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Dipendenti pubblici e incarichi extraistituzionali: incompatibilità e autorizzazioni

Fornire informazioni ai datori di lavoro e ai dipendenti chiamati ad applicare e a rispettare la normativa in materia di svolgimento di incarichi extraistituzionali
incarichi extraistituzionali
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Dipendenti pubblici e incarichi extraistituzionali: incompatibilità e autorizzazioni

Abstract

Il complesso ed articolato quadro normativo regolante la materia è permeato dal principio di esclusività cui soggiacciono i dipendenti pubblici, i quali sono tenuti a dedicare le proprie energie lavorative alle attività per cui sono stati assunti evitando di disperdere tali forze in attività non attinenti al rapporto di lavoro.

La norma generale di riferimento è l’articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 che disciplina la materia delle incompatibilità, del cumulo di impieghi e incarichi secondo cui i lavoratori dipendenti delle pubbliche Amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e/o determinato ed a tempo pieno, non possono intrattenere, salvo specifiche e limitate deroghe previste dalla legge, altri rapporti di lavoro dipendente o autonomo o esercitare attività imprenditoriali. Possono svolgere incarichi retribuiti conferiti da altri soggetti, pubblici o privati, solo se autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza.

Questo scritto si propone, pur nella consapevolezza di non essere esaustivo, l’obiettivo di fornire un valido supporto ai datori di lavoro e ai dipendenti chiamati, rispettivamente, ad applicare la normativa in materia di svolgimento di incarichi extraistituzionali ed a rispettarne i divieti.

 

Sommario

1. Incarichi extraistituzionali: le incompatibilità previste dall’articolo 53 del decreto legislativo n. 165/2001

2. Le ipotesi di “incompatibilità assoluta”

3. L’“incompatibilità relativa” - Criteri generali per il rilascio dell’autorizzazione

4. Il regime delle incompatibilità nel rapporto di lavoro a tempo parziale

5. La giurisdizione in materia di incarichi extraistituzionali non autorizzati

6. Prevenzione della corruzione e trasparenza negli incarichi conferiti o autorizzati ai pubblici dipendenti

 

Incarichi extraistituzionali: le incompatibilità previste dall’articolo 53 del decreto legislativo n. 165/2001

Per incarichi extraistituzionali sono da intendersi lo svolgimento di quelle attività che non rientrano nei compiti e nei doveri d’ufficio, cioè non attinenti con il rapporto di lavoro, salvo specifiche e limitate deroghe individuate dalla legge.  

L’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), sancisce la totale incompatibilità (assoluta) per i pubblici dipendenti con l’esercizio del commercio e dell’industria, con l’assunzione di cariche in società costituite a fini di lucro o lo svolgimento di professioni o di impieghi alle dipendenze di privati.

L’articolo 63 del citato Testo Unico prevede che all’impiegato che contravvenga al dovere di rimuovere l’incompatibilità debba essere notificata una diffida a cessare tale situazione che, se non rimossa nei successivi 15 giorni, determina la decadenza dall’impiego.

Oggi la norma generale cui attenersi per la disciplina generale sulle incompatibilità è costituita principalmente dall’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001 e successive modifiche (in prosieguo citato con l’acronimo di TUPI), che si applica a tutto il personale delle pubbliche Amministrazioni, inclusi i soggetti con rapporto di lavoro “non privatizzato di cui all’articolo 3” TUPI.

Ai sensi del disposto del citato articolo 53, e con richiamo al principio generale in materia di incompatibilità e di cumulo di incarichi ed impieghi di cui al citato articolo 60 del Testo Unico, il legislatore completa il quadro con le “c.d. incompatibilità relative”, cioè le attività non vietate ex se ma esercitabili previa autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, non apportando modifiche all’impianto normativo previgente, in quanto viene  esplicitamente richiamata per tutti i dipendenti pubblici la perdurante vigenza degli articoli da 60 a 65 del Testo Unico.

Nello specifico, il predetto articolo prevede al comma 1 le ipotesi totalmente vietate per tutti i dipendenti (c.d. “incompatibilità assoluta”); al comma 6 le attività “liberalizzate” che non richiedono alcuna autorizzazione da parte dell’Amministrazione di appartenenza; al comma 7 le ipotesi di attività compatibili con lo svolgimento di compiti istituzionali, per espressa deroga di legge o per preventiva autorizzazione rilasciata dall’Amministrazione di appartenenza (c.d. “incompatibilità relativa”).

Il comma 7, infatti, chiarisce che “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano conferiti o previamente autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza, la quale è tenuta a verificare l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi”. L’articolo 53 è stato poi integrato, nel 2012, dall’articolo 1, comma 42, della legge n. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione) con l’aggiunta del comma 7-bis, il quale specifica che il mancato versamento all’amministrazione di appartenenza da parte del dipendente, indebito percettore, rappresenta “una ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.

 

Le ipotesi di “incompatibilità assoluta

Il rapporto di impiego pubblico è caratterizzato dal dovere di esclusività e, quindi, per effetto di quanto prevede l’articolo 53, comma 1, del TUPI, sono assolutamente incompatibili con le prestazioni di lavoro dipendente le seguenti attività:

a)  il rapporto di lavoro alle dipendenze di privati o di pubbliche Amministrazioni, fatto salvo quanto previsto dalla disciplina in materia di part time;

b) attività industriali, artigianali e commerciali svolte in forma imprenditoriale ai sensi dell'articolo 2082 del codice civile, ovvero in qualità di socio unico di una s.r.l., di società in nome collettivo, nonché di socio accomandatario nelle società in accomandita semplice e per azioni, fatto salvo quanto previsto dalla disciplina in materia di part-time. Il divieto non riguarda l'esercizio dell'attività agricola quando la stessa non sia svolta in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale. Per attività professionale si intende l’attività il cui esercizio è connotato dai caratteri dall’abitualità, continuità e sistematicità;

c) l’esercizio dell’attività agricola, quando la stessa è svolta in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale (IAP) a titolo principale (articolo 2135 del codice civile e del decreto legislativo n. 99 del 29/03/2004);  

d) consulenze o collaborazioni che consistano in prestazioni comunque riconducibili ad attività libero professionali;

e) l’esercizio di attività prive delle caratteristiche della saltuarietà e occasionalità;

f) l'accettazione di cariche nei consigli di amministrazione o nei collegi sindacali di società costituite a fine di lucro;

g)  l’assunzione o la titolarità di cariche gestionali nei consigli di amministrazione o nei collegi sindacali di società costituite a fine di lucro, (di persone o di capitali) quali, a titolo d’esempio, quelle di rappresentante legale, di amministratore, di consigliere, di sindaco;

h)  incarichi affidati da soggetti che abbiano in corso, con l'Amministrazione, contenziosi o procedimenti volti a ottenere o che abbiano già ottenuto l'attribuzione di autorizzazioni, concessioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, o altri atti di consenso da parte dell'Amministrazione stessa;

i) gli incarichi e le attività per i quali l’incompatibilità è prevista dal decreto legislativo n. 39/2013 o da altre disposizioni di legge vigenti;

k) le attività professionali per il cui esercizio è necessaria l'iscrizione in appositi albi o registri, fatto salvo quanto previsto dalla disciplina in materia di part-time, di esercizio della libera professione per la dirigenza e per il comparto o da specifiche normative di settore;

l) titolarità o compartecipazione delle quote di imprese, qualora le stesse possano configurare conflitto di interesse con l'ente pubblico di appartenenza. 

