Il testamento olografo: validità, valutazione scritti aggiunti, alterazioni, revoca
Il testamento olografo: validità, valutazione scritti aggiunti, alterazioni, revoca
Talune sentenze dei giudici di merito hanno l’indubbio pregio di fare chiarezza sulle connotazioni dell’istituto giuridico connesso alla vexata quaestio posta alla loro attenzione. E’ giusto il caso del Tribunale di Roma sezione VIII Civile, con la decisione non definitiva n. 19018 del 2023, avente ad oggetto l’impugnazione di un testamento e la correlata riduzione per lesione di legittima, che, in sede di stesura del provvedimento destinato a dirimere la lite proposta, affronta, con una analisi approfondita, l’istituto del testamento olografo, puntualizzando taluni aspetti sulla sua validità, sulla valutazione di scritti aggiunti e di alterazioni allo stesso, sul principio di conservazione degli atti e su quello dell’autografia, nonché sulla revoca delle disposizioni testamentarie.
La fattispecie riguarda in particolare una successione regolata da un testamento olografo con il quale il de cuius lasciava alla seconda moglie (prima solo compagna convivente) la piena proprietà di un appartamento e l’usufrutto di un altro appartamento, mentre tutti gli altri beni mobili ed immobili venivano lasciati alle tre figlie, in parti uguali. La parte attrice (le figlie di primo letto) chiedevano, in via principale, la dichiarazione di nullità del testamento, per violazione dei requisiti di forma ex art. 606 c.c. e, in particolare, per difetto di olografia ed autografia, non essendo l’atto redatto interamente di pugno dal testatore, poiché ad esso era allegato un foglio dattiloscritto.
In via preliminare, il magistrato, in conformità con l’orientamento della Cassazione (sentenza n. 20703 del 10.9.2013), fissa con piglio epigrafico la regola dell’olografia, sintetizzabile nella necessità, per la validità dell’atto di ultime volontà, che il testamento, sia, non solo sottoscritto dal de cuius, ma da lui scritto interamente (dal greco òlos “ totale, globale”) di suo pugno, a tutela della integrità e della assoluta libertà della volontà testamentaria, che deve essere priva di coercizioni o influenze di sorta, anche indirette.
Da questo assunto cardine si passa a considerare le aggiunte al testamento olografo, che, anche in caso di una sola parola o di piccola correzione a quanto scritto dal testatore, rendono l’atto invalido, anche se, in ossequio al principio di conservazione degli atti e del principio dell’autografia, l’addendum di mano esterna non scardina l’atto testamentario qualora risulti in linea con la complessiva volontà del testatore (Cassazione sentenza n. 26258 del 30.10.2008 e n. 11733 del 5.8.2002) e consista in allegati di tipo tecnico (planimetrie ad esempio) redatti da un professionista e sottoscritti dal testatore e comunque distinti anche materialmente dalla scheda testamentaria (Cassazione sentenza n. 1239 del 27.1.2012 e n. 9490 dell’11.5.2015).
Nel caso di specie, il testamento è stato ritenuto pienamente valido, essendo, l’addendum dattiloscritto denominato “chiarimenti”, autonomo e distinto anche fisicamente dalla scheda testamentaria (di cui però viene confermato il contenuto), nonché firmato dal de cuius, con sottoscrizione non disconosciuta né altrimenti contestata dalle parti.
Altro aspetto considerato in detta sede dai magistrati di prime cure riguarda il verificarsi di mutamenti avvenuti dopo la corretta stesura del testamento olografo, in ordine ai quali il Tribunale adito richiama l’istituto della revoca del testamento, sia espressa, sia implicita, quest’ultima ammessa però nei soli casi tipizzati dal codice civile, ossia la presenza di contenuti di un testamento posteriore incompatibili con il precedente (art.682 c.c.), la distruzione del testamento olografo (art.684 c.c.), il ritiro del testamento segreto (art.685 c.c.), l’alienazione o la trasformazione della cosa legata (art. 686 c.c.) applicabile però alle sole disposizioni a titolo particolare e non a quelle a titolo universale.
