorenne all'epoca dell'accadimento dei fatti, inviando foto della madre che la ritraevano anche nuda. In conseguenza di tali condotte, la donna subiva un forte stress psicologico dettato dallo stato d'ansia e di paura che i comportamenti pressanti e reiterati dell'uomo aveva generato il quale era stato, tra le altre cose, anche il motivo scatenante dell'allontanamento della vittima dalla casa familiare in quanto aveva, con più telefonate, informato il marito della donna della relazione extraconiugale e dei particolari della vita intima condivisa nei mesi di frequentazione. Pertanto, le dichiarazioni della difesa finalizzate a sminuire le conseguenze scaturenti dai comportamenti dell'imputato, sono state definite dalla Cassazione delle mere asserzioni apodittiche.
L'ultimo motivo di censura del ricorso, viene sintetizzato dalla Corte, in tre diverse questioni: a) se l'invio delle foto al figlio ( rectius ai figli) della vittima abbia una connotazione “ diffusiva” nel senso che l'imputato, inoltrandogliela, non aveva la certezza che questi non l'avrebbe, a sua volta, diffusa; b) se sussista, nel caso di specie, il dolo specifico di aver agito con la finalità di recare nocumento alla persona offesa; c) se possa ricomprendersi nella categoria delle “ immagini a contenuto sessualmente esplicito” la foto che ritraeva la donna a seno nudo mentre mimava un bacio serrando le labbra che, a parere della difesa, non rientra nella tipicità penale la quale ricomprenderebbe solo le immagini che raffigurano organi genitali ovvero atti sessuali. La Cassazione definisce la prima questione “di nessun pregio”e, come tale, manifestamente infondata e ciò perchè la condotta realizzata dal ricorrente integra un “ invio”, rilevante ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 612-ter c.p., : “ il reato, infatti, è configurabile come istantaneo e si consuma nel momento in cui viene effettuato il primo invio dei contenuti sessualmente espliciti”. E', dunque, con tale primo invio che si verifica la diffusione penalmente rilevante in quanto la disposizione incriminatrice “ non fa questione di reiterazione della condotta diffusiva né quantifica o qualifica in alcun modo la diffusione lesiva del bene protetto”. La seconda questione posta, riguardante la mancata sussistenza del dolo specifico, è priva di fondamento. Poichè per stessa ammissione della querelante, l'immagine sessualmente esplicita era stata da lei inviata al ricorrente, il secondo comma dell'art. 612-ter, richiamato, prevede che nell'ipotesi di ricezione, per la sussistenza del reato, l'agente deve realizzare la condotta con il fine di recare nocumento alla persona rappresentata nelle immagini o nei video diffusi così da comprometterne la reputazione. Nel caso di specie, il ricorrente era mosso “ da quel finalismo ulteriore e tipico del cosiddetto revenge porn, dato dalla vendetta nei suoi confronti ed integrato dal movente di punirla per aver deciso unilateralmente di interrompere il rapporto tra di loro”. Infine, per la Cassazione è infondata anche la questione sul contenuto sessualmente esplicito della foto inviata ai figli della vittima. Per la difesa, la nozione ricomprenderebbe solo le immagini e i video che ritraggono organi genitali, con l'esclusione del seno femminile. Al contrario, per gli ermellini, la locuzione non fa esclusivo riferimento alla diffusione di immagini o video di un organo proprio dell'apparato sessuale-riproduttivo in senso medico-scientifico né tantomeno allude ad un atto sessuale vero e proprio essendo evidente che la sessualità di una persona “ può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti del suo corpo erogene diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete nelle quali vengono ritratte, l'istinto sessuale: tali zone erogene possono essere il seno e i glutei, ancor più se nudi ovvero in condizioni di contesto che richiamino il sesso”. Pertanto: qualora la diffusione delle immagini o dei video avvenga senza il consenso della persona offesa, si realizzerà una violazione della libertà di autodeterminazione della sua sfera sessuale complessivamente intesa, rilevante ai sensi del secondo comma dell'art., 612-ter cod. pen., se accompagnata dal dolo specifico di recare nocumento alla vittima.