Al fine di consentire al dipendente di conoscere i divieti esistenti in materia di attività extralavorative è stato previsto, dal comma 3-bis, dell’articolo 53 del TUPI che ciascuna Amministrazione proceda a dotarsi di uno specifico regolamento, che nei negli Enti locali è adottato dalla Giunta, ai sensi dell’articolo 48 comma 3 del Tuel n. 267/2000, ad integrazione del Regolamento sull’Ordinamento degli uffici e dei servizi, nel quale individuare, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle Amministrazioni pubbliche. In mancanza di detto regolamento l’attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative.

È bene notare che tali divieti valgono anche durante i periodi di aspettativa a qualsiasi tipo concessi al dipendente, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla normativa.

 

Incarichi preclusi a tutti i dipendenti, a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro

Sono vietati a tutti i dipendenti delle Amministrazioni pubbliche, a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro, gli incarichi che presentano le seguenti caratteristiche:  

1) incarichi, ivi compresi quelli rientranti nelle ipotesi di deroga dall’autorizzazione di cui all’articolo 53, comma 6, del TUPI, che interferiscono con l’attività ordinaria svolta dal dipendente pubblico in relazione al tempo, alla durata, all’impegno richiestogli, tenendo presenti gli istituti del rapporto di impiego o di lavoro concretamente fruibili per lo svolgimento dell’attività; la valutazione va svolta considerando la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del dipendente, la posizione nell’ambito dell’amministrazione, le funzioni attribuite e l’orario di lavoro;   

2) incarichi che si svolgono durante l’orario di ufficio o che possono far presumere un impegno o una disponibilità in ragione dell’incarico assunto anche durante l’orario di servizio, salvo che il dipendente fruisca di permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di impiego;

3) incarichi che, aggiunti a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di compromissione dell’attività di servizio, anche in relazione ad un eventuale tetto massimo di incarichi conferibili o autorizzabili durante l’anno solare, se fissato dall’amministrazione;

4) incarichi che si svolgono utilizzando mezzi, beni ed attrezzature di proprietà dell’Amministrazione e di cui il dipendente dispone per ragioni di ufficio o che si svolgono nei locali dell’ufficio, salvo che l’utilizzo non sia espressamente autorizzato dalle norme o richiesto dalla natura dell’incarico conferito d’ufficio dall’amministrazione;

5) incarichi a favore di dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale, salve le deroghe autorizzate dalla legge (articolo 1, comma 56 bis della legge n. 662/1996);

6) incarichi per i quali non è stata rilasciata la prescritta autorizzazione, salva la ricorrenza delle deroghe previste dalla legge (TUPI, articolo 53, comma 6, lettere da a) a f-bis);

7) non possono assumere incarichi di progettazione o direzione lavori, ai sensi del decreto legislativo n. 50/2016 e successive modifiche, a favore di soggetti terzi rispetto all’Ente di appartenenza, sia che si tratti di privati o di pubbliche Amministrazioni.

Altre incompatibilità sono individuate dal documento della Funzione Pubblica: “Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti”. L’ambito b) del documento in parola, in caso di conflitto di interessi, prevede specificamente:

1) incarichi che si svolgono a favore di soggetti nei confronti dei quali la struttura di assegnazione del dipendente ha funzioni relative al rilascio di concessioni o autorizzazioni o nulla-osta o atti di assenso comunque denominati, anche in forma tacita;

2) incarichi che si svolgono a favore di soggetti fornitori di beni o servizi per l’Amministrazione, relativamente a quei dipendenti delle strutture che partecipano a qualunque titolo all’individuazione del fornitore;

3) incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che detengono rapporti di natura economica o contrattuale con l’Amministrazione, in relazione alle competenze della struttura di assegnazione del dipendente, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge;

4) incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che abbiano o abbiano avuto nel biennio precedente un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di appartenenza;

5) incarichi che si svolgono nei confronti di soggetti verso cui la struttura di assegnazione del dipendente svolge funzioni di controllo, di vigilanza o sanzionatorie, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge;

6) incarichi che per il tipo di attività o per l’oggetto possono creare nocumento all’immagine dell’Amministrazione, anche in relazione al rischio di utilizzo o diffusione illeciti di informazioni di cui il dipendente è a conoscenza per ragioni di ufficio;

7) incarichi e le attività per i quali l’incompatibilità è prevista dal decreto legislativo n. 39/2013 o da altre disposizioni di legge vigenti;

8) incarichi che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall’autorizzazione di cui all’articolo 53, comma 6, del TUPI, presentano una situazione di conflitto di interesse, anche potenziale di cui all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 62/2013, con la natura o l’oggetto dell’incarico o che possono pregiudicare l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente;

9) incarichi per i quali, essendo necessaria l’autorizzazione, questa non è stata rilasciata, salva la ricorrenza delle deroghe previste dalla legge (articolo 53, comma 6, lettere da a) a f-bis); comma 10; comma 12 secondo le indicazioni contenute nell’Allegato 1 del Piano Nazionale Anticorruzione (acronimo di P.N.A.) per gli incarichi a titolo gratuito, del TUPI;

10) Le attività che, per l'impegno richiesto o per le modalità di svolgimento, non consentirebbero, in relazione alle esigenze della struttura di assegnazione, un tempestivo e puntuale svolgimento dei compiti d'ufficio da parte del dipendente, tenendo conto del buon andamento della pubblica Amministrazione di appartenenza;

11) In generale, tutti gli incarichi che presentano un conflitto di interessi per la natura o l’oggetto dell’incarico o che possono pregiudicare l’indirizzo imparziale delle funzioni attribuite al dipendente.

 

Attività che possono essere esercitate liberamente

Trattasi di tipologie di incarichi che non necessitano di autorizzazione, purché siano svolti al di fuori dell’orario di servizio (ferie o recupero ore), non pregiudichino l’impegno principale che viene espletato nell’Ente di appartenenza e non sussiste in concreto conflitto di interesse, senza l’utilizzo di attrezzature, strumenti e locali aziendali, le attività sotto indicate:

a) attività di collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili e pubblicazione di articoli o libri (un eventuale rimborso spese va debitamente documentato). È sottoposta ad autorizzazione l’attività di partecipazione agli organi/cariche con compiti gestionali. L’Azienda e/o l’Ente, qualora sussista uno specifico interesse pubblico, può chiedere un’autorizzazione preventiva ad utilizzare la qualifica di appartenenza ovvero che il dipendente precisi che quanto da lui espresso non rappresenta il pensiero dell’Amministrazione di appartenenza;

b) utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno o di invenzioni industriali di cui al decreto legislativo n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale);

c) gli incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate. Il dipendente è tenuto ad informare preventivamente il suo dirigente/responsabile inserendo copia della comunicazione nel fascicolo personale;

d) partecipazione a convegni o seminari in qualità di relatore;

e) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate, ad esclusione del gettone di presenza il quale deve essere autorizzato (in questi casi il dipendente dovrà conservare copia della relativa documentazione);

f) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;

g) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

h) attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione, nonché di docenza e di ricerca scientifica;