Del pari infondata è stata poi qualificata la domanda subordinata di nullità del testamento, poiché il suo contenuto sarebbe stato incompatibile con le successive condotte del de cuius: nel foglio esplicativo dattiloscritto, infatti, il de cuius aveva motivato i lasciti in favore di colei che sarebbe diventata la seconda moglie con il fatto che la signora, quale compagna convivente, all’epoca della redazione della scheda testamentaria, non vantasse alcun diritto successorio in caso di morte del convivente, e aveva spiegato la necessità di garantire migliori condizioni di vita e di abitazione anche alla figlia di secondo letto, a cui non aveva donato nulla, a differenza di quanto fatto in favore delle altre due figlie. Anche tale argomentazione è stata ritenuta palesemente infondata, non ricorrendo nel caso in esame alcuna delle ipotesi di nullità o invalidità tra quelle tassativamente previste dalla legge. Secondo il Tribunale, invero, la deduzione fondata sul compimento di atti successivi incompatibili con i presupposti fattuali posti alla base del testamento avrebbe potuto, al più, determinare una revoca implicita delle disposizioni testamentarie.
Tuttavia, anche tale ipotesi è stata censurata, in forza del principio di tassatività delle modalità di revoca delle disposizioni testamentarie.
Nel contesto esaminato c’è spazio anche per talune considerazioni in merito alla apposizione di una condizione alla volontà testamentaria, che, ovviamente, se accertata, andrebbe ad incidere non solo sull’apposizione di una disposizione o di una clausola, ma anche dell’intero testamento, determinando, tuttavia non nullità (come avviene per gli actus legitimi, che non ammettono condizioni) ma inefficacia.
La parte attrice, infatti, in alternativa ha sostenuto che le disposizioni testamentarie sarebbero state sottoposte alla condizione che la signora, al tempo della redazione del testamento, non era coniugata con il de cuius e, pertanto, una volta venuta meno tale condizione, le medesime disposizioni dovrebbero considerarsi nulle. Il collegio di Giudicanti ha ritenuto di rigettare anche tale censura.
Nel contenzioso analizzato in questa sede tra le causae petendi figura anche l’ipotesi della donazione indiretta di un immobile da parte del testatore a favore della parte convenuta ed a scapito della parte attrice, fattore di marcata incidenza sull’asse ereditario che, come sottolineato dal Tribunale di Roma, non può essere solo enunciato ma va provato dalla parte attrice, con debita allegazione, attraverso testimonianze ed altri elementi probatori diretti o presunzioni, differenza di quanto avviene per la simulazione. Né si può pretendere che sia il convenuto a dimostrare che i denari de quibus non provengano dal de cuius, creando una illegittima inversione dell’onere della prova.
Sul punto viene richiamato un orientamento giurisprudenziale piuttosto recente della Cassazione (sentenza n. 10759 del 17.4.2019) per cui “si ha donazione indiretta di un bene anche quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo della relativa compravendita dovuta dal donatario, laddove sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme, dovendo, in tal caso, individuarsi l’oggetto della liberalità, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante”.
Il Tribunale, in sede di valutazione delle prove, ha enfatizzato la presenza di diversi elementi, presuntivi, gravi e concordanti tra di loro, da considerare unitamente alle dichiarazioni del testatore, le quali, sono liberamente valutabili dal Giudice, in quanto non aventi natura confessoria, né di ricognizioni, vincolanti per il legittimario che agisce in riduzione, il quale, in tale veste, giova sottolinearlo, è terzo rispetto al de cuius, come precisato dalla Cassazione con le decisioni della sez.II n.11737 del 15.5.2013 e n. 15346 del 25.6. 2010).
Da ultimo, non sfugge al medesimo Tribunale come le deduzioni svolte dalla parte attrice relativamente alle donazioni, contenute nell’atto di citazione e poi ripetute, non siano state confutate quanto a veridicità ed autenticità, determinando nel caso di specie l’applicabilità del principio di non contestazione ex art. 115 del c.p.c.
La breve disamina consente di concordare con il modus operandi del Giudicante, il quale, nel porre ordine alle questioni in fatto ed in diritto valutate, non ha lesinato puntuali riferimenti non solo giurisprudenziali e normativi, come di norma, ma anche a taluni principi ordinamentali che costituiscono il collante prezioso di un discorso giuridico, di una sentenza come questa che, al di là degli esiti, affascina lo studioso per il rigore logico-giuridico applicato e per il linguaggio utilizzato, chiaro anche per i non addetti ai lavori.