Lavoro: il sistema algoritmico nella gig economy conduce alla subordinazione
Lavoro: il sistema algoritmico nella gig economy conduce alla subordinazione
L’intelligenza artificiale si presenta come una realtà che si diffonde progressivamente nel quotidiano mediante l’adempimento di un eterogeneo spettro di compiti e funzioni, in una prospettiva di collaborazione con l’uomo. Tali innovazioni hanno comportato effetti immediati sulle pratiche lavorative e sul modo stesso di concepire il lavoro, imponendo ai giuslavoristi una lettura aggiornata dei tradizionali istituti di diritto del lavoro.
Nel giro di circa un decennio l’attenzione delle istituzioni europee sul tema delle tecnologie sul lavoro ha conosciuto una significativa accelerazione e si è assistito a una proliferazione di strumenti di regolazione.
Basti pensare al Libro bianco del febbraio 2020 dedicato all’intelligenza artificiale e alla proposta di regolamento sull’IA presentata alla Commissione europea il 21 aprile 2021;
alla proposta di direttiva per migliorare le condizioni del lavoro mediante piattaforme digitali presentata dalla Commissione europea il 9 dicembre 2021 e alla Proposta di Risoluzione del Parlamento europeo del 3 maggio 2022;
alla proposta di direttiva sul diritto di disconnessione allegata alla risoluzione del Parlamento europeo del gennaio 2021.[1]
Sono dunque predominanti le iniziative legislative che affrontano le condizioni dei lavoratori della gig economy e che tentano una regolamentazione dei rischi connessi all’algoritmo che governa le piattaforme. Ciò è dovuto alla proliferazione dei prestatori di tale attività lavorativa: l’esecutivo dell’Ue ha stimato che circa 28 milioni di persone lavorano attualmente nella Gig economy in Europa, cifra destinata a raggiungere i 43 milioni entro il 2025.
In Italia, il Tribunale di Torino, sez. Lavoro, si pronunciava per la prima volta sulla classificazione del rapporto di lavoro dei rider con la sentenza n. 778 del 07.05.2018 respingendo il ricorso proposto da sei ciclofattorini di Foodora (società tedesca di food delivery) che rivendicavano la natura di lavoro subordinato.
Il giudice torinese negava tale qualificazione non esistendo alcuna etero-organizzazione: il luogo di lavoro e l’orario di lavoro non sono imposti unilateralmente dall’azienda che si limita a pubblicare sulla piattaforma i turni di lavoro, lasciando i rider liberi di dare o meno la propria disponibilità. La libertà si estende fino alla possibilità di rinunciare al turno già confermato o di non presentarsi senza alcuna comunicazione preventiva con la conseguente esclusione temporanea dai turni di lavoro.
In concreto, ciò che caratterizza tale rapporto di lavoro è il fatto che i lavoratori non hanno l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e la società non ha l’obbligo di riceverla: i rider possono dare la propria disponibilità per uno dei turni indicati da Foodora, ma non sono obbligati a farlo; allo stesso modo la società può accettare la disponibilità data dai fattorini e inserirli nei turni da loro richiesti oppure rifiutare. Dunque, è proprio la non obbligatorietà della prestazione lavorativa che esclude in radice la subordinazione perché l’etero-direzione è incompatibile con la libertà della parte che deve rendere la prestazione.[2]
Buona parte della dottrina giuslavorista è dell’opinione che al modello delle piattaforme corrisponda un uso della forza lavoro pienamente riconducibile al tipo legale del lavoro subordinato che, secondo la Corte costituzionale, conserva tuttora un carattere indisponibile sia per il legislatore sia per i contraenti individuali.[3]
L’analisi attenta delle modalità di adempimento della prestazione di lavoro mediante piattaforme digitali ha incrementato dubbi circa la classificazione di tale rapporto come lavoro autonomo. I giudici considerano i sistemi algoritmici delle piattaforme del food delivery veicoli di esercizio del potere direttivo della piattaforma. L’algoritmo assume un ruolo decisivo nella compressione della apparente libertà del prestatore di scegliere se, come, quando e quanto lavorare.
Di recente il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 1018 del 20 Aprile 2022, conformandosi all’orientamento ormai prevalente in giurisprudenza, ha stabilito che per la categoria dei rider sussiste il vincolo della subordinazione quando la prestazione è completamente organizzata dall’esterno, con un’incidenza diretta sulle modalità di esecuzione della prestazione, sui tempi e sui luoghi di lavoro. Alla presenza di tali condizioni non possono essere inquadrati come lavoratori autonomi.