i) attività sportive ed artistiche non esercitate in forma professionale e imprenditoriale;

j) perizie e consulenze tecniche d’ufficio richieste dall’Autorità Giudiziaria. Questa attività svolta da un dipendente dell’Ente per conto dell'Autorità Giudiziaria è compatibile con lo status di dipendente pubblico, anche a tempo pieno, e non rientra pertanto nel disposto di cui all’articolo 53, commi 7, 8 e 9, del TUPI, che prevede la preventiva autorizzazione da parte dell’Amministrazione di appartenenza, atteso che la nomina costituisce provvedimento giurisdizionale autonomo caratterizzato da una scelta fiduciaria che non può essere intralciata da altra pubblica Amministrazione (Consiglio di Stato, sentenza n. 3513, del 17 luglio 2017);

k) altri incarichi che per espressa disposizione normativa non sono soggetti ad autorizzazioni;

l) attività svolta presso associazioni di volontariato o altri enti e istituzioni senza scopo di lucro, purché rese a titolo gratuito;

m) attività costituzionalmente garantite, quali, l’assunzione di cariche elettive a livello di amministrazione statale, regionale, provinciale e comunale.

Per tali attività è sufficiente la preventiva comunicazione del dipendente interessato al dirigente/responsabile, almeno dieci giorni prima dell’inizio dell’attività, ai fini della valutazione circa il possibile conflitto di interessi, oltre che di possibili problemi organizzativi, la nomina e la durata dell’incarico specificando la natura dell’attività e del soggetto in favore del quale viene prestata, il periodo e l’impegno orario richiesto per l’assolvimento dell’incarico o delle attività di cui trattasi

Il dipendente ed il diretto Responsabile dovranno verificare che non sussista conflitto di interessi, anche potenziale od apparente, tra l’attività richiesta in qualità di CTU e l’attività ordinaria di servizio.

Le attività a titolo gratuito, di norma, non necessitano di autorizzazione, ma le singole Amministrazioni, con i loro regolamenti, possono prevedere di averne conoscenza preventiva e, in alcuni casi, il rilascio di un assenso scritto.

Gli incarichi di cui sopra non necessitano di comunicazione al Dipartimento della Funzione Pubblica in quanto liberalizzati e, quindi, non assoggettati ad autorizzazione.

Per attività di formazione si intendono i corsi diretti a dipendenti pubblici, a nulla rilevando una minima, episodica e comunque non prevalente partecipazione di soggetti che non siano pubblici dipendenti.

Nessuna comunicazione dovrà essere prodotta quando trattasi di adesione a partiti politici o a sindacati, ai sensi del regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.

 

Attività esercitabili solo previa autorizzazione

Sull’istanza prodotta dal lavoratore l’Amministrazione deve pronunciarsi entro 30 giorni dalla ricezione e, qualora il lavoratore presti servizio presso un’Amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, l’autorizzazione è subordinata all’intesa tra le due Amministrazioni e il termine per provvedere è elevato a 45 giorni e si prescinde dall’intesa se l’Amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell’Amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, se riguarda incarichi da conferirsi da Amministrazioni pubbliche, si applica il silenzio-assenso e l’autorizzazione si considera accordata; in tutti gli altri casi si intende definitivamente negata (silenzio-diniego) (Cfr. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Veneto, sentenza n. 201/2017). In sintesi il silenzio-assenso è invocabile solo per “per incarichi da conferirsi da Amministrazioni pubbliche”, quando invece l’incarico proviene da un soggetto giuridico che non è Amministrazione pubblica, decorso il termine di 30 giorni, si forma il silenzio-rigetto.

Il dipendente può essere autorizzato a svolgere incarichi sia favore di soggetti pubblici che privati purché vengano rispettate le seguenti condizioni:

a) assenza di conflitto di interesse anche potenziale od apparente con l’Amministrazione;

b) temporaneità ed occasionalità dell’incarico;

c) compatibilità di fatto dell’impegno lavorativo assunto con le esigenze dell’Amministrazione anche mediante utilizzo degli istituti contrattuali che disciplinano le assenze del personale (ferie, permessi non retribuiti, aspettativa).

L’istanza dovrà essere assentita ex ante previa valutazione della legittimità dell’incarico e della sua compatibilità, soggettiva e oggettiva, con i compiti propri dell’ufficio, o negata con atto motivato che indichi i motivi per i quali il dipendente non può svolgere l’incarico e le ragioni per le quali ritiene che tale attività rechi pregiudizio al regolare adempimento dei compiti d’ufficio.

Per quanto sopra, sono compatibili ma devono essere autorizzate, a titolo esemplificativo e non esaustivo, le seguenti attività:

a) partecipazione a commissioni di concorso o ad altre commissioni presso Enti, in ragione della professionalità specifica posseduta;

b) partecipazione a comitati scientifici;

c) partecipazioni ad organismi istituzionali della propria categoria professionale o sindacale non in veste di dirigenti sindacali;

d) attività professionale sanitaria, resa a titolo gratuito o con rimborso delle spese sostenute, a favore di organizzazione non lucrative di utilità sociale, organizzazione e associazioni di volontariato o altre organizzazioni senza fine di lucro, previa comunicazione all’Ente della dichiarazione da parte dell’organizzazione interessata della totale gratuità delle prestazioni;

e) all’esercizio di attività di imprenditore agricolo e di coltivatore diretto, alla partecipazione a società agricole a conduzione famigliare, se l’impegno richiesto è modesto e non abituale e continuato durante l’anno;

f) all’esercizio di attività di amministratore di condominio, se l’impegno riguarda la cura del/degli immobile/immobili proprio/i del dipendente;

g) ad assumere cariche in società sportive, ricreative e culturali, il cui atto costitutivo preveda che gli utili siano interamente reinvestiti nella società per il perseguimento esclusivo dell’attività sociale;

h) a svolgere attività di collaudo, ad assumere incarichi di progettazione o direzione lavori sempre che la prestazione lavorativa sia conforme ai dettati del decreto legislativo 50/2016 e successive modifiche (Codice degli Appalti);

i) a svolgere attività di arbitro o di perito, o di consulente tecnico del giudice o consulente di parte, giudice onorario ed esperto presso i Tribunali;

j) gli incarichi presso le commissioni tributarie;

k) gli incarichi come revisore contabile;

l) tutte le altre attività, anche a titolo gratuito o col solo rimborso spese, che non sono comprese nei compiti e doveri d’ufficio, non presentano profili di incompatibilità o conflitti di interesse e che non rientrano nel presente elenco.

L’autorizzazione può essere richiesta sia dal datore di lavoro privato o pubblico che intende conferire l’incarico che dallo stesso dipendente. Il dirigente/responsabile dell’Amministrazione di appartenenza dovrà porre in essere tutta una serie di verifiche prima di concederla.

Il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e per la Trasparenza ha facoltà di effettuare verifiche in ordine al rispetto delle norme che regolano la materia.

Non è consentito lo svolgimento di incarichi durante il congedo di maternità, il congedo parentale, il congedo per malattia del figlio, il congedo biennale per assistenza a soggetto con handicap, i permessi di cui all’articolo 33, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, le assenze per malattia e/o infortunio e l’assenza per interdizione anticipata per gravidanza a rischio. Si tenga presente che il dipendente pubblico può chiedere di essere collocato in aspettativa non retribuita e senza decorrenza di anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, per avviare attività professionali e imprenditoriali (articolo 18, della legge n. 183/2010). In tal caso non si applica la disciplina del regime delle incompatibilità.



Conflitto di interessi 

Il conflitto di interessi viene generalmente definito come la situazione, condizione o insieme di circostanze che determinano o accrescono il rischio che gli interessi primari – consistenti nel corretto e imparziale adempimento dei doveri e compiti istituzionali, finalizzati al perseguimento del bene pubblico – possano essere compromessi da interessi secondari, privati o comunque particolari. Generalmente si distinguono tre tipologie di conflitto di interessi.

Una definizione alquanto complicata di conflitto di interessi è contenuta nelle Linee Guida per ladozione dei Codici di comportamento negli enti del Servizio Sanitario Nazionale, approvate il 20 settembre 2016, da ANAC, Ministero della Salute e dall'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (acronimo di AGENAS). In questo documento, vengono identificate ben 5 tipologie di conflitto di interessi:

1) Conflitto di interessi attuale, che è presente al momento dellazione o decisione dellagente pubblico;

2) Conflitto di interessi potenziale, che potrà diventare attuale in un momento successivo;

3) Conflitto di interessi apparente, che può essere percepito dallesterno come tale;

4) Conflitto di interessi diretto, che comporta il soddisfacimento di un interesse dellagente pubblico;

5) Conflitto di interessi indiretto, che attiene a entità o individui diversi dallagente pubblico.

Per l’ANAC (acronimo di Autorità Nazionale Anticorruzione), la nozione di conflitto di interessi indica quella situazione in cui, nello svolgimento di un’attività di rilievo privato o pubblico, un individuo sia tenuto a realizzare un c.d. interesse primario che pertiene ad altri e che, per caso, può trovarsi in contrasto con un suo personale interesse (definito come secondario).

 

L’ “incompatibilità relativa” – Criteri generali per il rilascio dell’autorizzazione

Le attività autorizzabili (c.d. “incompatibilità relativa”), disciplinate dall’articolo 53, comma 7, del TUPI, sono contraddistinte dai caratteri di saltuarietà ed occasionalità ed è rimessa all’Amministrazione di appartenenza ogni valutazione sulla compatibilità dell’assumendo incarico con il regime di impiego full time.

L’Ente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento di attività extra istituzionali, si attiene alle Linee Guida emanate dalla Funzione Pubblica in data 16 giugno 2014 che hanno individuato le seguenti situazioni che determinano conflitto di interesse:

a) l’incarico deve riguardare prestazioni che presentano i caratteri della saltuarietà e non professionalità, a favore di soggetti sia pubblici che privati. Occasionali sono le attività che non determinano l’instaurarsi, tra il dipendente ed il conferente, di un rapporto stabile e continuativo con caratteri di tendenziale consolidamento nel medio/lungo termine; saltuarie sono le attività il cui espletamento non richiede un impegno o un’organizzazione sistematica del lavoro. La temporaneità e l’occasionalità dell’incarico si declinano nello svolgimento di prestazioni a carattere saltuario, che comportano un impegno non preminente, non abituale e non continuativo da non divenire un centro di interessi alternativo alle funzioni pubbliche esercitate e che, per l'impegno richiesto o le modalità di svolgimento, non consentano un tempestivo, puntuale e regolare svolgimento dei compiti d'ufficio;

b) non devono sussistere motivi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, anche in via solo ipotetica, situazione di conflittualità con gli interessi facenti capo all’Amministrazione e, quindi, con le funzioni (ad essi strumentali) assegnate sia al singolo dipendente che alla struttura di appartenenza; 

c) l’attività oggetto dell’incarico deve essere svolta al di fuori dell’orario di servizio, senza l’utilizzo di locali, strumenti o attrezzature dell’Amministrazione, fermo restando quanto previsto per gli incarichi di Consulente Tecnico d’Ufficio;

d) l’incarico deve essere definito dal soggetto richiedente in merito alla sua natura e alla durata temporale, con l’indicazione, per ogni incarico, del numero presunto di ore necessarie allo svolgimento della prestazione e del compenso, se previsto;

e) il numero di incarichi già autorizzati ed espletati in corso d’anno;

f) la correlazione della prestazione con le funzioni esercitate dal dipendente o con le competenze dell’Ente, al fine di privilegiare incarichi in grado di arricchire il bagaglio professionale del dipendente stesso;

g) la laboriosità/produttività del richiedente, desunta dal lavoro evaso e dall’impegno profuso;

h) il corretto utilizzo delle causali di assenza con rispetto agli incarichi precedentemente autorizzati;

i) eventuali punte elevate di attività riscontrabili presso la struttura lavorativa del dipendente che richiede l’autorizzazione;

i) le attività non conciliabili con l'osservanza dei doveri d' ufficio ovvero che ne pregiudichino l'imparzialità e il buon andamento;

h) le attività che arrechino danno o diminuzione all'azione e al prestigio dell'Ente pubblico.

 

Il regime delle incompatibilità nel rapporto di lavoro a tempo parziale

Questa particolare posizione consente al personale occupato a tempo parziale, con orario di lavoro non superiore al 50% del tempo pieno (legge n. 662/1996) di esercitare, senza essere autorizzato dall’Amministrazione di appartenenza, altre attività lavorative e/o professionali, ivi compreso lavoro subordinato con altre pubbliche Amministrazioni, anche mediante iscrizioni ad albi, che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio, non siano incompatibili con le attività d’Ente e non risultino in conflitto di interessi con la specifica attività dell’Ente (Cfr. Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 22947/2022).

Allo stesso è precluso lo svolgimento di incarichi o attività che non siano stati oggetto di comunicazione al momento della trasformazione del rapporto o in un momento successivo.

Ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale non superiore al 50%, iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale non possono essere conferiti incarichi da Amministrazioni Pubbliche e gli stessi, inoltre, non possono assumere patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica Amministrazione (articolo 56 bis, legge 662 del 23.12.1996, circolare Funzione Pubblica n. 6/1997 e parere Funzione Pubblica n. 220 del 15/12/2005). È consentita l’iscrizione ad Albi professionali nel rispetto della vigente normativa.  

Il dipendente pubblico con rapporto di lavoro a tempo pieno può chiedere, come sopra accennato, la trasformazione dello stesso a tempo parziale al 50%, indicando l’attività di lavoro autonomo o subordinato che intende svolgere. Entro 60 giorni dalla ricezione della domanda, l’Amministrazione può negare la trasformazione del rapporto nel caso in cui detta attività comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente o sussistano altri motivi di incompatibilità ovvero siano violate le disposizioni di legge in materia.

È facoltà dell’Ente differire, motivatamente, la trasformazione del rapporto a tempo parziale per un periodo non superiore a sei mesi, ed in ogni caso la stessa non può essere concessa qualora si tratti di lavoro alle dipendenze di altra pubblica Amministrazione. Ai dipendenti pubblici con rapporto di lavoro al 50% è comunque vietata ogni attività lavorativa, subordinata o autonoma anche formalmente individuata dall’Ente, che possa essere di ostacolo ai propri compiti istituzionali. La trasformazione non può essere accolta nel caso in cui l’attività lavorativa di lavoro subordinato venga instaurata con un’altra pubblica Amministrazione. I dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale possono inoltre stipulare contratti di lavoro subordinato con altra pubblica Amministrazione, nel rispetto dell’articolo 92, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000 o dell’articolo 1, comma 557 della legge n. 311/2004. I giudici di legittimità hanno definitivamente risolta la vexata quaestio chiarendo che nessun datore di lavoro può impedire a un dipendente assunto a tempo parziale di svolgere un secondo lavoro part-time (Corte di Cassazione, sentenza n. 13196/2017).