L’occasione nasce dal ricorso di un ciclofattorino che aveva stipulato con una piattaforma digitale un contratto di lavoro autonomo, mediante il quale si impegnava a ritirare e consegnare cibo, con un mezzo di locomozione proprio, sulla base degli ordini ricevuti dall’applicazione creata dalla piattaforma. Il Tribunale ha accolto la domanda principale, ritenendo che gli elementi emersi nel corso dell’istruttoria fossero sufficienti a dimostrare la subordinazione del fattorino.
L’algoritmo che domina la piattaforma tiene conto dell’indice di affidabilità e l’indice di partecipazione dei riders: il primo viene calcolato sulla base dei log dei riders all’interno della piattaforma di prenotazione messa a disposizione dall’azienda, il secondo viene invece calcolato sulla base del numero di volte in cui il rider si renda disponibile per gli orari più rilevanti per il consumo di cibo a domicilio. L’accesso alla fascia oraria più vantaggiosa è consentito solo ai rider che abbiano un valore massimo per questi indici. Ciò svilisce il carattere autonomo del rapporto: il datore di lavoro esiste ma non è umano. Nel concreto i lavoratori svolgono la propria attività attraverso una piattaforma che gli fornisce istruzioni su quando e come lavorare.[4]
Il Tribunale di Bologna è stato il primo a considerare illegittimo un sistema automatico, condannando il 31.12.2020 la piattaforma Deliveroo al risarcimento del danno nei confronti delle associazioni sindacali ricorrenti.
L’algoritmo FRANK impiegato dalla piattaforma è stato considerato discriminatorio: tra i vari elementi che possono incidere negativamente nel calcolo degli indici di cui sopra, vi figurava la mancata cancellazione del turno almeno 24 ore prima dell’inizio dello stesso.
L’elemento di discriminazione è riconducibile al fatto che un rider che aderisca ad uno sciopero, o che non partecipi al turno per via di questioni legittime (malattia, handicap, cura dei figli minori) e non sia in grado di cancellare la sessione prenotata almeno 24 ore prima dell’inizio della stessa, rischia di veder peggiorare le sue statistiche e di perdere la posizione ricoperta nel gruppo prioritario indipendentemente dalla giustificazione della sua condotta. Si pone, in questo modo, una determinata categoria di lavoratori in una posizione di potenziale svantaggio: la cecità dell’algoritmo, insensibile alle diverse ragioni che inducono i lavoratori ad astenersi, determina una discriminazione indiretta.[5]
Infine, il 10 giugno 2021 l’Autorità garante per la privacy con l’ordinanza n. 234, ha ingiunto Foodinho, società del gruppo Glovo, al pagamento di una somma di 2,6 milioni di euro.
L’Autorità ha rilevato una serie di gravi illeciti riguardo agli algoritmi utilizzati per la gestione dei lavoratori: non erano state garantite adeguate informazioni sul funzionamento del sistema e non si assicuravano garanzie circa l’esattezza e correttezza dei risultati dei sistemi algoritmici utilizzati per la valutazione dei rider.
Il Garante ha pertanto prescritto alla società di individuare misure per tutelare i diritti e le libertà dei rider a fronte di decisioni automatizzate e ha imposto a Foodinho di verificare la pertinenza dei dati utilizzati dal sistema. Ciò anche allo scopo di minimizzare il rischio di errori e di distorsioni che potrebbero, ad esempio, portare alla limitazione delle consegne assegnate a ciascun rider o all’esclusione stessa dalla piattaforma.[6]
Si è più volte sottolineata la necessità di garantire ai rider e agli altri lavoratori delle piattaforme digitali più tutele su salute, sicurezza e prevenzione in ragione del crescente ricorso alle piattaforme on line, anche sulla spinta della pandemia.
La Commissione europea, infatti, nel dicembre 2021 ha tentato, per la prima volta, di regolare a livello legislativo un mercato in crescita ancora delegificato: è stata approvata una proposta di direttiva che mira al miglioramento delle condizioni di lavoro tramite piattaforma digitale, con l’obiettivo di garantire una corretta qualificazione della situazione giuridica in cui versa il singolo lavoratore e un’adeguata regolamentazione della gestione algoritmica di tali piattaforme.[7]