Qualora l’avvio di un’attività avvenga successivamente alla trasformazione del rapporto, il dipendente è tenuto a darne tempestiva comunicazione all’Ente, al fine di consentire di effettuare le necessarie verifiche in tema di incompatibilità. L’amministrazione può negare la trasformazione nel caso in cui l’attività lavorativa, di lavoro autonomo o subordinato, comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione stessa. È facoltà dell’amministrazione differire, con provvedimento motivato, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo non superiore a sei mesi.

La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l’attività lavorativa di lavoro subordinato venga instaurata con un’altra amministrazione pubblica. È, inoltre, previsto l’obbligo per il dipendente di comunicare, entro quindici giorni, all’amministrazione nella quale presta servizio, l’eventuale successivo inizio o la variazione dell’attività lavorativa. La mancata comunicazione nonché la non veridicità delle comunicazioni accertata in sede ispettiva costituiscono giusta causa di recesso. 

I dipendenti degli Enti locali possono svolgere, in deroga alla normativa vigente, prestazioni per conto di altri Enti locali previa autorizzazione rilasciata dall’Amministrazione di appartenenza; agli stessi è precluso lo svolgimento di incarichi o attività che non siano stati oggetto di comunicazione

I dipendenti a tempo parziale possono assumere incarichi di progettazione ed è consentito loro di svolgere la libera professione, purché fuori dell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza (Funzione Pubblica, Parere n. 220/2005).

L’esercizio della libera professione, invece, è soggetto anche ai seguenti limiti:

1) che gli eventuali incarichi professionali non siano conferiti dalle Amministrazioni pubbliche;

2) che l’eventuale patrocinio in controversie non coinvolga come parte una pubblica Amministrazione.

La libera professione è un’attività svolta in maniera autonoma, a livello professionale, che deve essere riconducibile nell’area di operatività della disciplina delle professioni intellettuali. I compensi percepiti nell’ambito dell’attività libero-professionale devono essere dichiarati al fisco, sono soggetti a contributi previdenziali e all’IVA e sono esentati dalla disciplina dell’anagrafe delle prestazioni di cui all’articolo 24 della legge n. 412/1991. La libera professione è esercitabile dal dirigente psicologo, dal medico, inquadrato nei ruoli organici del Servizio Sanitario Nazionale, che può esercitare la libera professione nelle forme dell’attività intramuraria o di quella extramuraria. Tale disposizione riguarda anche il personale docente universitario e i ricercatori in servizio presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura anche se gestiti direttamente dalle università convenzionate.

 

Esercizio professione forense

Chi opta per il part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno può svolgere, di regola, altre attività anche professionali. In tale liberatoria non sembra rientrare la professione di avvocato. Una strenua resistenza è stata opposta in tal senso da parte degli ordini professionali degli avvocati, i quali non hanno accolto le richieste di iscrizione dei dipendenti pubblici in part-time, invocando un Regio Decreto del 1934 (considerato lex specialis) che vieta ai dipendenti pubblici – tranne a quelli dei ruoli legali interni – di iscriversi agli ordini. Questo diniego è stato oggetto di un cospicuo contenzioso che ha portato anche a diverse pronunce della Corte Costituzionale (ordinanza 12-20 maggio 1999, n. 183, sentenza 4-11 giugno 2001, n.189, sentenza 390/2006, ordinanza 91/2009, sentenza 166/2012) e ad interventi legislativi (legge 25 novembre 2003) dopo che alcuni dipendenti pubblici in part-time avevano chiesto  di iscriversi all’ordine, ma, nonostante le loro numerose proteste e rimostranze, non hanno raggiunto il risultato desiderato.

Le disposizioni di cui all’art. 1, commi 56, 56-bis e 57 della legge n. 662/1996 (che consentono l’iscrizione dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale agli albi professionali quando la prestazione lavorativa non sia superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno, “c.d. part time ridotto” non si applicano all’iscrizione agli albi degli avvocati (legge n. 339/2003), per i quali, quand’anche iscritti all’albo prima del 1996, restano fermi i limiti e i divieti di cui alla legge professionale, che appunto prevede l’incompatibilità tra la professione di avvocato con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato (articolo 18 lettera d) della legge n. 247/2012, già Regio Decreto Legislativo n. 1578/1933). 

L’articolo 19 della legge n. 247/2012 stabilisce che l’esercizio della professione è compatibile con l’insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nelle università, nelle scuole secondarie pubbliche e private parificate, nelle istituzioni ed enti di ricerca. Ciò significa che la professione di avvocato potrà essere esercitata dall’insegnante di diritto, mentre non la potrà esercitare l’insegnante della scuola primaria, in quanto non vi è corrispondenza tra l’insegnamento e la professione richiesto dalla legge.

Gli insegnanti possono, quindi, esercitare la libera professione, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside, purché il lavoro autonomo non sia di pregiudizio allo svolgimento delle attività inerenti alla funzione docente e compatibilmente con l’orario d’insegnamento e di servizio.

I docenti non possono esercitare attività imprenditoriale e pertanto la titolarità di partita IVA può riferirsi esclusivamente all’esercizio della libera professione.

La legge 14 gennaio 2013 n. 4 ha regolamentato le professioni non regolamentate (ad esempio, cuoco, maitre, osteopata, naturopata, mental coach, istruttore yoga ecc.), definendo “professione non organizzata in ordini o collegi” l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’articolo 2229 del codice civile, e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.

Con questa legge si consente al professionista di scegliere la forma in cui esercitare la propria professione riconoscendo l’esercizio di questa sia in forma individuale, che associata o societaria o nella forma di lavoro dipendente. I professionisti possono costituire associazioni professionali (con natura privatistica, fondate su base volontaria e senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva) con il fine di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.

Pertanto il Dirigente Scolastico può ora concedere l’autorizzazione alla libera professione anche in caso di professionisti non iscritti ad albi o ordini, ovviamente sussistendone anche gli altri requisiti previsti dal decreto legislativo n. 297/1994 e cioè che l’esercizio della professione non sia di pregiudizio all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e sia compatibile con l’orario di insegnamento e di servizio.

Ciò detto, si deduce che l’attività svolta da chi sia titolare di partita IVA è incompatibile solo se riferita all’esercizio di una impresa, mentre se trattasi di un’attività professionale ne può essere autorizzato l’esercizio.

L’autorizzazione all’esercizio della libera professione non va comunicata nell’anagrafe delle prestazioni dei pubblici dipendenti.

Si precisa infine che, ai sensi dell’articolo 1, comma 58 della legge n. 662/1996, l’attività lavorativa prestata dal docente in aggiunta a quella intercorrente con l’Amministrazione scolastica non può, in alcun caso, essere costituita con altra pubblica Amministrazione.

Ad eccezione che per l’attività d’insegnamento o di ricerca nelle materie giuridiche nell’università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed enti, escluso gli insegnanti della scuola primaria, il dipendente pubblico non può esercitare la libera professione (Corte di Cassazione, sentenza 13 aprile 2021, n. 9660). Con la suddetta sentenza, gli Ermellini hanno affermato che “è da escludere non solo una abrogazione tacita delle disposizioni della legge n. 339 del 2003, per effetto della normativa sopravvenuta e sopra richiamata per il rilievo decisivo ed assorbente di ogni altra considerazione che l’incompatibilità tra impiego pubblico part-time ed esercizio della professione forense risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata ed ai possibili inconvenienti che possono scaturire dal suo intreccio con le caratteristiche del lavoro del pubblico dipendente” e che la ratio di fondo della normativa limitativa del cumulo è quella “tendente a realizzare l’interesse generale sia al corretto esercizio della professione forense sia alla fedeltà dei pubblici dipendenti”.

 

Il regime delle incompatibilità del personale scolastico docente e non docente

Occorre premettere che la previsione normativa riguardante i dipendenti pubblici in part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, di cui si è detto innanzi, è estesa al personale della scuola. Di conseguenza qualora non sussistano situazioni, anche potenziali, di conflitti di interessi e non siano pregiudicate le esigenze di servizio, tali dipendenti possono svolgere un’altra attività lavorativa e professionale subordinata o autonoma. 

Il personale della scuola (docente, educativo e ATA) appartiene ai dipendenti pubblici e gli istituti scolastici di ogni ordine e grado rientrano nella pubblica amministrazione (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001 e successive modifiche), sicché la previsione normativa esaminata fin qui in materia di incompatibilità per i dipendenti pubblici (procedimento autorizzatorio, decadenza a seguito di inottemperanza alla diffida, restituzione somme percepite indebitamente, responsabilità disciplinare, part-time, ecc.) trova applicazione anche per il personale della scuola. A questo personale il legislatore ha riservato particolare attenzione, in considerazione della specificità del ruolo docente, destinando l’articolo 508 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di istruzione). Il personale scolastico non può esercitare attività commerciale, industriale, e professionale, né assumere o mantenere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina è riservata allo Stato e sia intervenuta autorizzazione del Ministero dell’istruzione. Tale divieto non si applica nei casi di società cooperative. Il divieto di cumulo di impieghi di cui all'articolo 508 del citato T.U. istruzione non si applica al personale docente dei conservatori di musica e delle accademie di belle arti, previa autorizzazione dei rispettivi competenti organi di amministrazione. Riguardo alle modalità e ai tempi delle istanze intese ad ottenere l’autorizzazione allo svolgimento di un lavoro aggiuntivo, trova applicazione quanto già detto innanzi per tutti i dipendenti pubblici e, nel caso del personale docente, educativo e ATA, la competenza al rilascio dell’autorizzazione è riservata al dirigente scolastico.

Al personale docente è consentito l’esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio (Corte Costituzionale n. 284 del 19-23 dicembre 1986).

Per il personale ATA (Amministrativo, Tecnico e Ausiliario) non vi sono significative peculiarità rispetto ai dipendenti pubblici, pertanto, trova applicazione la disciplina ad essi destinata. Le Amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti devono darne comunicazione in via telematica, entro 15 giorni, al Dipartimento della funzione pubblica, con indicazione della tipologia dell’incarico e del compenso lordo, ove previsto.

È utile ricordare che, per le professioni che perdurano nel tempo, la richiesta di autorizzazione deve essere effettuata ogni inizio di anno scolastico, perché è necessario rivalutare la compatibilità tra attività libero-professionale e attività docente (in tal senso anche la sentenza – Sezione giurisdizionale centrale di appello Corte dei conti n. 264/2019). 

In tale casistica rientra il docente/avvocato che può svolgere solo attività di insegnamento in materie giuridiche nell’università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed enti, escluso gli insegnanti della scuola primaria. Al docente/avvocato è ovviamente vietato assumere il patrocinio legale in controversie, in cui sia parte l’amministrazione (scuola) e non può assumere incarichi professionali conferiti dall’Amministrazione (vi sono, tuttavia, alcune sentenze di segno opposto, così come il parere del Consiglio Nazionale Forense).

 

Personale scolastico non di ruolo con contratto a tempo determinato

Quanto fin qui detto in merito alle tipologie di incompatibilità del personale scolastico trova sostanzialmente applicazione anche per il personale non di ruolo con contratto a tempo determinato.

Mentre un insegnante con la docenza a tempo pieno non può avere un secondo lavoro a partita IVA, diverso è il discorso in caso di lavoro a scuola in modalità part-time. In tal caso, infatti, l’attività di lavoro autonomo può essere compatibile con la docenza part-time ma, in ogni caso, a partire dagli orari, tra i due lavori non deve esserci conflitto.

Nel dettaglio, ottenuto il via libera da parte del dirigente scolastico, un insegnante può lavorare anche in proprio ma a patto che l’attività svolta non sia in conflitto con quella di docente. Quindi, per esempio, tra le attività in proprio che sono categoricamente escluse c’è quella di andare ad impartire le lezioni private ad alunni che sono appartenenti allo stesso istituto scolastico.

Inoltre, un insegnante può aprire la partita IVA, ottenuto il via libera da parte del dirigente scolastico, se e solo se l’attività da svolgere in proprio non presenta delle sovrapposizioni di orario. Rispetto all’incarico da docente egli non può in ogni caso aprire la partita IVA al fine di svolgere e di esercitare attività di natura commerciale, industriale e professionale così come, in linea generale, non può ricoprire cariche in società che sono state costituite con il fine di lucro, con esclusione delle società cooperative.

La regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, del decreto legislativo 297/1994 (Testo Unico Istruzione).

 

Docenti e ricercatori universitari

La normativa di settore prevede per i docenti universitari a tempo pieno (articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382), per i ricercatori universitari a tempo pieno (legge n. 158/1987) e per i docenti medici a tempo pieno (decreto legislativo n. 517/1999, che regola i rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale e università, facoltà di medicina), il divieto assoluto dell’attività libero-professionale.

Per tale categoria di professionisti, soltanto l’opzione per il regime d’impegno a tempo definito è, di regola, compatibile con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza anche continuativa esterne (articolo 11, del decreto del Presidente della Repubblica n. 382/1980).

Divieto che persiste anche dopo l’entrata in vigore dell’articolo 6, comma 9, della legge n. 240/2010 (meglio conosciuta come legge Gelmini) la quale, nel ribadire l’assoluta incompatibilità di tale attività, consente di poter “costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitarie”, nel rispetto della disciplina dettata dai regolamenti deliberati al riguardo dai singoli atenei. I professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono, pertanto, svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali. Previa autorizzazione del rettore sono espletabili anche le funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso Enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto d’interessi con l’università di appartenenza, a condizioni comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università d’appartenenza.

I professori ordinari, straordinari e associati hanno la possibilità di scegliere tra il regime a tempo pieno e il regime a tempo definito. Tale opzione deve essere richiesta al rettore almeno sei mesi prima dell’inizio di ogni anno accademico e obbliga a rispettare l’impegno preso per almeno un biennio.  

I ricercatori universitari, invece, “non possono svolgere, fino al superamento del giudizio di conferma, attività libere professionali connesse alla iscrizione ad albi professionali, esterne alle attività proprie o convenzionate della struttura di appartenenza”. La preclusione può venir meno quando, una volta superato il giudizio di conferma, il ricercatore opti per il regime a tempo definito (articolo 1, del decreto-legge n. 57/1987).

Con la sentenza n. 389/2011, la Suprema Corte di Cassazione, sezioni unite civili, ha evidenziato come debba “ritenersi che anche per i ricercatori confermati, come per i professori universitari, l’incompatibilità allo svolgimento di attività libero–professionale sia esclusa solo in caso di opzione per il tempo definito, mentre sussiste in caso di opzione per il tempo pieno”.

Per quanto concerne i docenti Universitari giova ricordare in questa sede che l’Autorità Nazionale Anticorruzione, con delibera 1049 del 14/11/2018 ha specificato, che quanto alla nozione di “esercizio di attività libero-professionale”, il divieto previsto per i docenti a tempo pieno include le attività professionali che le specifiche leggi sulle varie professioni qualificano “esclusive” in quanto possono essere svolte soltanto dai  professionisti iscritti negli albi e che non si trovino in situazione di incompatibilità.

Ad avviso dell’ANAC, per un docente universitario a tempo pieno vige il divieto sia di svolgere la libera professione sia di svolgere attività professionali che le specifiche leggi sulle varie professioni qualificano “esclusive”. Resta al docente la possibilità di svolgere attività professionali non riservate ai liberi professionisti, purché siano connotate dall’occasionalità, non abbiamo un carattere organizzato e siano state autorizzate dall’Università di appartenenza.

 

La giurisdizione in materia di incarichi extraistituzionali non autorizzata

Sull’individuazione del giudice competente a decidere sulle cause aventi ad oggetto la ripetizione delle somme indebitamente percepite da pubblici dipendenti per incarichi extraistituzionali retribuiti, non autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato due teorie: l’una di natura risarcitoria, l’altra di carattere sanzionatorio.

Dopo un primo orientamento dei giudici di legittimità (Cassazione, Sezioni Unite, 2 novembre 2011, n. 22688; n. 25769/2015), in cui era stata riconosciuta la giurisdizione della Corte dei conti nell’ipotesi disciplinata dal comma 7 dell’articolo 53 del TUPI, gli Ermellini hanno riconosciuto la giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria, sul presupposto della “natura sanzionatoria” dell’obbligo di versamento del compenso ricevuto dal dipendente pubblico che aveva svolto attività extralavorativa senza autorizzazione del datore di lavoro pubblico (cfr. Cassazione, ordinanze nn. 1415, 5789, 13239/2018; ordinanza n. 20533/2019).

La Suprema Corte da ultimo ha dichiarato, in continuità con l’orientamento già espresso in precedenza, la giurisdizione della Corte dei conti solo se alla violazione del dovere di fedeltà e/o all’omesso versamento delle somme pari al compenso indebitamente percepito dal dipendente si accompagnino specifici profili di danno” con riferimento a fattispecie nelle quali è l’Amministrazione ad agire, e concernente solo a “fatti antecedenti alla introduzione dell’articolo 53, comma 7-bis del TUPI, ad opera della legge 6 novembre 2012, n. 190 (articolo 1, comma 42, lettera b)” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ordinanze n. 17124/2019 e n. 17125/2019).

La pronuncia del giudice della nomofilachia afferma la naturapienamente risarcitoria e restitutoria della responsabilità in questione con una soluzione interpretativa originale rispetto a quella giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha giustificato l’azione erariale con la mera violazione del dovere di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento degli incarichi extralavorativi e del conseguente (rafforzativo) obbligo di riversare all’Amministrazione i compensi per essi ricevuti”. Infatti, sulla base di un convincente iter argomentativo, chiarisce che “in virtù dell’obbligo stabilito dal comma 7, l’introito indebito del dipendente infedele costituisce un’entrata tipica dell’amministrazione di appartenenza ed è vincolata ad una specifica destinazione”. Questa premessa logica conduce le Sezioni Riunite a “chiarire la natura della condotta omissiva successiva”, tipizzata dal comma 7-bis, valorizzando ciò che costituisce il presupposto del risarcimento, ovvero “che il valore, suscettibile di valutazione patrimoniale o patrimoniale ab origine, colpito dal comportamento del soggetto attivo, sia già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato”. Dalla riconosciuta “natura risarcitoria” della responsabilità in parola consegue, quale naturale conseguenza processuale, che ad essa si applicano gli “ordinari canoni sostanziali e processuali della responsabilità, con rito ordinario, previa notifica a fornire deduzioni di cui all’art. 67 del codice di giustizia contabile”. Viene, in tal modo, risolto anche il  rilevante dibattito sorto nell’ambito della giurisprudenza contabile, riguardante il carattere della relativa azione di responsabilità esercitata ai sensi dei commi 7 e 7-bis dell’articolo 53 del TUPI, affermandosi che essa ha “natura risarcitoria”, e quindi soggetta agli ordinari canoni, sostanziali e processuali, della responsabilità erariale, con applicazione del rito ordinario, ex articoli 51-113 del vigente decreto legislativo n. 174/2016, modificato dal decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114.

Di recente la questione è stata sottoposta al vaglio delle sezioni riunite della Corte dei conti (sentenza n. 26 del 31 luglio 2019) le quali hanno chiarito che il comma 7 dell’articolo 53 del TUPI ha “un carattere dissuasivo e di deterrenza” rispetto ai dipendenti pubblici, i quali fin dall’inizio sono stati messi a conoscenza che nessun utile economico potranno conseguire dal lavoro extraistituzionale non autorizzato, mentre il comma 7-bis dello stesso articolo rappresenta una ipotesi autonoma di “responsabilità amministrativa tipizzata”, a carattere risarcitorio sub specie di danno da mancata entrata, con riguardo al compenso indebitamente percepito. Dalla riconosciuta “natura risarcitoria” di tale ultima responsabilità consegue, quale naturale conseguenza processuale, che ad essa si applicano gli “ordinari canoni sostanziali e processuali della responsabilità, con rito ordinario, previa notifica a fornire deduzioni di cui all’articolo 67 del codice di giustizia contabile”.

Dalla disamina dei vari orientamenti della giurisprudenza contabile è emersa, infine, divergenza anche sulla normativa applicabile alle ipotesi di c.d. “incompatibilità assoluta”, di cui all’articolo 53, comma 1, del TUPI. Inizialmente è stato sostenuto che dall’applicazione in via analogica dell’articolo 53, comma 7, discende in capo al pubblico dipendente l’obbligo di riversamento del tantundem perceptum dal terzo nell’espletamento dell’incarico non autorizzato; secondo una diversa posizione, sulla base della disciplina di cui all’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, richiamato dall’articolo 53, comma 1, del TUPI, il danno erariale sarebbe costituito dalla retribuzione del pubblico dipendente, percepita nel periodo in cui si è consumata la situazione di incompatibilità.

 

Prevenzione della corruzione e trasparenza ed incarichi conferiti o autorizzati ai pubblici dipendenti

La rilevanza delle disposizioni dell’articolo 53 del TUPI, ai fini della prevenzione della corruzione emerge dalla considerazione che il legislatore ha previsto una specifica misura di trasparenza all’articolo 18 del decreto legislativo n. 33/2013, ai sensi del quale le amministrazioni sono tenute a pubblicare nella sezione “Amministrazione Trasparente” i dati relativi agli incarichi conferiti o autorizzati ai propri dipendenti, con l’indicazione del la durata e del compenso spettante.

La disciplina in materia di pubblicità degli incarichi è stata oggetto di riordino da parte del decreto legislativo n. 33/2013, che ha contestualmente abrogato le precedenti disposizioni. La materia è compiutamente trattata all’articolo 15 del suddetto decreto.

Acclarato che la portata applicativa degli obblighi di trasparenza di cui al decreto legislativo n. 33/2013 è più ampia di quella del regime autorizzatorio degli incarichi contenuto nel TUPI, essendo rivolta non solo alle pubbliche Amministrazioni ma anche agli enti pubblici economici e agli enti di diritto privato specificati all’articolo 2-bis dello stesso TUPI, occorre tener presente, come  in precedenza accennato, l’ulteriore modifica apportata dalla legge n. 190/2012 che ha previsto  l’adozione di appositi regolamenti con cui individuare, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle Amministrazioni pubbliche (articolo 53, comma 3-bis TUPI).

La vigente normativa prevede che:

- la pubblicazione delle informazioni relative ad incarichi per i quali è previsto un compenso, è condizione di efficacia per il pagamento stesso;

- in caso di omessa o parziale pubblicazione, il soggetto responsabile della pubblicazione ed il soggetto che ha effettuato il pagamento sono soggetti ad una sanzione pari alla somma corrisposta.

Le forme di pubblicità con le quali le amministrazioni rendono pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione costituiscono, quindi, misure di trasparenza da attuare mediante previsione in appositi regolamenti.

La legge di stabilità 2016 (comma 675) ha esteso alle società a controllo diretto e indiretto, l’obbligo di pubblicazione degli incarichi di collaborazione, di consulenza, di incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali.

Per quanto concerne la tempistica della pubblicazione degli atti relativi agli incarichi conferiti o autorizzazione e/o in “Amministrazione Trasparente” è utile, in questa sede, ricordare che deve essere tempestiva.

Con le delibere n. 1074 del 21 novembre 2018 di aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione 2018 e n. 1064 del 13 novembre 2019 di approvazione in via definitiva del Piano Nazionale Anticorruzione 2019, l’ANAC si è, infatti, espressa ritenendo di non vincolare le Amministrazioni in merito al termine entro cui effettuare la pubblicazione, preferendo rimettere all’autonomia organizzativa degli Enti l’interpretazione del concetto di tempestività, sulla base delle caratteristiche dimensionali di ciascun ente e con riferimento allo scopo della norma.

Ai comuni di piccole e medie dimensioni (fino a 15.000 abitanti) è stata, infatti, riconosciuta la possibilità di “interpretare il concetto di tempestività e fissare termini secondo principi di ragionevolezza e responsabilità, idonei ad assicurare, nel rispetto dello scopo della normativa sulla trasparenza, la continuità, la celerità e l’aggiornamento costante dei dati”.

Sarà, pertanto, cura del Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e per la Trasparenza fissare tali termini, indicandoli nel Piano per la Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT), nella sezione dedicata alla Trasparenza, definendo con precisione il concetto di tempestività, riferito sia ai tempi di pubblicazione che a quelli di aggiornamento. Tali tempi, come suggerito dall’ANAC, non dovranno tendenzialmente essere superiori al semestre.

L’ANAC, al riguardo, ha suggerito di inserire nel PCPCT che dovrà essere approvato dalla Giunta la seguente indicazione:

“La pubblicazione di dati, informazioni e documenti è tempestiva quando viene effettuata entro n. ..… giorni dalla disponibilità definitiva di dati, informazioni e documenti”.

A scopo ricognitivo è bene ricordare, inoltre, il contenuto della pubblicazione che dovrà riguardare:

a) gli estremi dell’atto di conferimento dell’incarico, l’oggetto della prestazione, la ragione dell’incarico e la durata;

b) il curriculum vitae;

c) i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali;

d) i compensi.

Occorre, inoltre, tenere presente, che per evitare  un oneroso carico di adempimenti, duplicando i documenti da pubblicare nella sottosezione “bandi di gara e contratti”, l’ANAC ha anche  evidenziato l’opportunità di adempiere a quanto previsto dall’articolo 37 del decreto legislativo n. 33/2013, creando un collegamento ipertestuale tra ogni procedura di affidamento con la sezione del sito in cui sono presenti i relativi dati, atti e informazioni relativi agli incarichi conferiti o autorizzati.

Si rammenta, inoltre, agli addetti ai lavori che l’ANAC ha imposto che nel Piano Triennale Prevenzione della Corruzione e per la Trasparenza (acronimo di PTPCT)) si dia contezza del regolamento adottato ai sensi dell’articolo 53, comma 3-bis, del TUPI o di altro atto che disponga in merito agli incarichi vietati e ai criteri per il conferimento o l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi extraistituzionali.  

Si osserva, altresì, che in un’ottica di ottimizzazione e maggiore razionalizzazione dell’attività delle Amministrazioni per il perseguimento dei propri fini istituzionali, il Piano Nazionale Anticorruzione ha fornito specifiche indicazioni a definire chiaramente una procedura per la presentazione della richiesta e il rilascio dell’autorizzazione e ad effettuare, dandone conto nel PTPCT, una rilevazione delle richieste più frequenti di incarichi extraistituzionali. Occorre ammettere, infatti, che risponde alle finalità delle norme sulla trasparenza la pubblicazione in apposite tabelle del nominativo del dipendente pubblico interessato e dei dati relativi all’incarico come l’oggetto, la durata e il compenso previsto.

Tali modalità di pubblicazione sicuramente agevolano un controllo diffuso sulla corretta utilizzazione delle risorse pubbliche, e contribuiscono non solo a far emergere eventuali situazioni di conflitto di interessi, ma garantiscono il rispetto del principio di rotazione nel conferimento degli incarichi e l’imparzialità e il perseguimento dell’interesse pubblico nel corso del loro svolgimento.                                                                                     

Bibliografia

  1. F. Gavioli – Incarichi extra-istituzionali nella Pubblica Amministrazione: non vale il silenzio assenso – Azienditalia – Il Personale 11/2017
  2. M. Cistaro – Dipendente pubblico e doppio lavoro: divieti assoluti, relativi e attività compatibili – Azienditalia 4/2020
  3. G. Crepaldi – Pubblico impiego: incarichi extra-lavorativi (divieto) – Cassazione Civile, Sez. II, Sentenza 18 giugno 2020, n. 11811 – Maggioli – Il personale (22/7/2020)
  4. M. T. D’Urso – Incarichi extraistituzionali retribuiti svolti da dipendenti pubblici in assenza di preventiva autorizzazione e responsabilità erariale – Rivista Corte dei Conti n. 2/2020.
  5. V. Giannotti – Autorizzazione "ora per allora" non applicabile agli incarichi extraistituzionali dei dipendenti pubblici – Maggioli – Il personale (29/9/2020)
  6. M. Lucca – Gli incarichi esterni affidati ai dipendenti pubblici – Maggioli – Il personale (16/11/2021)
  7. S. Pezzuto – Incompatibilità dei dipendenti pubblici con altre attività lavorative – Diritto.it 14 dicembre 2021